Ma quale riforma? A due mesi dal voto popolare, mentre la campagna referendaria entra nel vivo, molti italiani restano totalmente insensibili all’argomento. Con buona pace del presidente del Consiglio, sempre più presente su giornali e televisioni, gli elettori ostentano una buona dose di indifferenza. Perché in ballo ci sarà anche la costituzione più bella del mondo, ma al momento la metà dei cittadini sembra avere altre priorità. I numeri raccontano il fenomeno con freddo realismo. Secondo un sondaggio Ipsos pubblicato qualche giorno fa dal Corriere, il 38 per cento degli italiani ammette di aver sentito vagamente parlare della riforma costituzionale. E almeno l’8 per cento non sa neppure che si terrà un referendum. Nonostante il crescente interesse dei media, le percentuali dei meno attenti non sembrano ridursi molto. «Rispetto al sondaggio realizzato nel luglio scorso – si legge – gli italiani che ne sanno qualcosa aumentano solo di tre punti (da 51 a 54 per cento)».
Cambia il bicameralismo, nasce un nuovo Senato, vengono riviste le competenze tra Stato e Regioni. Buona parte dei cittadini si preoccupa di tutt’altro. Gli italiani davvero coinvolti sono pochi. «L’aspetto impressionante è che solo il 10 per cento degli elettori conosce in dettaglio l’oggetto del contendere» racconta l’esperto di comunicazione politica Lorenzo Pregliasco, cofondatore di You Trend e Quorum e docente di Strategie elettorali all’Università di Torino e Analisi qualitativa della comunicazione all’Università di Bologna. «Un basso livello di conoscenza che molto probabilmente si tradurrà in una limitata affluenza al voto. A dicembre ci si aspetta che circa il 50 per cento degli aventi diritto non andrà alle urne».
Prendiamone atto, per molti italiani la modifica della Costituzione non è una priorità. L’argomento è ostico, la comunicazione rischia di scadere nel tecnicismo. «In molti non considerano i temi oggetto del voto così vicini alla propria vita quotidiana. Cosa diversa rispetto al referendum del 2011 su acqua pubblica e nucleare»
Il dato colpisce, ma è poi una novità? La crescente disaffezione verso la politica è un fenomeno ormai consolidato. Chi studia i flussi elettorali non sembra meravigliarsi. Il direttore di Ipr Marketing Antonio Noto non è sorpreso. «I dati – racconta – sono piuttosto normali. In linea con le intenzioni di voto verso i partiti. L’area tra astensione e indecisi vale circa il 50 per cento degli elettori». Dopotutto in questo Paese chi segue con attenzione la politica, informandosi su quotidiani e telegiornali, rappresenta una minoranza. Circa il 10 per cento degli italiani. Senza considerare il fenomeno dell’astensionismo cronico. Il disinteresse che porta sempre più connazionali a disertare le urne, a prescindere dall’oggetto del voto. Ormai quasi un italiano su tre non esercita più il proprio diritto elettorale. «Basti pensare che ai ballottaggi delle ultime amministrative – continua Noto – in alcuni casi l’affluenza non è arrivata neppure al 50 per cento».
Il referendum costituzionale non fa eccezione. Anzi, se possibile peggiora ulteriormente la tendenza. La riforma è un argomento ostico: non tutti gli italiani hanno voglia di entrare nel merito di una modifica complessa, soprattutto per i non addetti ai lavori. Una campagna referendaria che rischia di scendere troppo nei tecnicismi finisce inevitabilmente per coinvolgere solo una parte dei cittadini. «È evidente – spiega Pregliasco – che non tutti considerano i temi oggetto del voto così vicini alla propria vita quotidiana. Cosa diversa rispetto al referendum del 2011 su acqua pubblica e nucleare».
Secondo un sondaggio Ipsos, il 38 per cento degli italiani ammette di aver sentito vagamente parlare della riforma costituzionale. E l’8 per cento non sa neppure che si terrà un referendum
Prendiamone atto, per molti italiani la modifica della Costituzione non è una priorità. «Ma se è vero che l’argomento non interessa moltissimo, questo non significa che tutti gli elettori poco attenti diserteranno le urne» continua Noto. «Molti cittadini decideranno se e cosa votare solo alla fine, negli ultimi dieci giorni prima del voto». È quindi possibile immaginare un’affluenza più alta rispetto alle aspettative? «Molto dipende dai toni che assumerà la campagna elettorale». Del resto gli esperti hanno già notato alcuni cambiamenti nell’opinione pubblica. «Solo nell’ultima settimana – continua Noto – abbiamo registrato un aumento dei favorevoli alla riforma. Alla fine di settembre il No era al 54 per cento, ora è sceso al 51,5 per cento. Bisogna capire se questo è un trend destinato ad aumentare».
Se i tecnicismi della campagna referendaria non scaldano gli animi, la politicizzazione della contesa rischia di far crescere ulteriormente l’astensionismo. Le lunghe polemiche sull’Italicum e il rapporto tra riforma costituzionale e legge elettorale potrebbero disorientare i più. «Intanto, per come si è strutturata, la campagna referendaria si gioca molto sul confronto Renzi Sì, Renzi No» spiega Pregliasco. «E così si parla poco di contenuti. Pensiamo invece al referendum costituzionale del 2006. Anche allora si avvertiva la presenza degli schieramenti pro e contro Berlusconi, ma il dibattito era entrato molto di più nel merito della riforma. Si parlava di devolution. Non a caso al Sud si registrò un alto voto contrario, mentre in alcune regioni del Nord vinse il Sì».
Dieci anni dopo, ancora una volta la partita potrebbe essere decisa nel Meridione. «Qui scontrano due fenomeni – continua Pregliasco – C’è la forte presenza di un voto storicamente antipolitico, che ultimamente si è espresso nel sostegno ai Cinque Stelle e al referendum sarà orientato verso il No. Ma c’è anche un voto instabile, volatile, sensibile ad alcuni richiami, come il ritorno d’attualità del Ponte sullo Stretto. Credo che molto si giocherà su queste dinamiche». Astensionismo permettendo.