Il Festival della Crescita sbarca a Milano: «I territori e la loro voglia di dialogare sono il futuro dell’Italia»

Parla il sociologo Francesco Morace, ideatore della kermesse itinerante: «Siamo una comunità espansiva. Dai territori tante energie, soprattutto nel centro sud. È da lì che dobbiamo ripartire»

«Riconoscenza per i territori». Così Francesco Morace, in tre parole, definisce la sua pazza idea. Prendere il Festival della Crescita, alla sua seconda edizione, e farla diventare un evento itinerante capace di toccare dieci città lungo tutta la penisola, da Torino a Bari, da Brescia a Siracusa, da Civitanova Marche a Roma, sino a Lucca, Venezia, Firenze. Tanto più, in un anno come il 2016, in cui di crescita se n’è vista poca: «Nemmeno io ci credevo – spiega Morace, che si prepara all’ultima tappa, quella di Milano, che si terrà tra il 13 al 16 di ottobre – ma risposta del pubblico è stata sorprendentemente positiva, soprattutto nel centrosud, e in particolare a Bari, Civitanova e Siracusa».

Il motivo di questo successo, secondo Morace, è semplice: «Il successo del festival è direttamente proporzionale al bisogno di territori di essere riconosciuti, di dire la propria, di incrociare saperi nuovi e diversi. Non è stata una fiera paesana, una kermesse di autorappresentazione. È stato un incontro felice tra specificità locali e ambasciatori della crescita».

Ed è proprio dagli ambasciatori della crescita, secondo il sociologo, il nucleo di una nuova autocoscienza nazionale, il fulcro del riscatto dell’Italia: «Insieme a loro ho girato l’Italia – racconta Morace – e ho incontrato un Paese impaurito e ripiegato su se stesso, con energie straordinarie che si muovono sottobraccio, braci sotto la cenere che vanno riattivate. Penso agli studenti delle università, ad esempio: loro sanno che c’è una via d’uscita».

«Dobbiamo ripartire dalle nostre qualità e dai nostri talenti, se solo avessimo psicologicamente un po’ di energia in più. Chi ha attraversato gli anni 80 e 90 si è scoraggiato. Chi non li ha conosciuti, vive nell’incertezza e nella paura del presente»

Il tema, semmai, è capire qual’è, questa via d’uscita. Per Morace, le persone: «Dobbiamo ripartire dalle nostre qualità e dai nostri talenti, se solo avessimo psicologicamente un po’ di energia in più. Chi ha attraversato gli anni 80 e 90 si è scoraggiato. Chi non li ha conosciuti, vive nell’incertezza e nella paura del presente». A riattivarle, è il dialogo con chi ce l’ha fatta: «Mi ha colpito mettere assieme esperienze contrastanti – continua Morace – sia a Palazzo Grassi a Venezia, dove abbiamo parlato di musei, arte e cultura e poi Siracusa parlando di Impact hub e giovani. In una e nell’altra esperienza abbiamo visto il desiderio dell’alto e il basso di incrociarsi. Italia di solito la cultura popolare e alta sono sempre state distanti, mentre oggi hanno voglia di dialogare».

Non è stato sempre un esperimento riuscito: «A volte è stata dura parlare di crescita – spiega Morace – soprattutto, paradossalmente, nei territori che vanno meglio, come l’Emilia-Romagna e il Piemonte. A Bologna e Torino è stata dura parlare di crescita, c’è stata un po’ di diffidenza per una visione progressiva e ottimista come la nostra. Forse perché le cose già funzionano, perché le energie sono già messe al lavoro. O forse perché sono contesti consolidati, dove non c’è tensione, né voglia di capire come farcela».

La tappa finale sarà Milano, però, forse il luogo più dinamico e vivo nell’Italia del 2016. Teme l’insuccesso? «Assolutamente no – spiega Morace -, perché Milano sarà la chiusura di un cerchio e la riapertura di una visione molto più progettuale. Sarà un momento di raccordo e raccolta di tutte le energie migliori e più innovative in giro per l’Italia. Verranno persone da Firenze, da Siracusa, da Gravina di Puglia. Ed è con loro che vogliamo lanciare il tour 2017». Un tour in cui il Festival cambierà passo: «Nel 2016 abbiamo raccontato quel che c’era. Nel 2017 vogliamo lanciare progetti nuovi. Banalizzando: meno chiacchiere, più workshop».

Nel futuro forse non c’è solo una nuova edizione del Festival, ma Morace la parola “movimento” non la vuole nemmeno pronunciare nonostante proprio a Milano presenterà un vero e proprio manifesto per la crescita: «Saranno nove punti, non un decalogo chiuso – spiega – una base di partenza che verrà discussa e integrata proprio nella tappa milanese». «Certo – continua – quando siamo partiti non speravamo di diventare quel che stiamo diventando. Non credo si possa chiamare un movimento, ma certamente è una comunità in cui la dimensione dell’affinità espansiva, non elettiva, ci può aiutare a rilanciare questo paese in tutte le sue componente strategiche: università, imprese, cultura. Creare circoli virtuosi può diventare qualcosa di sistematico in grado davvero di rilanciare l’Italia». Una comunità da cui la politica è assente: «Evidentemente hanno altre traiettorie», spiega Morace. E forse non è necessariamente un male.