Il patto col diavolo dell’America: l’alleato saudita ora è un serio pericolo

Strage di civili in Yemen da parte dei Sauditi, gli Americani, però, non possono prendere le distanze dall'Arabia perché rischierebbero di consegnare l'alleato alla Russia

È un brutto momento per la politica estera statunitense. L’idealismo, i valori e i princìpi che la società americana in larga parte condivide, e che la Casa Bianca ha spesso usato per giustificare le proprie prese di posizione su questioni internazionali, stanno sempre più entrando in conflitto con gli interessi americani e gli strumenti con cui Washington li persegue. In Siria gli Stati Uniti, dopo un’escalation di proteste e gravi accuse, hanno di recente interrotto le relazioni bilaterali con Mosca denunciando il massacro di civili che i bombardamenti russi stanno causando ad Aleppo. Allo stesso tempo in Yemen, un Paese lacerato da quasi due anni di guerra civile tra il governo filo-saudita e i ribelli sciiti Houthi (sostenuti dall’Iran), gli Stati Uniti appoggiano la missione militare di Riad contro gli insorti.

Nonostante la superiorità bellica dell’esercito saudita questa guerra si è presto trasformata nel “Vietnam” di Riad, che fatica a riportare sotto il controllo suo e dei suoi alleati le aree conquistate dai ribelli, tra cui la capitale Sanaa, e che reagisce con ferocia alle difficoltà. Già in passato si sono registrati bombardamenti sauditi indiscriminati e migliaia di vittime civili, spesso ignorate dai mass media occidentali, ma sabato 8 ottobre si è verificato l’episodio più grave finora: il funerale del padre di un ministro del governo sostenuto dagli Houthi è stato ripetutamente bombardato dall’aviazione saudita. I morti sarebbero più di 140, i feriti oltre 500 e, vista la presenza alla cerimonia di diversi esponenti politici degli Houthi, ci sono pochi dubbi sull’intenzionalità del massacro. Gli Stati Uniti sono stati costretti a prendere le distanze, a parole almeno, con il portavoce della Casa Bianca Ned Price che ha dichiarato: “siamo molto disturbati dalle notizie che giungono dallo Yemen, la cooperazione americana con Riad non è un assegno in bianco”.

Le stragi di civili in Yemen – la cui responsabilità viene addossata a Riad e Washington – sono un potente strumento di propaganda per la Russia, l’Iran e gli altri alleati di Assad, i quali possono sostenere che agli Stati Uniti non interessi affatto fermare il massacro di civili ad Aleppo. Gli interessa solamente da un lato accontentare i propri alleati sauditi e turchi impedendo al dittatore siriano di pacificare il Paese, dall’altro contenere l’espansionismo di Mosca in Medio Oriente. Notizie come il massacro al funerale Houthi in Yemen, o come quelle sul ruolo della Cia nel far arrivare armamenti occidentali a gruppi qaedisti pur di contenere Assad in Siria, tendono infatti a ridurre la credibilità di Washington quando sostiene di orientare la propria politica estera in base ai valori – in particolare il rispetto dei diritti fondamentali – e non agli interessi.

La supposta vicinanza di Riad ad Al Qaeda prima e all’Isis hanno fatto interrogare più di un esperto sulla bontà delle alleanze occidentali nella regione. Saremmo, secondi i critici, i migliori alleati di chi – tramite la predicazione di imam fanatici – promuove e diffonde il terrorismo jihadista a casa nostra

Il momento storico è critico e forse decisivo per gli Usa. Proprio quei valori, che sono stati spesso usati come pretesto per giustificare determinati interventi militari e politici all’estero durante i 15 anni di “guerra al terrore”, hanno generato un sentimento diffuso in America di ostilità verso l’Arabia Saudita, alleato strategico in Medio Oriente. La supposta vicinanza di Riad ad Al Qaeda prima e all’Isis poi, o quantomeno l’ostilità saudita nei confronti dei principali avversari dell’Isis (gli sciiti), hanno fatto interrogare più di un esperto sulla bontà delle alleanze occidentali nella regione. Saremmo, secondi i critici, i migliori alleati di chi – tramite la predicazione di imam fanatici – promuove e diffonde il terrorismo jihadista a casa nostra. Non solo. La monarchia saudita potrà essere ora portata in giudizio da cittadini americani, parenti delle vittime, per via dell’11 settembre. Una legge, quella che consente tale azione giudiziaria, passata dal Congresso Usa sovvertendo il veto presidenziale di Obama, che temeva di logorare i rapporti (già tesi per via dell’Isis e soprattutto dopo l’accordo sul nucleare con l’Iran) con Riad. Il tutto mentre il nuovo re saudita, Salman, ha impresso alla politica estera del suo Paese una svolta aggressiva senza precedenti.

Queste tensioni, che nascono dagli ideali, sono pericolose per l’alleanza, che nasce dagli interessi. La monarchia saudita è uno dei principali clienti dell’industria bellica americana e occidentale, ma non solo. In un periodo in cui gli equilibri mediorientali sono saltati, la Russia ha guadagnato un peso nello scacchiere regionale senza precedenti, la Turchia (in teoria alleato Nato) è gelida con l’Occidente e anzi si avvicina al Cremlino, l’Iran è in forte ascesa e la stessa Israele sembra meno legata a Washington che in passato, Riad è troppo importante come partner strategico per essere abbandonato o eccessivamente maltrattato. Per questo a suo tempo (anche per bilanciare l’accordo con l’Iran, visto come fumo negli occhi dai Saud) gli fu data carta bianca in Yemen. Per questo non sembra realistico che gli Usa vogliano rischiare di lasciare una pedina così importante (il petrolio conta sempre meno, ma ancora moltissimo, e la posizione geografica dell’Arabia Saudita è strategica) alla Russia o ad altri, aumentando oltretutto il pericolo che, per reazione, crescano i finanziamenti al terrorismo jihadista.

Il prossimo presidente americano, chiunque sia, si troverà di fronte a una situazione potenzialmente esplosiva. L’opinione pubblica americana e occidentale è sempre più insofferente verso Riad, e vorrebbe se non un cambio di alleanze nella regione almeno una minor condiscendenza verso i Saud. Mantenere tale rapporto – e le forniture belliche – ha anche un costo in termini tattici, oltre che di consenso, indebolendo la posizione americana quando protesta contro le violenze indiscriminate di Putin e Assad (e non solo). Tuttavia un ipotetico cambio nella geometria delle alleanze occidentali in Medio Oriente si teme potrebbe far degenerare il caos attuale in qualcosa di ancora peggiore. Il patto col diavolo degli Usa non può insomma essere rotto, e sembrare angeli diventerà sempre più difficile.

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