In questi tempi barbari popolati da hipster (che, per fortuna, stanno un po’ tramontando) e di barbe lunghe o lasciate crescere senza ritegno, fulgido dovrà essere l’esempio, tratto dai tempi lontani ma gloriosi, dei decreti dello zar Pietro il Grande. Il sovrano russo, dopo un lungo viaggio in Europa nel 1698, tornò nel Paese con molte nuove idee. Tra queste, la rasatura del volto degli uomini. Addirittura, al momento dell’incontro con i suoi dignitari di corte, estrasse un enorme rasoio e provvide, di persona, al taglio della barba di tutti i presenti. Era difficile dire di no: era il re, e piuttosto permaloso.
L’uso fu imposto, per legge, a tutti i sudditi dello zar (a parte contadini e preti). E la cosa non piacque a nessuno: la polizia era obbligata a vigilare che tutti ottemperassero all’obbligo e, se il malcapitato si rifiutava, il poliziotto era chiamato ad agire come il suo zar: andare dal ribelle e tagliargliela di persona.
Gli anni passarono e il malcontento cresceva. Lo stesso zar si interrogò più volte sull’utilità di quel provvedimento. Lo aveva adottato per imitare gli stili europei, ma il corpaccione del suo impero era di altra pasta. Meditò a lungo sul da farsi, poi decise (furbo come una faìna) di ammorbidire la legge. La barba è proibita, punto. Ma chi avesse voluto tenerla, poteva pagare una tassa e ottenere il permesso. Il povero doveva versare un paio di copechi, il ricco la bellezza di cento rubli. Le barbe tornarono a crescere, e le casse della Grande Madre Russia a tintinnare.