“Le parole sono importanti” gridava il Nanni Moretti più citato della storia. Oggi più che ieri.
I casi delle barricate contro i profughi nel ferrarese, l’estate di Capalbio e l’autunno caldo che Milano vive con la vicenda della caserma Mameli riaprono l’annosa battaglia: da una parte gli alfieri del buonismo e dell’accoglienza, si dice, dall’altra il razzismo dei “cittadini esausti” di Goro e di numerose località italiane. In mezzo le scomuniche del prefetto Morcone, capo Dipartimento Immigrazione e Libertà Civili al Viminale, il balbettii, a Radio24, del sindaco nella cittadella delle vongole e i “capisco ma non giustifico” del premier Renzi.
Che cos’è il buonismo? «Un’invenzione linguistica» per Luigi Manconi. «Una fantasia dei reazionari per poter chiamare froci i froci e negri i negri»
Luigi Manconi, senatore Pd, non ci sta. Politico sardo, scrittore, docente universitario, una vita passata a combattere per i diritti umani degli ultimi e le libertà civili. Appena sente la parola “buonismo” accusa il colpo: «Una fantasia linguistica. Non voglio nemmeno parlarne». Alla fine ne parla.
Senatore, nel suo ultimo libro Corpo e Anima dedica ampio spazio a questo concetto. Ma cos’è il buonismo?
Ho un giudizio brutale su questo: il buonismo è un’invenzione linguistica che non corrisponde ad alcuna realtà sociale e a nessuna politica pubblica. È un pretesto dei reazionari per poter dire che esiste una dittatura del politicamente corretto. E contro questa sedicente dittatura brandiscono un’arma: quella di poter e voler chiamare froci i froci e negri i negri.Se ne parla perché politici, media, opinione pubblica pensano che esista…
Non esiste. Sotto due aspetti. In primo luogo perché, al massimo, in Italia ha trionfato il “cattivismo” in questi anni. E perché una politica pubblica è efficace o non efficace. Per il resto non so di cosa si stia parlando.Se la si usa qualcuno l’avrà pure sdoganata?
È una parola inventata almeno trenta di anni fa. Per bollare e denigrare chi si rifiutava di usare la forza e la violenza per risolvere le contraddizioni sociali. I mass media l’hanno cavalcata. Il ceto intellettuale e la classe politica l’hanno accolta senza preoccuparsi di una cosa semplice: il suo significato. Oggi viene usata in maniera schizofrenica. Esempio banale: chi si rifiuta di erigere un muro è un buonista. Ma non c’entra nulla.«La parola buonismo è nata trent’anni fa per bollare chi si rifiutava di usare la violenza. Da allora è stata sdoganata da intellettuali e politici e abusata dai media»
Perché?
Decidere di costruire un muro e chiudere una frontiera, o non farlo, dipende dal altri fattori: economia e demografia su tutti. Non dalla solidarietà o dai buoni valori.Ci sono però associazioni, attivisti e onlus mosse dalla solidarietà…
La Caritas è buonista? No. È un’associazione di ispirazione religiosa che attua delle strategie a tutela di varie categorie di persone: poveri italiani o richiedenti asilo, per esempio. Funzionano? Bisogna valutare caso per caso, ma hanno l’obiettivo dichiarato di mantenere l’equilibrio sociale ed evitare conflitti.Chi combatte i “buonisti” accusa questi soggetti di lucrare sull’emergenza. L’ultimo caso in ordine di tempo riguarda la coop “Inopera” a Milano, già coinvolta in “Mafia Capitale” e nei centri d’accoglienza dell’Irpinia…
Le coop sociali sono iniziative di imprenditoria che intervengono sul fronte dell’accoglienza. E possono farlo in due modi: lecitamente oppure speculando sul dramma delle persone. Dico di più: lo fanno e lo faranno con richiedenti asilo esattamente come avviene con le residenze per anziani o le strutture di assistenza ai portatori di handicap. Ripeto: cosa c’entra il buonismo?Quindi, chi usa questa parola sbaglia. Dall’altro lato della barricata c’è chi usa parole come deportazione…
Stesso identico problema.E il caso dei 40 sudanesi di Ventimiglia?
Non abbiamo bisogno di evocare epoche buie della storia per parlare di un fatto attuale. Quella che qualcuno chiama deportazione è un respingimento collettivo. Punto. È sbagliato? Sì. Mi batto contro questa ingiustizia? Sì. Come mi batto contro i Cie senza bisogno di chiamarli lager. Quel caso di cronaca è esplicativo: ci sono 40 sudanesi da espellere? Bene, esiste una procedura e per ognuno esiste un ricorso di cui attendere l’esito. Ma è più facile liberarsi di loro con un respingimento collettivo. Senza nemmeno subire l’onta del razzismo. Basta ascoltare le pulsioni di opinione pubblica e media al seguito.«Si possono combattere i Cie senza chiamarli lager e opporsi ai respingimenti collettivi senza chiamarli deportazioni»
Lei parla di politiche pubbliche efficaci. Il nuovo piano annunciato da Ministero degli Interni e Anci sull’accoglienza è efficace?
Il giudizio generale positivo ma lo vedremo alla prova dei fatti.Il piano prevede 500 euro (da stanziare in finanziaria NdR) per ogni richiedente asilo accolto sul territorio. Ma rimane invariato il principio di volontarietà dei comuni che già in passato non ha funzionato…
È vero, ma la questione è delicata: il criterio della volontarietà non può essere ignorato. Comuni e Anci si trovano in una condizione a cui è difficile derogare. Una condizione che alla resa dei conti ha avuto un esito modesto: solo 1200 comuni su 8.200.Si tenta la strada dell’incentivo economico?
Sì. Superare il vincolo dell’opposizione di alcuni sindaci e amministrazioni locali lo si può fare solo con strategie di persuasione, anche economica.Il nuovo piano di Anci e Viminale per l’accoglienza? «Ci sono i soldi ma non bastano. Senza politiche per il lavoro gli incentivi economici non reggono»
Bastano i soldi, quindi?
No, purtroppo. Sappiamo che i soli incentivi economici, alla lunga, non reggono o reggono poco.Cosa serve?
Credo che il punto principale sia un programma per agevolare il lavoro dei profughi non gratuito. Quello si è già è sperimentato in diversi comuni.Renzi ha sostenuto che l’Italia non potrebbe reggere un altro anno a questi ritmi. Non senza la collaborazione di tutti gli enti locali. Si annunciano decisioni calate dall’alto?
Mi trovo in imbarazzo a pensare che l’accoglienza debba diventare un’imposizione del governo centrale. Dobbiamo preservare la volontà dei territori senza rimanerne prigionieri. Ma anche senza essere mai stato sindaco o amministratore locale non riesco a immaginare un atto di imperio da Roma.