Premio Nobel per la Pace: ma perché non lo aboliamo? Venerabile istituto, per carità, erede di una tradizione avviata nel 1901, grazie al lascito del produttore di esplosivi Alfred Nobel, con una scelta eccellente, quella di Jean Henry Dunant, fondatore della Croce Rossa e ideatore delle convenzioni di Ginevra per i diritti umani. Però, siamo sinceri, tutto prima o poi ha una fine. E’ scomparsa anche “Giochi senza frontiere”, perché dovremmo tenerci questo Nobel sempre più bislacco e inconcludente?
Cominciamo con la candidature. Quest’anno, record assoluto nella storia del premio: 376, di cui 228 individuali e 148 di organizzazioni. Numeri che hanno polverizzato il precedente record, i 278 candidati del 2014. Ci fosse tanta gente dotata di un minimo di influenza e decisa ad adoperarsi per il “mantenimento della pace” (questo dice la denominazione autentica del premio) avremmo un pianeta meno incasinato. Ma forse si cercano solo nobili figure, brave persone, facciano o meno qualcosa. Nel qual caso, avrei due o tre vicini di casa da proporre.
Ma non lo posso fare. Perché le candidature devono arrivare da esponenti di categorie ben precise: parlamentari, ministri, capi di Stato, professori universitari o personaggi che abbiano a loro volta ricevuto lo stesso premio. I soliti noti: politici che o non vogliono la pace o non riescono a far nulla per proteggerla, esperti che non riescono a farsi ascoltare o hanno poco da dire. Oppure, vincitori del Nobel. Che possono essere grandi persone, ma anche un guerrafondaio come Barack Obama (insignito nel 2009) o una giovane persona ancora impegnata a scoprire il mondo come Malala Yousafzai (2014).
Il primo fu Jean Henry Dunant, fondatore della Croce Rossa, nel 1901. Mentre l’edizione di quest’anno ha battutto ogni record di candidature: 376, di cui 228 individuali e 148 di organizzazioni. Numeri che hanno polverizzato il precedente record, i 278 candidati del 2014
Per non parlare del problema di chi il Nobel per la pace lo assegna. Si tratta di un comitato di cinque persone scelte dal Parlamento della Norvegia, Paese che ha il grande merito di aver dato i natali al più grande giallista vivente, Jo Nesbo, ma che non risulta tra i più decisivi sulla scena internazionale. Per il 2016, il famoso comitato (che resta in carica per cinque anni) risulta composto da Kaci Kullmann Five (presidente), consigliere degli Affari Pubblici; Berit Reiss-Andersen, avvocato; Inger-Marie Ytterhorn, consigliere politico del gruppo parlamentare Progress; Thorbjørn Jagland, segretario generale del Consiglio d’Europa; Henrik Syse, professore; Olav Njølstad, professore.
Brave persone. Chiederanno pure consiglio a gente in gamba. Resta il fatto che le loro scelte sembrano fatte o per bizzarria (par di vederli, i cinque, mentre si danno di gomito ridacchiando al pensiero dei giornalisti che devono correre a documentarsi su questo o quel personaggio sconosciuto) o per routine (quest’anno tocca all’Asia o all’America del Sud?). Ma anche, ed è la mia ipotesi preferita, aprendo il giornale due o tre giorni prima di decidere e vedendo di che si parla.
Il Nobel appena assegnato a Juan Manuel Santos, 65 anni, dal 2010 presidente della Colombia, sembra rientrare nell’ultima categoria. Per carità, Santos ha appena firmato un accordo di pace con le Farc, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia che per decenni hanno combattuto il Governo (di cui lui era parte) in una guerra civile che ha insanguinato il Paese con quasi 270 mila morti. Però i colombiani, interpellati con un referendum, hanno respinto l’intesa, quindi già ci si domanda: chi sono i cinque di Oslo per saperla più lunga dei colombiani stessi? Nel passato di Santos, inoltre, ci sono pagine assai oscure legate proprio alla guerra contro le Farc, con centinaia di contadini fatti passare per guerriglieri e brutalmente eliminati. Ma ora c’è l’accordo, quindi va bene tutto.
Dare un’occhiata ai giornali va sempre bene, ma a volte procura imbarazzi. Nel 2009 ebbe il premio Barack Obama, che nel 2010 vendette 62 miliardi di armi all’Arabia Saudita, già nota come hub dei finanziamenti ad Al Qaeda e al terrorismo sunnita, e nel 2011 si sbrigò a bombardare la Libia di Gheddafi prima che tutto il “merito” andasse a Francia e Gran Bretagna. Nel 1994 ebbero il Nobel YasserArafat, Shimon Peres e Ytzak Rabin, protagonisti degli accordi di Oslo del 1993. Altra firma, altro regalo, anche se poi agli accordi è successo quel che è successo e i nostri hanno fatto in tempo a combattersi senza tante storie.
Nel 1973 ebbe il Nobel per il mantenimento della Pace nientemeno che Henry Kissinger (per gli accordi di pace della Guerra del Vietnam). Purtroppo per i cileni, il premio Nobel Kissinger in quello stesso 1973, come dimostrato dai documenti desecretati poco tempo fa della Cia, si diede molto da fare per favorire il golpe del generale Pinochet in Cile
Nel 1973 ebbe il Nobel per il mantenimento della Pace nientemeno che Henry Kissinger. Come segretario di Stato di Richard Nixon, aveva lavorato all’accordo per la pace in Vietnam raggiunto a Parigi. Con lui fu designato anche Le Duc Tho, responsabile politico dell’insurrezione comunista vietnamita, che però (caso unico nei 115 anni di storia del premio) rifiutò il riconoscimento. Purtroppo gli americani rimasero in Vietnam altri due anni, che furono due anni di guerra. E purtroppo per i cileni, il premio Nobel Kissinger in quello stesso 1973, come dimostrato dai documenti desecretati poco tempo fa della Cia, si diede molto da fare per favorire il golpe del generale Pinochet in Cile. Nel 1978 lo vinsero Menachem Begin e Anwar al-Sadat, nel 1953 il generale George Marshall (l’ideatore del Piano Marshall). Nel 1919 il presidente Woodrow Wilson, nel 1906 il presidente Theodore Roosevelt.
Al di là dei casi sconcertanti o scandalosi, e di quelli in cui è andato a riconoscere il valore di personalità comunque già straordinarie e già premiate dall’ammirazione del mondo (Martin Luther King nel 1964, Madre Teresa nel 1979, Lech Walesa nel 1983, De Klerk e Mandela nel 1993), il Nobel per la Pace traccheggia in una correttezza politica che incide poco, ha poco sugo, lascia scarsa traccia. Jimmy Carter (2002)? Shirin Ebadi (2003)? Wangari Maathai (2004)? Mohammed El Baradei, che da direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica fu coperto di insulti da tutti coloro che volevano la guerra in Iraq? Al Gore (2007), truffato della presidenza degli Usa ma incensato per l’impegno sull’ambiente? Questo Nobel, ammettiamolo, spesso si risolve in un intervento a favore di questa o quella ottima iniziativa a sfondo umanitario. Ma non sarebbe meglio una bella colletta?