9535 valutazioni professionali tra il 2008 e il 2013 e appena 145 valutazioni di «non positivo» o «negativo». Una volta ogni quattro anni dalla presa di servizio arrivano le valutazioni. Così il bilancio dei giudizi del Consiglio Superiore della Magistratura sull’organico dei togati. Il calcolo, fatto da Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera, restituisce una fotografia importante sulla valutazione dei 9171 magistrati in servizio sui 10151 previsti. Valutazioni del Csm che, contesta qualcuno, «si limitano a recepire le valutazioni, come dimostrano i numeri, quasi sempre positive, dei consigli giudiziari». Gli stessi consigli che nel 2014, in una proposta di minoranza interna al Csm, avrebbero dovuto rendere in assenza di criticità pareri in forma semplificata all’organo di autogoverno dei magistrati. Ovvero, se nulla cambia sulla valutazione della toga al Csm sarebbe arrivato sul tavolo un «nulla da osservare rispetto a quanto emerge dal rapporto informativo», già stilato dal consiglio giudiziario locale.
Troppo poco perfino per il Csm, che decide invece di avere elementi di valutazioni. Tuttavia il meccanismo di valutazione, frutto di schede e schemi, è periodicamente al centro dei tira e molla tra ministero della Giustizia, Consiglio superiore della magistratura, e il sindacato delle toghe, l’Anm. L’ultimo ha riguardato il diritto di voto all’interno dei consigli giudiziari agli avvocati anche nella valutazione dei magistrati. Per ora nulla da fare, nonostante la benedizione sul punto del ministro Andrea Orlando.
UN ERRORE PER TRE TOGHE
Si prenda un caso di rapina con tanto di sequestro dei dipendenti e clienti della banca e un bottino da 95 mila euro. Giugno 2015, provincia di Bologna, tre uomini i protagonisti subito arrestati. Meno di sei mesi dopo arrivano le condanne per i tre malviventi con rito abbreviato. Il giudice dell’udienza preliminare deposita le motivazioni nel giro di tre giorni (ne ha a disposizione 15), in barba a chi dice che la giustizia italiana sia «lenta ed esasperante». Trascorsi i quindici giorni tecnici per il deposito delle motivazioni le difese hanno 30 giorni per fare ricorso. Intanto al processo d’appello tre giudici, Margherita Chiappelli, Luca Ghedini e Sergio Affronte, confermano le condanne di due rapinatori e dichiarano inammissibile il ricorso del terzo. Motivo: ritardo nel deposito del ricorso stesso.
Come raccontato dell’edizione locale di Repubblica, «la Corte d’Appello, sbagliando, ha infatti calcolato i 30 giorni messi a disposizione dei legali per preparare l’appello dalla data del deposito», invece che dal quindicesimo giorno dopo l’emissione della sentenza. «Un errore grave – prosegue nella sua cronaca Giuseppe Baldessarro – talmente grave che secondo gli avvocati non è possibile che sia stato commesso da tre giudici contemporaneamente». Da lì i difensori e i penalisti del foro si interrogano se quella decisione sia frutto di una vera decisione collegiale. Lanciando un appello poprio sulla possibilità che gli avvocati abbiano la possibilità di dire la loro all’interno dei Consigli giudiziari sulle valutazioni professionali dei magistrati.
I RICORSI AL TAR DEI VALUTATI NON POSITIVAMENTE
La normativa è chiara: la progressione della carriera del magistrato è automatica, «per anzianità, salvo demerito». Nonostante i pareri di «demerito» in cinque anni siano stati appena l’1,5% sul totale delle valutazioni dentro quel 1,5% c’è chi fa ricorso vista una valutazione negativa. Un ricorso al Tar, poi respinto, ha riguardato Marco Toscano, in forze al tribunale di Saluzzo. Il Csm contestava alcuni depositi tardivi di sentenze, 151, riportava il Csm con una punta massima «molto elevata (727 giorni)». La percentuale delle sentenze depositate in ritardo, scriveva il Csm nel suo parere «è superiore al 50%». Violazione, chiudeva il Consiglio, «che non può ritenersi giustificabile perché determinata, per quanto sopra esposto, da una non pienamente adeguata organizzazione dell’attività lavorativa».
Sempre davanti al Tar è finito il ricorso del sostituto procuratore di Trieste Maddalena Chergia, valutata in modo «non positivo» dal Csm nel periodo a cavallo tra il 2006 e il 2010. Motivi? Un procedimento disciplinare successivo a una scarcerazione per scadenza dei termini, e l’assenza di partecipazione a corsi di formazione nel triennio. Sufficiente al Csm per contestare una condotta non positiva nei parametri della «diligenza» e dell’«impegno». Il Tar ha respinto il ricorso lo scorso 5 luglio.
Due vicende, tra le più recenti. Ma, si chiede qualcuno, se appena un 1,5% viene valutato negativamente e tutti gli altri sono eccellenti, chi decidere chi promuovere e chi no? «Il sistema è quello più vicino a una cosa che possa funzionare», si dice. Per altri ad avanzare con tanto di incarichi direttivi «sono quelli con la corrente più forte». D’altronde in una analisi firmata dal giudice del tribunale di Torino Anna Ricci due anni fa si legge a chiare lettere che il modello scaturito è «farraginoso, troppo dettagliato e, al contempo, inaffidabile».
QUELLE TOGHE PRESTATE ALLA POLITICA MA SEMPRE «POSITIVE»
Il caso più noto è quello di Anna Finocchiaro. 29 anni fuori dalla magistratura. Niente indagini e niente sentenze, ovviamente, ma avanzamenti di carriera assicurati. Sette le valutazioni di professionalità arrivate nonostante l’aspettativa datata 5 maggio 1987. Dal 2001 al 2009, come riportato a maggio dal Fatto Quotidiano, il Csm conferma i giudizi positivi già avuti in carriera. Con lei ci sono Doris Lo Moro, fuori ruolo da ormai 18 anni, e Felice Casson, che undici anni ha dismesso la toga, in aspettativa per la politica. Anche per loro le valutazioni professionali sono sempre positive. Stessa sorte per l’ex pm antiterrorismo Stefano Dambruoso, oggi indipendente alla Camera, prima transitato per Scelta Civica con Mario Monti.
Ci sono poi i casi del sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri, alla quarta valutazione di professionalità, insieme a Donatella Ferranti, segretario generale del Csm fino al 2008, che ha appeso la toga poco meno di 18 anni fa e oggi è presidente della commissione Giustizia alla Camera in quota Pd. Lo stesso Csm ha sollevato il problema: come è possibile usare un metro e dare un giudizio su capacità e imparzialità per magistrati che fanno politica? A rispondere, da più di due anni, è la stessa commissione Giustizia. Avvisate Matteo Renzi, alla ricerca disperata di un tema «vero» da discutere al tavolo con la magistratura.