Paradosso Brexit: il Regno Unito esce ma detta le regole al resto d’Europa

Boris Johnson appoggia l'ingresso della Turchia nell'Unione, il ministro della difesa Michael Fallon si schiera contro l'esercito europeo. Ma non dovevano essere fuori dall’Europa?

Londra a un passo dall’uscita dall’Ue, ma senza rinunciare ai diktat su cosa sia giusto o sbagliato che il resto dei 27 Paesi facciano in futuro. Sembra un paradosso, ma è così. Mentre Theresa May annuncia l’avvio delle procedure per arrivare entro il prossimo mese di marzo all’annuncio formale di attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, pezzi del suo esecutivo rilasciano dichiarazioni e minacciano veti sul futuro delle altre capitali Ue.

Da Londra la Premier May ha rassicurato i cittadini britannici, l’uscita dall’Ue sarà disciplinata e seguirà passi ben precisi. E a dimostrazione di questo la nuova Lady di Ferro della politica britannica ha annunciato che prima ancora della richiesta ufficiale dei negoziati sulle relazioni tra Regno Unito e Unione europea, il Paese ha bisogno di una legge che recepisca nell’ordinamento giuridico nazionale quanto di buono è arrivato in 41 anni di vita comunitaria. Già, perché come anche Theresa May ha affermato, da Bruxelles sono arrivate anche evoluzioni giuridiche, codici del lavoro più equi e tutelanti e una serie di diritti riconosciuti e garantiti dalla Corte Ue di giustizia. Diritti, che una volta fuori dal progetto comunitario, se non recepiti e tutelati dalle istituzioni nazionali finirebbero nel dimenticatoio.

Fin qui tutto bene. A creare qualche perplessità sono le dichiarazioni di Boris Johnson e del Ministro della Difesa Micheal Fallon. L’ex sindaco di Londra, e sostenitore accanito della Brexit, che sullo spauracchio dell’adesione turca all’Ue ha costruito una parte della campagna a difesa dell’uscita dall’Ue, è arrivato a farsi promotore di un futuro europeo per Ankara. L’annuncio è arrivato durante un incontro ufficiale con il Presidente turco RecepTayyip Erdogan. «Stiamo per lasciare l’Ue, ma non l’Europa. È per questo che intendiamo appoggiare ad ogni costo la futura adesione turca all’Ue», ha dichiarato Boris Johnson. La dichiarazione ha fatto il giro dei giornali britannici e non soltanto. C’è chi ha definito la dichiarazione di Johnson la peggiore “smentita” mai fatta da un politico. La realtà, che neanche l’ex sindaco conservatore, può negare è che davanti alla crescente instabilità del Medio Oriente, l’Europa è praticamente obbligata ad avere relazioni politicamente corrette con il partner turco. Un messaggio che forse avrebbe pagato poco durante la campagna referendaria, ma che a sentirlo oggi assume un valore ancora peggiore.

«Stiamo per lasciare l’Ue, ma non l’Europa. È per questo che intendiamo appoggiare ad ogni costo la futura adesione turca all’Ue», ha dichiarato Boris Johnson

Londra, di fatto, continua a mettere in pratica con Bruxelles e le altre capitali lo stesso atteggiamento avuto in tutti questi anni: dare poco o nulla agli altri, ottenendo il massimo per sé. Un’eccezione, quella britannica, nota un po’ a tutti e che ora con la Brexit alle porte suona per alcuni- se possibile- ancora meno gradito. Così mentre il Ministro per la Brexit David Davis continua i suoi incontri diplomatici e sguinzaglia gli sherpa nei palazzi di Bruxelles, dai corridoi degli incontri ufficiali arrivano dichiarazioni che fanno sorridere gli altri Stati membri.

È il caso recente della “minaccia di veto” al futuro esercito europeo avanzata dal Ministro della Difesa Michael Fallon. Jean Claude Juncker, Federica Mogherini e ora anche Angela Merkel, François Hollande e Matteo Renzi chiedono il rafforzamento della politica di difesa Ue. Un principio che a Londra, che tra le capitali Ue detiene il primato militare, non è mai andato giù. E non è una novità. Ad esserlo è il tentativo di un Paese che dall’uscio della porta strilla agli altri quello che non dovranno fare.

Per fortuna del governo britannico, i lavori in vista di un esercito europeo non sono ancora iniziati e conoscendo i tempi comunitari ci vorranno ancora decenni prima di arrivare a una vera politica di difesa comune. Questo, però, non cambia il senso di fondo dell’atteggiamento di Londra, che anche sulla questione dei migranti ha mostrato scarsa cooperazione. Come dimostra il caso del muro a Calais, e la reazione nei confronti della Francia. Isolati, distaccati dal resto del continente e dei suoi problemi, ma dominanti, i britannici mantengono i loro tratti caratteristici. La loro fortuna,e la nostra sconfitta,è che davanti hanno 27 opinioni e interessi divergenti.

La prova della verità su chi l’avrà vinta o meno arriverà al momento della firma del Trattato che regolerà i nuovi rapporti tra Regno Unito e Ue. Se, come in molti ritengono, Londra otterrà gran parte delle sue richieste accettando il minimo, per il resto dei Paesi Ue gli effetti saranno pesanti da gestire, soprattutto sul lungo termine. Allo stesso tempo, però, si deve evitare di cadere in formule punitive tout court. Tutto dipenderà da quanto gli stati Ue decideranno di fare blocco e collaborare tra loro. Punto sul quale proprio Nigel Farage e Boris Johnson hanno puntato, a ragione, fino a oggi.

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