«Propriamente si sa solo quando si sa poco; col sapere cresce anche il dubbio».
(Johann Wolfgang Goethe)
Dubbio è una parola che piace pochissimo: l’ho constatato dai commenti a un mio breve post in merito a questo argomento. Commenti in gran parte orientati a vedere il dubbio come anticamera dell’inazione e quindi valutato negativamente.
C’è difficoltà a considerarlo come un passaggio da una certezza a un’altra.
Dubbio = inazione e astenia.
Il dubbio senza dubbio non deve costituire un alibi per l’immobilismo e il timore di prendere delle decisioni. Dall’altra parte non coltivarlo può causare finanche dei danni. Proverei dunque a affrontare il tema e, a mio avviso, l’utilità del dubbio, ragionando sul modo con il quale conduciamo il processo decisionale.
Vorrei condividere con chi mi legge una realtà assai ricorrente. Durante i nostri training filmiamo le persone coinvolte in vere e proprie negoziazioni. Ciascuna di esse ha la facoltà di prendere delle pause, ossia, senza tanti preamboli, ma semplicemente quando ne ravvede la necessità, fermarsi, uscire dalla sala e riflettere. Possono farlo tutte le volte che vogliono nello spazio temporale a loro assegnato per condurre la trattativa. Moltissime persone rimangono confuse per non dire esterrefatte da questa opportunità: prendere una pausa per pensare, ma figurarsi! Prestare così il fianco all’idea che non si sia abbastanza smart da cogliere le cose al volo.
Con difficoltà quindi esercitano questa prerogativa, che invece poi nel corso delle giornate, una volta comprese le conseguenze del non averla sfruttata appieno, apprezzano e ricercano. Altro caso direi eclatante ma assolutamente ricorrente: raramente durante il dialogo negoziale vengono formulate domande di chiarimento. Tutti vogliono dimostrare di aver chiaro e capito subito tutto, nessuna domanda e via.
Esemplifico qualcosa che accade con sistematicità: vi è mai capitato di sentirvi dire “Quello che mi chiedi è difficile?”. Tipicamente, quando qualcuno afferma che è difficile fare una qualche cosa richiestagli dal proprio interlocutore, questi tenta di persuaderlo del contrario, ed insiste affinché si cambi opinione in merito alla difficoltà. Questo approccio potrebbe più costruttivamente essere evitato o almeno procrastinato, frenando la propria reazione, alimentando il dubbio, e cercando di esplorare prima che cosa l’altra persona banalmente intenda per “difficile”.
Sicuramente un manager ha e deve avere certezze, ma per essere efficace deve attingere in modo sano e costruttivo al dubbio. Abusarne non è bene perché paralizza, non esercitarlo ci priva dallo scorgere molti nuovi orizzonti
Dubitare quanto meno del fatto che la stessa parola “difficile” non abbia per tutti lo stesso significato. Ciò che per qualcuno può essere considerato complesso, per noi potrebbe essere invece oggetto di rapida soluzione o viceversa. Sicuramente un manager ha e deve avere certezze, ma per essere efficace, a mio avviso deve attingere in modo sano e costruttivo al dubbio, che ha in sé alcuni vantaggi. Non menziono gli svantaggi perché pare che li abbiamo ben presenti! Ho selezionato tre benefici.
Riduce i ripensamenti: alimentare il dubbio induce a mettere a freno pensiero e lingua. Rimettere il dentifricio dentro al tubetto una volta spremuto risulta alquanto difficile!
Arricchisce: se le nostre certezze trovassero conferma, bene; diversamente ne usciremmo arricchiti. In ogni caso è un guadagno.
Rende simpatici: pensiamoci, tra una persona che riflette e cerca garbata e costante verifica delle proprie e altrui opinioni, e una persona che invece assume atteggiamenti dogmatici, quale delle due ci fa più simpatia?
Il dubbio è salvifico, abusarne non è bene perché certo paralizza, non esercitarlo ci priva dallo scorgere molti nuovi orizzonti.