Le risposte sono arrivate. Non quelle attese, forse. Sicuramente non quelle che si aspettavano 42 deputati del Parlamento Europeo. Perché il silenzio di Frontex – l’Agenzia europea per la sorveglianza dei confini – era d’oro. Mentre la verità è di piombo. Piombo come i proiettili esplosi nell’arco di 20 mesi da parte di imbarcazioni della Guardia Costiera greca che opera nell’Egeo, assieme a Frontex, contro i barconi di migranti che tentavano la traversata dalle spiagge turche verso le isole elleniche. Una storia insabbiata e svelata il 22 agosto di quest’anno dal reporter Zach Campbell per The Intercept con tanto di documenti integrali “rilasciati inavvertitamente”, scrive il magazine fondato da Glenn Greenwald, da Frontex.
The Intercept denuncia l’uso di armi da fuoco contro i gommoni di migranti nel mar Egeo. 42 parlamentari europei chiedono chiarimenti a Frontex. Che risponde: possiamo sparare, le regole d’ingaggio sono greche
Rivelazioni che fanno scalpore e suscitano l’interesse e lo sdegno anche nei palazzi che contano. A Bruxelles 42 deputati del Parlamento Europeo chiedono chiarimenti con un’interrogazione indirizzata al Direttore Esecutivo dell’Agenzia, Fabrice Leggeri, e per conoscenza al Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks, e a Emily O’Reilly, Mediatrice europea dal 2013. Gli italiani a sottoscrivere sono Barbara Spinelli, come prima firmataria, Curzio Maltese, Laura Ferrara ed Eleonora Forenza.
Il 29 di settembre arrivano le risposte, le giustificazioni e qualche tecnicismo a intorbidire le acque. Nella metà dei casi si è sparato in aria – colpi di avvertimento per intimare al barcone di fermarsi. Mai contro i gommoni tubolari o idraulici – le zattere che solcano l’Egeo e il Mediterraneo centrale ormai da due anni – ma solo contro imbarcazioni in legno e vetroresina, mirando prima all’acqua circostante, poi alla carena anteriore e infine ai motori fuori bordo. Il motore pieno di benzina, dove alla notte, quando si sono verificati la stragrande maggioranza dei fatti, si accalcano le persone in cerca di calore. E le armi in dotazione ad alcuni gruppi peggiorano le cose: si tratta di pistole mitragliatrici MP-5 con munizioni che, secondo alcuni esperti di armi e balistica, sono fatti per non fermarsi in un punto ma rimbalzare dentro il corpo e tritare la carne umana. Oppure di carabine M4-M16, più precise e già usate in Somalia contro la pirateria, ma non abbastanza per un colpo in notturna da nave a nave puntando al motore. Devi essere molto bravo o molto fortunato e sperare allo stesso tempo che il carburante non prenda fuoco o esploda.
Proiettili in aria, altri in acqua, sulla carena, sul motore carico di benzina. Tre siriani finiscono feriti. L’ufficiale greco va a processo e viene assolto in meno di un mese
Ma tutto questo non conta perché l’articolo 20/2 del Codice di Condotta di Frontex per il personale che partecipa alle operazioni permette “l’uso delle armi assoggettato ai principi di necessità e proporzionalità”.
Le stesse “proporzionalità” e “necessità” che hanno permesso a un ufficiale greco di svuotare un caricatore da 30 colpi, di cui 16 sono stati ritrovati conficcati nello scafo di un vascello in fuga nei pressi dell’isola di Chios, guidato un pescatore turco improvvisatosi trafficante di uomini. L’ufficiale, che in quell’occasione ha ferito tre profughi siriani, è finito sotto accusa come ricostruisce Emilio Drudi per Associazione Diritti e Frontiere. È stato assolto in meno di un mese nonostante a «bordo della barca non ci fossero armi» ha ammesso durante il processo. Assolto perché semplicemente poteva farlo come stabiliscono le regole d’ingaggio sancite dalla Grecia e a cui Frontex si adegua senza battere ciglio.
Su questo doppio binario si muovono le risposte fornite dall’Agenzia: le leggi le fanno gli Stati membri che partecipano alle operazioni e gli Stati che ospitano la sorveglianza dei confini, fanno sapere da Varsavia. E aggiungono che in realtà non esistono equipaggi Frontex. I deputati di Bruxelles chiedevano di sapere chi fosse a prendere le decisioni di sparare: il Capitano della nave in autonomia? Il quartier generale di Frontex? La Guardia Costiera dello Stato che ospita l’operazione? Risposta: le decisioni vengono prese dall’ufficiale in comando assieme a all’ufficiale di coordinamento dello Stato ospitante. Scrive ancora Fabrice Leggeri, in una nota di due pagine, che in realtà “non esistono navi Frontex” il che è strano visto che invece esistono i 142,6 milioni di euro erogati all’Agenzia solo nel corso del 2015.
Il Direttore dell’Agenzia: «In realtà non esistono navi Frontex». Esistono però i 142,6 milioni che gli hanno dato l’Europa e gli Stati membri
Tradotto: Frontex vive, le sue missioni in mare pure – anche se a breve cederanno il passo alla EBCG, European Border and Coast Guard, il cui mandato non è del tutto chiaro mentre i soldi stanziati dovranno necessariamente aumentare -, ma le regole le fanno altri, nel caso specifico la Grecia. Loro applicano leggi ed eseguono ordini.
Tempi bui: nell’Egeo si è sparato; nel Mediterraneo centrale anche. Con attori diversi. È stata la Guardia Costiera libica in almeno due occasioni a far viaggiare piombo rovente. A maggio, per intimare “l’alt” alla Sea Watch 2, imbarcazione dell’omonima Ong tedesca che si occupa di ricerca e soccorso in mare, prima di salire a bordo con fare intimidatorio, accusando la no profit teutonica di aver varcato i confini libici. Non quelli delle 12 miglia marittime, ma le 24 miglia, area in cui i militari del Governo di Tripoli possono pattugliare e fare il bello e il cattivo tempo. Linkiesta ha trascorso due settimane in quell’area a luglio, proprio a bordo della “Sea Watch 2”, e non ha visto nessuna imbarcazione di Ong varcare le 24 miglia – nemmeno sul radar – proprio per timore di ripercussioni.
I proiettili hanno colpito una seconda volta ad agosto, il 17 del mese, quando nel mirino ci è finita la nave Buorbon Argos di Medici Senza Frontiere. Le giustificazioni del Governo di Unità Nazionale di Tripoli, presieduto da Fayez Al-Sarraj, lasciano il tempo che trovano: prima è stato accusato un gruppo di miliziani libici non identificato, per poi riconoscere l’avvenuto sostenendo che i proiettili sarebbero stati sparati in aria. Sebbene alcuni proiettili abbiano raggiunto il ponte e la cabina di comando della Ong di origini francesi.
Nel Mediterraneo si spara. I libici salgono a bordo della “Sea Watch 2”, Ong tedesca, a maggio. Ad agosto 13 proiettili raggiungo la Buorbon Argos di Medici senza Frontiere. Lo scambio con i militari italiani: «Volgiamo i gommoni vuoti e la benzina per pagarci l’uscita in mare»
Guardia Costiera libica che peraltro si è resa nota di uno scambio al limite del ridicolo: in un video girato dall’inviato del Corriere della Sera, Lorenzo Cremonesi, si vedono i libici sorvegliare a distanza un gommone carico di profughi. Attendere che una nave militare italiana dell’operazione “Mare Sicuro” trasbordi le persone. E infine approcciare al gommone, ormai vuoto, per portarselo via. Giustificazione? Con il motore, la benzina e il telaio, ci si ripaga o si ammortizza il costo dell’uscita in motovedetta. I militari italiani fanno presente che per legge devono sequestrare il mezzo e consegnarlo alla giustizia, come prova di un reato, nell’eventualità che qualche magistrato volesse indagare sulla provenienza dei gommoni o sulle aziende produttrici e relativi compratori. I libici esausti tentano una mediazione: «Noi il motore e voi il gommone». «Come al bazar» chiosa il repoter del quotidiano di via Solferino che sta traducendo lo scambio surreale.