Il vocabolario dell’humanagementLa dote più importante per un capo? La chiarezza

Quante volte ci nascondiamo dietro l’opacità e la confusione per convincere qualcun’altro? Non c'è errore peggiore, per un manager. Perché chiarezza fa rima con autorevolezza

“Se non puoi convincerli, confondili”, diceva Arthur Bloch, scrittore e umorista americano. Convincere e confondere iniziano anche loro con la lettera C, ma io preferisco la chiarezza, dote rara. Pensateci un attimo, quando è stata l’ultima volta in cui qualcuno ha generato in voi la sensazione di avervi trasmesso il proprio pensiero con lucidità, compiutezza e senza lasciarvi dubbi interpretativi? É davvero un evento raro. Poiché quando comunichiamo siamo tutti vittime e carnefici, può darsi che anche noi non si sia suscitata una sensazione positiva negli altri.

Se qualcuno inizia a parlare o a scrivere confusamente che reazioni genera? Inizieremo a pensare che non ha le idee chiare, che non sa cosa vuole, o peggio che non è preparato su quanto disserta, che sta improvvisando. Una congerie di congetture, tutte di segno negativo. Noi esprimiamo valutazioni, forse talvolta anche troppo affrettate, ma nulla più della comunicazione innesca nelle persone questo atteggiamento giudicante.

Essere chiari significa spiegare i nostri intenti senza lasciare dubbi, o riducendoli il più possibile. Questo genera autorevolezza, credibilità, voglia da parte degli altri di seguirci. La mente umana di fronte alla confusione espressiva fa solitamente tre cose: interpreta, integra e seleziona. Faccio degli esempi.

Interpretazione. Noi interpretiamo il linguaggio alla luce della nostra esperienza. Ricordo una spassosa conversazione durata qualche minuto tra un informatico e una tour operator che parlavano di BIT. Il primo pensava al concetto informatico della parola, la seconda alla Borsa del Turismo, di cui sosteneva l’obsolescenza. Beh, ci fu da ridere, perché si accalorarono entrambi nel sostenere ovviamente tesi opposte, e solo dopo un po’ si accorsero dell’equivoco. Questo è un errore in cui si incorre di frequente, anche in situazioni molto comuni. Noi per esempio lo notiamo nei giri di tavolo dei nostri training. Le persone descrivono i loro ruoli attraverso sigle e abbreviazioni, che li fanno risultare spesso oscuri o quantomeno opachi agli occhi dell’audience. Un peccato, perché così perdono l’opportunità non solo di suscitare interesse, ma anche di generare network ad esempio. Poi, poiché nessuno dei presenti chiede mai chiarimenti, se va bene per l’appunto interpreta e quasi sempre erroneamente, più spesso stacca il cervello e l’interesse si azzera del tutto. Risultato: tu ti sei presentato, nessuno ha capito che fai e non hai suscitato alcun interesse. Tempo perso.

Essere chiari significa spiegare i nostri intenti senza lasciare dubbi, o riducendoli il più possibile. Questo genera autorevolezza, credibilità, voglia da parte degli altri di seguirci

Integrazione. Immaginate una scena al ristorante con amici. Avete appena ordinato una portata a testa. Il cameriere arriva e chiede ” La gallina?”. Prontamente una delle signore al tavolo dice “Io, io!”. É evidente che la domanda così espressa, stringata e in questo contesto, poteva starci, così come la risposta della signora, che sicuramente in altre situazioni non si sarebbe espressa tanto succintamente, rischiando di auto assimilarsi al grazioso animale da pollaio. Questa comunicazione, che in altri contesti risulterebbe paradossale, qui ha un senso. Il processo di integrazione (che sfrutta i meccanismi di ciò che in psicologia è chiamata “euristica”), vale a dire il chiarire o colmare informazioni mancanti con altre già in nostro possesso perché frutto di esperienze precedenti, è andato a buon fine. In molte altre occasioni purtroppo non è così. Gli altri integrano quanto noi diciamo e lo fanno alla luce della propria esperienza, esattamente come nel caso dell’interpretazione.

Selezione. A fine giornata, il nostro cervello, di dimensioni finite, resetta e cancella ciò che ritiene superfluo. É un processo assolutamente naturale. Vi farebbe piacere che a finire nel cestino fossero proprio le vostre parole? Onestamente a me no, verrebbe da chiedersi allora perché comunicare. Per evitare che ciò accada operate voi la selezione. Dite poco, ma bene. Pensiamo alla guerra dei Romani contro i Galli, chi di noi la conosce in dettaglio? Di Cesare vittorioso però la maggior parte di noi si ricorderà probabilmente e questo grazie a un tweet ante litteram “Veni vidi vici”. Anche quindi senza aver letto il De bello gallico o più prosaicamente Asterix, grazie a questa meravigliosa sintesi, tutti ricordiamo il fatto più importante almeno, ossia che i Romani conquistarono la Gallia.

Non è facendo mostra della nostra conoscenza che acquisiremo consensi, quanto piuttosto dicendo il necessario in funzione dei nostri obiettivi da una parte, e dei sentimenti, conoscenze e aspettative del nostro pubblico dall’altra, e insieme ottenendo il risultato di essere apprezzati per la nostra chiarezza.

“Esprimi il tuo pensiero in modo conciso perché sia letto, in modo chiaro perché sia capito, in modo pittoresco perché sia ricordato e, soprattutto, in modo esatto perché i lettori siano guidati dalla sua luce.” (Joseph Pulitzer)

Ed ora due risate in questo video dove la massima di Bloch è applicata con grandissima maestria.

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