Non mi era mai successo di essere messo all’angolo durante una conferenza. Ho fatto davvero molti speech nella mia carriera, davanti a ogni tipo di pubblico, passando dalle aule dei master alle conference room delle aziende, dai corsi per riabilitare i detenuti nelle carceri alle ostiche ma divertenti aule delle scuole elementari. In ogni situazione ho sempre creato una buona empatia con i partecipanti, ricevendo ottimi feedback e commenti costruttivi dalla platea. Questo fino a metà settembre 2016, quando ho preso parte a un panel di relatori per un corso di formazione dei giornalisti della Lombardia. Il titolo della giornata era “Saremo tutti robot?”, a cui ho partecipato con entusiasmo, occupandomi da sempre di nuove tecnologie, innovazione e rapporto uomo macchina.
Sono intervenuto subito dopo il moderatore, l’amico Bruno Lamborghini, e ho iniziato il mio intervento affermando più o meno quanto segue: “Sorrido tutte le volte che sento dire “L’uomo e la natura” e ancora di più quando sento dire “L’uomo e la tecnologia”, forse ci dimentichiamo che l’uomo è una scimmia, è un animale e per questo fa parte della natura, come una pianta, un fiore o una farfalla. Vi sognereste mai di scrivere un articolo dal titolo “Il fiore e la natura”? Il fiore È natura così come l’uomo È natura; ma mentre per il fiore questa è una relazione totalizzante per l’uomo c’è di più, l’uomo è anche tecnologia, l’uomo È tecnologia. La nostra specie è il risultato di una riuscita co-evoluzione tra il nostro organismo, la biologia e la tecnologia, tra natura e cultura.
Questo è stato il mio attacco. A questo punto del mio intervento la platea sembrava solo interessata, notavo solo persone che cambiavano posizione sulle poltroncine, guadagnando una postura più adatta all’ascolto e all’attenzione. Tutto funzionava, come al solito, stavo provando a entrare in empatia con il pubblico, stimolando la loro attenzione e la loro curiosità. Mi sbagliavo. Non certo per colpa del pubblico, né spero per colpa mia, credo piuttosto per la scomodità e la potenza dell’argomento trattato, stavo per entrare (anzi ero già entrato) in una sequenza di ragionamenti che mi avrebbero fatto perdere il contatto con la platea o almeno con una parte più rumorosa di essa, che improvvisamente ha iniziato a lamentarsi e ad agitarsi sulla propria poltroncina. Ed eccoci qua, non per volontà di polemizzare ma proprio perché il tema è controverso e complesso credo sia giusto approfondire qui quello che ho provato a dire in quell’aula. Credo sia giusto continuare a discutere del delicato e profondo legame tra noi e le macchine ora che proprio questo rapporto sta per diventare così importante per la nostra esistenza.
Noi amiamo tecnologicamente, comunichiamo tecnologicamente, mangiamo tecnologicamente, da sempre… e che dunque saremo sempre più umani tanta più tecnologia useremo
Nonostante sia faticoso, scardinante, spiazzante dobbiamo iniziare a pensarci come esseri già robotizzati, già potenziati. Davvero sono convinto che l’uomo È tecnologia e che non esiste origine, evoluzione e cultura dell’homo sapiens senza questo accento posto sulla E. Noi amiamo tecnologicamente, comunichiamo tecnologicamente, mangiamo tecnologicamente, da sempre… e che dunque saremo sempre più umani tanta più tecnologia useremo. Naturalmente non sono il solo a sostenere questa tesi, in particolare Umberto Galimberti scrive nella sinossi del suo libro Psiche e Techne:
“Noi continuiamo a pensare la tecnica come uno strumento a nostra disposizione, mentre la tecnica è diventata l’ambiente che ci circonda e ci costituisce secondo quelle regole di razionalità che, misurandosi sui soli criteri della funzionalità e dell’efficienza, non esitano a subordinare le esigenze dell’uomo alle esigenze dell’apparato tecnico. (…) E poiché il suo funzionamento diventa planetario, questo libro si propone di rivedere i concetti di individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia, di cui si nutriva l’età umanistica e che ora, nell’età della tecnica, dovranno essere riconsiderati, dismessi o rifondati alle radici”.
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