Non sparate sul prof, capro espiatorio del declino italiano

C'è un a nuova figura di vessato dalla società. L'insegnante è solo contro tutti. Ce l'hanno con lui gli allievi, i genitori, la burocrazia, la politica e la cultura dominante

C’è una nuova figura di vessato dalla società. Non è l’operaio della tradizione otto-novecentesca, e nemmeno il precario del duemila, anche se in effetti un po’ precario (anzi parecchio) spesso lo è. Ma non solo. C’è altro. L’insegnante è il parafulmine di tutti i malatempora culturali, civili, etici, economici. Subisce pressioni e stiramenti che nemmeno un collaudo di recipienti sferoidali in ghisa, ma, allo stato dell’arte, è il vaso di coccio.

È successo a Torino qualche giorno fa: un gruppo di genitori ha chiesto con toni non proprio amichevoli a una professoressa delle medie di togliere la nota comminata ad alcuni ragazzini, che avevano spinto e maltrattato un bimbo disabile. La mail dei genitori alla prof giudicava il provvedimento “vessatorio”, e chiedeva che l’insegnante si spiegasse con la classe per l’accaduto. Un’autocritica in stile rivoluzione culturale, che per fortuna non c’è stata -anzi, l’insegnante è andata a raccontare la faccenda ai giornali- ma la pretesa è indicativa di un clima, di un atteggiamento comune.

I video su youtube con insegnanti presi a male parole dagli studenti è ormai un gustoso sottogenere Franti-Style. Che i genitori si siano trasformati da un po’ in durissimi sindacalisti dei figli era stato già registrato qualche anno fa

Che il rispetto per l’insegnante da parte degli studenti sia considerato un atteggiamento un po’ da stupido Ottocento, una ricopiatura da libro Cuore, è un fatto assodato. I video su youtube con insegnanti presi a male parole dagli studenti è ormai un gustoso sottogenere Franti-Style. Che i genitori si siano trasformati da un po’ in durissimi sindacalisti dei figli era stato già registrato qualche anno fa, in un bel libro del 2007 di Marco Imarisio, Mal di scuola (Rizzoli). Ora la situazione è probabilmente peggiorata.
Ora ci sono le chat su whatsapp, sfogatoio semipubblico di genitori spesso terrorizzati per un qualche pericolo incombente e mortale (i pidocchi, la mensa, l’interrogazione, la giustificazione, gli esami, i colloqui, la passeggiata di classe, e il terrore dei terrori: la gita), che molto spesso riversano il panico sull’adulto che ha la responsabilità di tutto, l’insegnante, come ha raccontato lo scrittore/professore Marco Lodoli qualche giorno fa su Repubblica.

Al di là dell’aspetto psicopatologico collettivo legato al diffondersi del panico e al lato sociopatico dei social, bisognerà dirlo: col venire meno di altre istituzioni (vedi alla voce famiglia, principalmente ma non solo) la scuola è stata caricata di pretese e aspettative enormi. Ci si aspetta che la scuola formi, protegga, indirizzi e coccoli i nostri virgulti. Che gli insegni tutto: dall’essere cittadini educati al lavarsi i denti, dal sesso (siamo sicuri?) alle lingue (più lingue possibile) all’informatica (provocazione: perché?), a fare i riassunti (tranquilli, scherziamo, l’esercizio di comprensione più importante di tutti è parecchio in disuso). E il parafulmine di tutto è sempre lui o lei: il povero la povera insegnante.

I docenti sono stati trasformati in macchine computazionali, alle prese con schede di valutazione, piani di offerta formativa, programmi strettissimi, con un’autonomia di scelta sui contenuti ridottissima

Non che sull’altro versante, quello del rapporto con l’istituzione/scuola, le cose vadano meglio per i professori. Già dal punto di vista operativo. I docenti sono stati trasformati in macchine computazionali, alle prese con schede di valutazione, piani di offerta formativa, programmi strettissimi, con un’autonomia di scelta sui contenuti ridottissima.
Tutto il lato “liberale” dell’insegnamento, il rapporto di libero scambio tra docente e allievo, è stato ingabbiato da una macchina del Metodo (della tendenza si è lamentato varie volte Giorgio Israel, e su queste pagine Salvatore Settis). Solo che il metodo, come sempre nei rapporti umani, da solo non garantisce nulla, se non l’oppressione di chi si ritrova ad applicare procedure decise altrove, poco o niente modificabili. Ancora una volta il parafulmine di tutta la tendenza cultural (per modo di dire) pedagogica risulta lui. L’insegnante.

La historia calamitarum non finisce qui. La parte forse più dolorosa, al momento, riguarda il reclutamento. La buona scuola renziana sarà anche buona in prospettiva, ma da quando è entrata in vigore la confusione regna. Sull’ultimo concorsone si addensano parecchi dubbi: sui 60 mila posti promessi fino a qualche giorno le nomine approvate erano un terzo di quelle previste. Si è avviato il solito valzer delle supplenze, spesso con chiamata diretta tramite email. Si capiscono le difficoltà burocratiche e amministrative nel riordinare un settore “difficile”, ma è difficile non considerare anche questo aspetto come parte di una tendenza generale. L’insegnante è solo contro tutti.