A guardare i titoloni dei giornali, sembrava anche una cosa seria. Il Consiglio d’Europa ha bocciato l’utero in affitto. Sarebbe una cosa importante, se il Consiglio fosse importante. Ma visto che non lo è – o, almeno, lo è molto meno rispetto all’Europa vera, quella di Bruxelles, quella che Salvini “odia” – anche la notizia va ricalibrata alle sue giuste proporzioni.
Detto questo, i fatti: l’assemblea parlamentare ha bocciato il primo rapporto sulla maternità surrogata: 83 voti contrari e 77 voti a favore, con sette astenuti (decisivi). La proposta non era nulla di che: chiedeva di introdurre alcune norme a tutela dei bambini nati da maternità surrogata. Tra i contrari, però, ha prevalso il sospetto che i diritti dei più piccoli fossero usati come grimaldello per legalizzare tutta la procedura. Non ha aiutato nemmeno il fatto che il latore fosse la senatrice Petra De Sutter, primo membro transgender del parlamento belga e ginecologa dell’ospedale di Gant, dove ha – in assenza di una legge nazionale – autorizzato più volte la surrogata. Non è il suo unico conflitto di interessi: la De Sutter era stata già oggetto di una mozione di sfiducia perché collabora con l’agenzia Seeds of Innocence, guarda caso specializzata nella “fornitura” di donne che offrono il proprio utero (in cambio di denaro).
Il fronte del no ha visto, compatti, i rappresentanti del Movimento Cinque Stelle. Insieme a loro, due delegate del Partito Democratico: la deputata Eleonora Cimbro e la senatrice Maria Teresa Bertuzzi, che ha fatto notare che, oltre alle sue convinzioni personali, ha appoggiato “l’istituzione cui appartengo, il Senato italiano, dove la senatrice Anna Finocchiaro ha presentato una mozione per l’abolizione universale della maternità surrogata”. Non solo: contro l’utero in affitto hanno votato due parlamentari di Forza Italia (uno ha votato sì), i tedeschi si sono spaccati a metà, gli inglesi anche.
È emerso, insomma, che la maternità surrogata non piace (quasi) a nessuno. Si oppongono, per mille diverse ragioni, mille diversi elementi della società: i cattolici dicono no, per difendere i diritti dei bambini e lo dimostrano con i Family Day. Assieme a loro ci sono le frangie politiche della destra conservatrice.
Poi ci sono le femministe (di ogni orientamento sessuale, ricercatrici, giuriste, medici, attiviste e attiviste per i diritti umani) che si sono trovate a Parigi a febbraio per contrastare quella che viene definita “una pratica alienante per la persona umana, fonte di disuguaglianza di genere e di sfruttamento”: con l’utero in affitto si assiste alla “relativa disumanizzazione delle madri ridotte a lavoratrici/fattrici su commissione”. Fanno questa battaglia in nome dei “valori della sinistra vera”, che non coincide con quella di Renzi, e contro “la lobby delle industrie biotecnologiche. Le agenzie comprano e vendono ovociti e spermatozoi, ma quello che più manca alla loro catena di produzione è la disponibilità del ventre femminile. E allora si rivolgono a donne molto fragili, reclutate su un grande mercato che possiamo qualificare come neocoloniale”.
E intorno a questi poli, si raduna un nugolo di studiosi, filosofi, pensatori che non sanno bene che pesci pigliare. Ma, nel dubbio, dicono no. Per ragioni etiche, per rispetto della donna, per rispetto del bambino (e, un po’ per antipatia nei confronti degli omosessuali).
Alla fine, quella che veniva venduta come una battaglia di civiltà – cioè la stepchild adoption, inserita in mezzo alle norme per le unioni civili – per ripianare i ritardi dell’Italia rispetto agli altri Paesi, si scopre che non lo era. Anzi: è molto discussa e molto discutibile. Ma nei giorni convulsi in cui veniva approvata la Cirinnà, solo un uomo ha avuto il coraggio di entrare a gamba tesa e bloccare tutto, interpretando quello che, secondo alcuni sondaggi, era il parere del 70% degli italiani. Fermi tutti, disse l’eroico Angelino Alfano. Con il suo niet la maternità surrogata non si fece, i cattolici gioirono e le femministe anche. La lobby biotecnologica retrocesse. L’Italia fece una legge a metà, e l’Europa sembrava lontana. Una scelta miope. Ma, visto il voto del Consiglio d’Europa, forse, era un problema diverso: di presbiopia.