Una convizione di oltre un secolo che rischia di sgretolarsi. Dalle ricerche di Charles Darwin in poi, si è sempre pensato che le espressioni facciali umane fossero universali, cioè uguali in tutte le culture del mondo. Quando si è felici, si sorride allo stesso modo in Australia e in Irlanda. E quando si è arrabbiati, il cruccio è identico ovunque. Ecco, non è vero.
Lo hanno scoperto due scienziati spagnoli, Carlos Crivelli e José-Miguel Fernandez-Dols, dell’Università Autonoma di Madrid. Insieme a un amico antropologo, Sergio Jarillo, sono andati nelle isole Trobriand, in Papua Nuova Guinea, dove vivono ancora 60mila persone isolate dal resto del mondo. Si sono fatti adottare dalle famiglie, hanno assunto dei nuovi nomi, hanno imparato la lingua.
Al termine di questo processo preparatorio, sono passati all’azione: hanno mostrato agli indigeni diverse immagini di espressioni facciali (sono i modelli adottati in modo universale in psicologia) e hanno chiesto loro di dire quali emozioni esprimessero. Di fronte a un sorriso, tutti erano d’accordo nell’indicare la felicità, la contentezza. I primi dubbi sono emersi alla vista di uno sguardo severo: non c’era accordo. Lo stesso per quella che, in occidente, sarebbe l’espressione dell’indecisione. Ma il punto di svolta fu la vista di un volto pieno di paura. Per gli indigeni si trattava di una persona molto arrabbiata: nessun dubbio.
L’indicazione è importante per molti aspetti: le espressioni facciali non sono il risultato di un meccanismo naturale, ma di un’influenza culturale. Tutti hanno delle risposte muscolari ad alcuni precisi stimoli emotivi, ma l’interpretazione del significato varia a seconda delle culture. Questo cambia molte cose. Prima di tutto, i software che si occupano del riconoscimento facciale e dell’interpretazione emotiva dei volti dovranno essere rifatti da capo (o, quantomeno, conosceranno un impiego limitato solo a certe popolazioni). E poi, a livello teorico, viene messa in crisi una teoria che, da tempo, era considerata più un fatto acquisito.
Insomma, esiste sì, come la definisce James Russell, psicologo del Boston College, una “universalità minima”, cioè il fatto che i muscoli facciali si muovano in risposta a stimoli emotivi, e soprattutto il fatto che lo facciano in armonia, riproducendo una serie di modelli standard (espressione “felice”; espressione “arrabbiato”; espressione “dubbioso”) che, però, vengono interpretati in modo vario, di cultura in cultura. Essere tristi alle isole Trobriand si esprime in mdo diverso, per cui occorre fare attenzione. Sorridere, però, va sempre bene.