Sono passati tre anni e mezzo dall’avvio dei negoziati sull’introduzione della Tassa europea sulle transazioni finanziarie (Ttf). Anni di annunci, mancati accordi e scadenze posticipate. L’ultima volta è successo a giugno, quando la quadra non è stata trovata per le resistenze di Slovenia, Slovacchia e Belgio. Ecco perché ora ci si aspetta che dall’incontro informale a margine dell’Eurogruppo del 10 ottobre e dall’Ecofin dell’11 ottobre arrivi un segnale forte. I Paesi tornano a confrontarsi sul tema, e l’accordo potrebbe essere vicino. Tanto che 260 economisti e accademici da 23 Paesi diversi hanno sottoscritto un appello promosso dalla campagna ZeroZeroCinque (e gli altri partner europei) indirizzato ai dieci ministri delle Finanze e capi di Stato europei che partecipano ai lavori per sollecitare una decisione. Tra i firmatari ci sono 90 nomi italiani, tra cui Stefano Zamagni, Fabrizio Onida, Leonardo Becchetti e Marco Causi, che è anche membro della commissione Finanze della Camera per il Partito democratico. «La tassa dà maggiore resilienza e stabilità ai mercati finanziari, riducendo l’attività speculativa», spiegano. «E porta guadagni sostanziali che potrebbero essere usati per creare lavoro e rafforzare i servizi pubblici».
Era il settembre del 2011 quando la Commissione Ue propose una direttiva per una Ttf europea senza però ricevere il consenso di tutti i Paesi. Si arrivò così a una procedura di cooperazione rafforzata tra 11 Paesi autorizzata dal Consiglio europeo all’inizio del 2013. Da marzo 2013 partì quindi il negoziato, a cui oggi partecipano Italia, Germania, Francia, Spagna, Belgio, Austria, Grecia, Portogallo, Slovenia e Slovacchia, dopo che l’Estonia ha abbandonato i lavori lo scorso dicembre.
Proprio l’8 dicembre del 2015 i dieci Paesi “superstiti” avevano annunciato di aver raggiunto un accordo di massima sulla struttura della tassa sulle azioni, impegnandosi poi a raggiungere un compromesso definitivo entro il mese di giugno 2016 anche sulla tassazione dei derivati. Compromesso che però non si è concretizzato. Il 17 giugno un accordo sul cosiddetto core engine, cioè l’ossatura dell’imposta, ancora non c’era. Per due motivi. Il primo è che i Paesi piccoli, cioè Slovenia e Slovacchia, hanno sostenuto che i costi amministrativi e di raccolta della tassa potrebbero superare il gettito che ne deriva. Il secondo è l’improvvisa opposizione del Belgio, che ha sostenuto che la Ttf potrebbe avere un impatto sul debito pubblico, facendo lievitare i costi di emissione dei titoli.
Dal rapporto preparato dalla Germania (di cui siamo in grado di anticiparvi i risultati), emerge che i costi di gestione della tassa europea per la repubblica federale tedesca sarebbero di 8 milioni per il primo anno e non più di 1,6 milioni negli anni successivi. È chiaro che per gli Stati più piccoli questi costi sarebbero più modesti
Così da giugno sono state avviate due task force. Una, a guida tedesca, doveva risolvere la questione costi. L’altra, a guida italiana, aveva l’obiettivo di lavorare sulle preoccupazioni belghe. Dal rapporto preparato dalla Germania (di cui siamo in grado di anticiparvi i risultati), emerge che i costi di gestione della tassa europea per la repubblica federale tedesca sarebbero di 8 milioni per il primo anno e non più di 1,6 milioni negli anni successivi. È chiaro che per gli Stati più piccoli questi costi sarebbero più modesti. A fronte di un gettito che, secondo l’ultima stima della Commissione Ue di giugno 2016, potrebbe raccogliere fino a 22 miliardi l’anno. Solo in Italia, secondo l’Istituto Diw di Berlino, un’applicazione “più ambiziosa” della tassa con aliquote dello 0,1% per le azioni e dello 0,01% per i derivati porterebbe nelle casse pubbliche dai tre ai sei miliardi annui. E da noi, il costo di implementazione della Tobin Tax nazionale al momento è di 21mila euro l’anno. Insomma, spiccioli rispetto ai ricavi.
La seconda task force, invece, a guida italiana, avrebbe dovuto cancellare i dubbi dei tecnici belgi. Che però sull’ipotesi di un impatto negativo della tassa sull’emissione del debito non hanno saputo presentare argomentazioni valide. Le preoccupazioni sono state avanzate senza riferimenti a modelli teorici o evidenze empiriche. Anche perché, dicono gli esperti, tra cui Louis Denys, professore alla Libera Università di Bruxelles, l’interesse sul debito belga è legato ai tassi di interesse della Bce. L’Italia ha chiesto approfondimenti a Bruxelles, ma pare che finora dal Tesoro belga siano arrivate solo risposte approssimative. Potrebbe trattarsi solo di una strategia belga per poter negoziare di più quando si parlerà di aliquote dell’imposta o si prospetteranno future esenzioni, per esempio sui fondi pensione nazionali. Anche perché il premier belga Charles Michel si è espresso più volte a favore della tassa sulle transazioni finanziarie. Vedremo cosa verrà fuori dal round ministeriale dell’Eurogruppo. Gli osservatori più attenti auspicano comunque un segnale forte.
Poi bisognerà capire a che cosa destinare le risorse incassate dall’applicazione della tassa. Secondo i firmatari della lettera-appello, il gettito dovrebbe essere destinato a misure di lotta contro la povertà, interventi in ambito educativo e sanitario e iniziative di contrasto al cambiamento climatico. E ora la coalizione ZeroZeroCinque si aspetta anche un impegno pubblico del premier Matteo Renzi. Da maggio 2015 stanno chiedendo un incontro per la consegna dell’oltre 1 milione di firme raccolte nel 2015 nella petizione a favore della Ttf. Francois Hollande ha accolto la delegazione francese, il ministro Wolfgang Schauble quella tedesca. In Italia ancora non sono state aperte le porte di Palazzo Chigi. Eppure il sostegno alla campagna e all’imposta era arrivato dal ministro Graziano Delrio, quando era alla guida dell’Anci. E nel 2011 l’allora sindaco di Firenze Matteo Renzi aveva sostenuto la Ttf inserendola tra le 100 proposte per il suo WikiPd.