Trump e Hillary, una sporca campagna elettorale per due pessimi candidati

Una gara di colpi bassi, tra scandali sessuali e mail segrete: il confronto tv non aiuta il dibattito politico e mette ancora in evidenza una certa inadeguatezza di entrambi i candidati alla presidenza

Una lotta nel fango: il secondo dibattito presidenziale negli Stati Uniti è sembrato riflettere lo stato attuale della politica oltreoceano. Nel confronto di questa notte tra la candidata democratica Hillary Clinton ed il repubblicano Donald Trump largo spazio ad accuse dure e violente, bugie, sberleffi e minacce: Politico l’ha definito il più nasty della storia delle elezioni presidenziali, e nasty si può tradurre in italiano con gli aggettivi disgustoso, odioso, cattivo. Scegliete voi, c’è solo l’imbarazzo, tutti calzano, tutti sono fit, come direbbero gli americani.

L’essere fit to be president, adatto cioè ad entrare alla Casa Bianca, è da sempre uno dei requisiti centrali per i candidati: per vincere a novembre sono – erano forse, ormai – fondamentali una certa esperienza in politica accompagnata da un curriculum lindo e trasparente, l’essere una figura che sappia unire piuttosto che dividere non solo l’elettorato di parte ma quello nell’intero paese ed un atteggiamento “presidenziale”, moderato e dialogante. In questo tornata elettorale entrambi i candidati principali sembrano mancare di almeno uno di questi elementi, ed il confronto di questa notte non ha fatto altro che confermare certe sensazioni, già chiare dando un rapido sguardo ai sondaggi: come raccontano diverse rilevazioni, siamo di fronte alla sfida tra i due candidati meno apprezzati nella storia recente degli Stati Uniti. Ad inizio agosto, a tre mesi dall’8 novembre in cui si deciderà tutto, il 52% degli intervistati da Gallup aveva un’opinione negativa della candidata democratica Clinton, il 62% dello sfidante repubblicano Trump. Rivelazioni e dibattiti di settembre non hanno certamente migliorato la posizione dei due aspiranti alla Casa Bianca.

L’istituto scriveva nella sua analisi dell’emergere di un «nuovo archetipo di elezioni» caratterizzato da una guerra non convenzionale tra i candidati, atteggiamenti politicamente scorretti ed una straordinaria conflittualità all’interno dei partiti. Il secondo dibattito è stata un conflitto con mezzi di “nuova generazione”, raramente visti nella politica americana se non prima di questa tornata presidenziale: la questione del video in cui Trump si descrive come un molestatore sessuale ha dominato la scena tra le accuse della Clinton e le risposte del repubblicano con il ditino puntato sugli scandali a luci rosse dell’ex presidente e potenziale “First Man” Bill Clinton.

E’ stato il duello dello spogliatoio e della galera: Trump si è difeso dale accuse di sessismo parlando di “chiacchiere da spogliatoio” e ha contrattaccato dicendo che la Clinton dovrebbe finire il galera per lo scandalo delle mail

Per quanto si sia parlato anche di tasse, sanità e politica estera, il confronto di questo notte sarà probabilmente ricordato come quello dello spogliatoio e della galera, con The Donald che ha cercato di sminuire quel video come “chiacchiere da spogliatoio” e minacciato la rivale che, sotto un’amministrazione Trump, ci sarebbe un’inchiesta sull’uso del server privato per le mail e lei sarebbe in galera. Scandali, rivelazioni, leaks, il tutto condito con quel politicamente scorretto che ha portato la scorsa settimana il candidato repubblicano, solo per citare un caso, a dire ai malati terminali di cancro “tenete duro e votate per me”, rassicurandoli che il loro “sacrificio” verrà ricordato con amore.

Siamo al tutto per tutto, almeno per Trump che dopo il polverone del video che ha raffreddato i suoi rapporti con l’establishment del Partito repubblicano non sembra avere molto da perdere. È la conflittualità l’elemento che più caratterizza la sfida del 2016 per la Casa Bianca: Trump contro Clinton, i democratici contro la Clinton, Trump contro i repubblicani ma anche i repubblicani contro Trump. Entrambi i nominati hanno infatti avuto difficoltà con il loro partito, anche se in due maniere completamente opposte. Il repubblicano è sempre stato osteggiato dall’establishment del Gran Old Party, spaventato non solo dalla sua figura ma anche dalle minacce che arrivavano da una figura come lui esterna al partito; al contrario la sua nomination è stato un plebiscito con record di affluenza alle primarie ed ai caucus e di sostegno al candidato. Al contrario, la democratica ha avuto qualche difficoltà a raccogliere consensi nell’ala sinistra dei democratici e a convincere pienamente l’intero spettro di elettori a causa della sua scarsa affabilità; a parte qualche tentennamento dopo la questione delle mail, invece, la Clinton è sempre stata sostenuta con forza dai “potenti” del suo partito.

Come nel caso del referendum britannico dello scorso 23 giugno, la politica americana si trova davanti due sfide: la crisi economica e lo scollamento tra l’elettorato e le élite. Nel Regno Unito ha vinto la Brexit liberale e globalista di Boris Johnson prima sul nazionalismo di Nigel Farage, poi sul Project Fear di David Cameron che profetizzava l’Apocalisse in caso di uscita. Forse negli Stati Uniti Donald Trump non ce la farà ma queste elezioni lasceranno un paese diverso che chiede alla politica di cambiare, di riavvicinarsi e dare risposte. E che la Clinton possa essere un presidente pronta ad ascoltare gli elettori c’è più di qualche dubbio, a giudicare da quanto lei stessa ha affermato ad un evento di Goldman Sachs nel febbraio 2014: «Sono ben lontana dai sacrifici della classe media per la vita e l’agio in cui sono vissuta, capite, per la fortuna che mio marito ed io ci godiamo».

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