La caccia è partita. In palio ci sono oltre un milione di voti: tanti sono gli elettori italiani all’estero che hanno espresso la loro preferenza alle Politiche del 2013. Ora saranno chiamati a votare per il referendum costituzionale e con ogni probabilità le loro scelte rischiano di essere decisive. Il governo Renzi se n’è accorto. Da settimane ministri e parlamentari della maggioranza sono impegnatissimi oltre confine. Fra un appuntamento istituzionale e l’altro c’è quasi sempre tempo per incontrare anche le comunità italiane. E così il fronte del no alla riforma è costretto a correre ai ripari. Proprio mercoledì il Movimento 5 Stelle ha organizzato la prima tappa, a Strasburgo, di quello che il deputato Manlio Di Stefano ha definito un tour mondiale. E anche il segretario della Lega Matteo Salvini in questi giorni sta programmando incontri all’estero per bilanciare l’attivismo degli avversari.
Stando ai dati delle ultime consultazioni, gli elettori iscritti all’Anagrafe italiana dei residenti all’estero (Aire) sono circa 4 milioni. Non tutti ovviamente esercitano il loro diritto di voto. Lo scorso aprile, al referendum sulle trivelle, nella circoscrizione estero si sono espressi in circa 780mila, qualcosa come il 20 per cento. L’attenzione del governo si è invece concentrata su quel milione e rotti di aventi diritto al voto che ha eletto i propri rappresentanti in Parlamento nel 2013. Dodici deputati e sei senatori, per la gran parte vicini alle ragioni del Sì al referendum. I numeri sorridono all’esecutivo. Tre anni fa nella circoscrizione estero il Pd ha sfiorato il 30 per cento, seguito da Scelta Civica con il 18 per cento, mentre i Cinque Stelle si sono fermati sotto il 10 per cento.
La caccia è partita. In palio ci sono oltre un milione di voti: tanti sono gli elettori italiani all’estero che hanno espresso la loro preferenza alle ultime elezioni. Ora saranno chiamati a votare per il referendum costituzionale. Con ogni probabilità le loro scelte rischiano di essere decisive, e il governo Renzi se n’è accorto
La competizione è iniziata in anticipo. Per dar modo a tutti i residenti all’estero di votare via posta, infatti, i plichi elettorali saranno recapitati intorno al 20 novembre. Ad aprire la campagna referendaria in Sud America è stato il sottosegretario Luca Lotti, braccio destro del premier Matteo Renzi. A settembre l’esponente di governo è volato in Brasile per assistere alle Paralimpiadi, un’occasione utile anche per motivare le numerose comunità italiane. Alla sua presenza è stato inaugurato il comitato per il Sì di Rio. Con lui c’era la deputata italo-brasiliana Renata Bueno, eletta tre anni fa dopo aver raccolto quasi ventimila preferenze tra gli emigrati in America Latina. Dopo Lotti, Maria Elena Boschi. Nelle ultime settimane ha fatto discutere la tournée transoceanica della ministra per le Riforme: in cinque giorni, dal 26 al 30 settembre, la delegazione ministeriale ha visitato Argentina, Uruguay e Brasile. In programma decine di incontri con le massime cariche politiche e con i rappresentanti delle comunità italiane. Da San Paolo a Buenos Aires non sono mancati diversi convegni per presentare la riforma costituzionale approvata dal Parlamento italiano.
A Roma tanto è bastato per sollevare dubbi e polemiche. Nonostante le rassicurazioni dello staff della ministra, che ha confermato il carattere rigorosamente istituzionale della missione, pochi giorni fa alcuni esponenti Cinque Stelle hanno presentato un’interrogazione alla Camera per denunciare l’iniziativa, sottolineando che «diversi incontri pubblici con la comunità degli italiani ivi residenti organizzati dall’ambasciata italiana (…) si sono palesemente trasformati in veri e propri comizi a favore del Sì al referendum». E l’indebito attivismo del governo, secondo i grillini, si sarebbe spinto fino in Canada. L’interrogazione cita una conferenza organizzata lo scorso 3 ottobre dal circolo Pd di Toronto, alla presenza dell’ambasciatore italiano, per pubblicizzare le ragioni del Sì. Non un incontro istituzionale, attaccano dal M5S, «ma un’iniziativa politica».
La campagna referendaria si combatte senza frontiere. Il comitato per il No conta oltre venti sedi in giro per il mondo. Dalla Gran Bretagna all’Australia, passando per Francia, Spagna e Venezuela. Il comitato Basta un Sì, di emanazione renziana, vanta avamposti persino a Shanghai, in India, Guatemala ed Emirati Arabi, oltre a una ventina di comitati in tutta Europa
La campagna referendaria si combatte senza frontiere. Il comitato per il No presieduto dal professor Gustavo Zagrebelsky conta oltre venti sedi in giro per il mondo. Dalla Gran Bretagna all’Australia, passando per Francia, Spagna e Venezuela. Il comitato Basta un Sì, di emanazione renziana, vanta avamposti persino a Shanghai, in India, Guatemala ed Emirati Arabi, oltre a una ventina di comitati in tutta Europa. Del resto è proprio nel Vecchio Continente che la partita è più accesa, specie dove ci sono comunità molto ampie e il dibattito è quotidiano. Tra i rappresentanti del governo impegnati in prima linea si segnala Sandro Gozi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega agli Affari Europei, di fatto un ministro. Raccontano che sia lui a girare senza sosta da un comitato all’altro, partecipando a dibattiti e confronti con le comunità italiane per difendere le ragioni della riforma. Fra le recenti apparizioni, spicca quella nell’Inghilterra appena scottata dalla Brexit: da Londra a Bristol, Gozi ha alternato incontri istituzionali con appuntamenti più politici insieme agli iscritti locali del Pd. La sintesi della sua giornata a Londra, una settimana fa, è sul sito dell’ambasciata italiana: dopo un faccia a faccia con il sindaco Sadiq Khan, Gozi ha «concluso la sua missione con un incontro con studenti e comunità italiana al Kings College per parlare del referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre».
Particolarmente curioso il caso della Svizzera, dove si sta consumando un vero e proprio derby d’Italia. Nella Confederazione elvetica, infatti, risiedono due parlamentari eletti nella circoscrizione estero che stanno battendo a tappeto le principali città del Paese, da Ginevra a Zurigo. Entrambi del Partito democratico, al referendum sono schierati su fronti opposti: il deputato Alessio Tacconi, ex Cinque Stelle, sostiene le ragioni del Sì, mentre il senatore Claudio Micheloni difende la posizione del No. Raccontano che all’estero il fronte contrario alla riforma costituzionale sia poco rappresentato, almeno a livello di grandi nomi spendibili negli incontri, rispetto al livello governativo schierato dal comitato per il sì. Nei dibattiti pubblici organizzati dai vari Comites – gli organismi rappresentativi della collettività italiana, eletti direttamente dai connazionali residenti all’estero in ciascuna circoscrizione consolare – si sono alternati finora giornalisti, attivisti locali, responsabili dei meetup grillini. Anche per questo, un po’ in ritardo, 5 Stelle e Lega hanno deciso di organizzare loro tour internazionali. L’obiettivo è quello di non lasciare nulla di intentato contro il fronte renziano.