Ad Aosta, 1.640 chilometri dal porto di Pozzallo (Ragusa), le notizie degli sbarchi dei migranti sulle coste siciliane arrivano un po’ come le cronache dall’estero. Sui giornali locali si parla di buste sospette a Equitalia, raccolta differenziata e del tradizionale combattimento transfrontaliero tra le mucche autoctone e quelle del Valais della Savoie, che fa arrabbiare gli animalisti. Ma i migranti in Valle d’Aosta sembrano un problema lontano, di cui nessuno vuole occuparsi.
La regione a statuto speciale, con una popolazione di poco più di 127mila abitanti, è l’unica in Italia a non partecipare allo Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati finanziato da Roma, che il Viminale sta cercando di diffondere in quanto permette di programmare l’accoglienza a livello comunale senza ricorrere a strutture improvvisate. È quello che ci si aspetterebbe da un territorio così piccolo, organizzato in 74 microcomuni raccolti in otto unità comunali. E invece così non è. Nonostante sulla carta la quota assegnata sia di oltre 400 immigrati, oggi la regione ne ospita 291 – il numero più basso d’Italia, lo 0,2% sul totale e in rapporto alla popolazione. Tutti accolti nei centri straordinari della valle (i cosiddetti cas), gestiti dalle cooperative private. Alberghi, ostelli e appartamenti presi in affitto dalle coop, pagate circa 35 euro al giorno per migrante. Di cui solo 2,50 euro finiscono nelle tasche degli immigrati.
La regione a statuto speciale, con una popolazione di poco più di 127mila abitanti, è l’unica in Italia a non partecipare allo Sprar. I 291 immigrati ospitati nella regione – il numero più basso d’Italia, lo 0,2% sul totale e in rapporto alla popolazione – sono tutti accolti nei centri straordinari della valle
Solo accoglienza straordinaria
All’ultimo bando Sprar del 2016, quello che aggiungeva diecimila posti alla rete di accoglienza italiana, non ha partecipato nessun comune valdostano. Anche Aosta, il centro più grande, alla fine ha detto no. E a dicembre 2015, dopo ventiquattr’anni, hanno messo pure i lucchetti allo sportello dedicato al Servizio migranti. «Abbiamo presentato due mozioni e un’interrogazione per sollecitare la partecipazione del comune allo Sprar, ma alla fine non lo hanno fatto», dice Michelina Cottone, esponente dell’Altra Valle D’Aosta. «Restiamo l’unica regione in Italia a gestire la questione immigrazione solo come emergenza. Forse la volontà qui è di accentrare tutto a livello regionale, senza che siano i comuni a decidere di ospitare i richiedenti asilo. Bisognerebbe chiedersi a chi giova una scelta di questo tipo».
In base al piano di accoglienza nazionale del Viminale, la quota di accesso al Fondo nazionale politiche sociali della Valle D’Aosta è dello 0,29 per cento. Ogni diecimila sbarchi, la regione dovrebbe ospitare 29 migranti. Al momento, a conti fatti, i profughi ospitati dovrebbero essere più o meno 448 e non 291.
La differenza però è che la Valle d’Aosta è una regione autonoma. La Prefettura, così come si intende nel resto d’Italia, non esiste: c’è solo un ufficio dirigenziale della regione con compiti prefettizi, che dipende dal presidente della giunta e non dal ministero dell’Interno. Ecco spiegato il motivo dei numeri irrisori di migranti. Gli invii “improvvisi” da parte delle prefetture, come quelli che hanno provocato le barricate a Gorino per intenderci, qui non dovrebbero esistere.
Tutto è mediato dalla parte politica. E cioè dal presidente della Regione Augusto Rollandin, appartenente all’Union Valdotaine. Lo stesso che, a maggio 2015, con le elezioni alle porte, disse subito no (insieme a Lombardia e Veneto) alla circolare del Viminale che chiedeva di trovare 80 posti letto nella regione: circa un migrante per comune. Facendo sbottare pure la diocesi locali, che chiese maggiore solidarietà. Una mossa elettorale, commentarono subito gli oppositori, per accaparrarsi i voti di chi qui gli immigrati non li vuole. Tant’è che a giugno poi, una volta riconfermato, Rollandin pubblicò subito un bando regionale per 141 posti (62 quelli già ospitati, più gli 80 a cui aveva detto no) «rivolto agli operatori per l’accoglienza dei richiedenti asilo». Ancora accoglienza straordinaria. E i profughi cominciarono ad arrivare.
La gestione dei migranti in mano alle cooperative
A occuparsi dell’accoglienza dei migranti nella regione sono soprattutto tre realtà: la cooperativa Leone Rosso, la coop La Sorgente e la Caritas locale.
La principale è la cooperativa Leone Rosso, gestita da giovani valdostani, che si è accaparrata da qualche anno i servizi anziani e asili nido per il comune di Aosta, e che coordina più di un centinaio di migranti nella regione. Con ricavi nel 2015 di oltre 7 milioni di euro.
Il modus operandi è questo: le cooperative affittano appartamenti o palazzine nei piccoli comuni sparsi tra le colline, il più delle volte lontano dai centri, e partecipano alle gare d’appalto.
Il nome della Leone Rosso – che, contattata da Linkiesta, non si è resa disponibile a un confronto – si trova tra i primi aggiudicatari di tutti i bandi per la sistema dei migranti della regione Valle d’Aosta, dal 2014 a oggi. Partecipando pure a quelli del vicino Piemonte. Dove la coop è stata al centro delle polemiche per la carenza di servizi a un gruppo di cittadini pakistani ospitati in una cascina presa in affitto sulla collina di Robella. Malumori ci sono pure a Villafranca d’Asti, dove oggi la coop gestisce 30 richiedenti asilo. «Le persone della cooperativa vanno e vengono, ma la maggior parte del tempo i migranti sono abbandonati a loro stessi e li troviamo in città a chiedere l’elemosina», dicono gli abitanti del paese. E anche nei paesini valdostani, dove la coop ha “portato” i migranti affittando gli appartamenti dei privati, la Leone Rosso non è ben vista. Soprattutto a Villeneuve, dove 25 immigrati sono stati sistemati in nove appartamenti nella piazza centrale del paese. «La criticità è che queste persone stanno sempre in piazza», dice il sindaco Bruno Jocallaz. Tant’è che il comune si è preoccupato di organizzare un corso sull’uso dei decespugliatori, in modo da impiegarli nei lavori pubblici di giardinaggio.
D’altronde, come si può leggere nell’ultimo bando emesso dalla regione Valle d’Aosta per l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, tra i requisiti richiesti c’è solo un minimo di quattro ore al mese da parte dei mediatori linguistici per ogni otto persone. È il prezzo dell’accoglienza straordinaria, dove gli standard qualitativi sono sicuramente minori rispetto a quelli richiesti dal sistema Sprar.
I posti messi a bando alla fine non ci sono
Per il 2016 la Regione aveva messo a bando 428 posti, per il 2017 602, in base ai calcoli fatti sulla carta dalla redistribuzione del ministero dell’Interno. Le cooperative si sono aggiudicate le gare. Ma i posti poi in Valle d’Aosta in realtà non ci sono. E la regione alla fine prende meno immigrati di quanti gliene sono stati “assegnati”. I posti disponibili nel 2016, ad esempio, sono solo 312, a fronte di un bando da 428. «Noi individuiamo e reperiamo le strutture», spiega Riccardo Jacquemod, presidente della cooperativa La Sorgente, che insieme alla coop Trait d’union gestisce un centinaio di immigrati, ispirandosi ai canoni del modello Sprar. «Ma incontriamo enormi resistenze da parte degli enti locali a mettere a disposizione gli spazi. Le amministrazioni comunali evitano in tutti i modi di avere centri di accoglienza sul proprio territorio. Intralciando i contratti di affitto e appellandosi a norme urbanistiche, pur di non ospitare richiedenti asilo». I centri di accoglienza nella regione, da regolamento, possono ospitare al massimo 25 persone. «Insomma, non ci sarebbe nessuna invasione nei piccoli comuni della valle».
Lo scorso giugno, quando a Pollein, 1.450 abitanti circa in mezzo alle montagne, si seppe che sarebbero arrivati dieci migranti ospitati in una casa privata presa in affitto dalla cooperativa La Sorgente, il sindaco contestò la decisione: «Non vedo perché siano le cooperative a dover reperire gli alloggi e stipulare i contratti di locazione e ritengo che l’accoglienza debba essere fatta in strutture apposite, non in alloggi privati. Tra l’altro nello stesso edificio abita una signora sola, e temo che questo potrebbe comportare problemi», disse. E poi si appellò alle regole di agibilità della struttura, abbassando il numero di arrivi prima a otto, poi a sei, ricevendo il plauso della Lega Nord locale.
A Saint Marcel, invece, lo scorso gennaio il comune negò alla Leone Rosso l’autorizzazione a usare una palazzina presa in affitto per ospitare 25 persone. E a Villeneuve, a luglio, davanti alla notizia dell’arrivo di 25 profughi, i cittadini si radunarono nel municipio, prendendosela con il sindaco e il proprietario degli appartamenti affittati dalla Leone Rosso. «È comprensibile che il primo impatto faccia scatenare sconcerto», disse in quell’occasione Vitaliano Vitali, dirigente della struttura regionale che si occupa degli affari di Prefettura, «ma il ministero ci sta facendo forti pressioni per trovare nuovi posti nella nostra regione». E qualche porta, di tanto in tanto, devono aprirla.
Niente hub
Entro il 2016, tra l’altro, la regione Valle D’Aosta avrebbe dovuto dotarsi anche di un hub di controllo a Saint-Pierre, nell’ex hotel Lanterna ormai in disuso da vent’anni, che potrebbe ospitare fino a 400 persone. Ma ne è nato un contenzioso tra Stato e Regione. E il tribunale di Torino alla fine ha stabilito che la struttura è di proprietà dell’amministrazione regionale. Per cui, per il momento, il progetto del ministero dell’Interno di trasformare la struttura in un centro di smistamento per migranti è fermo. E a Saint-Pierre sono tutt’altro che scontenti.