Viotti: “Un piano Marshall per i giovani: solo così salveremo l’Italia”

Dopo il referendum avremo un paese da ricostruire. Servirà pensare al futuro con una mentalità nuova, che sappia dare ai giovani quello che meritano: cioè stabilità e spazio per mettere a frutto le loro idee e la loro voglia di fare

A prescindere da cosa succederà il 4 dicembre, questo Paese ha bisogno come l’aria di una politica di prospettiva. Un orizzonte molto più ampio della contingenza e dell’attualità. Non ho nessuna intenzione di accontentarmi di un Pd che gestisce l’esistente, che si comporta come un partito della conservazione. Non è quello per cui ho lottato da oltre vent’anni di militanza politica. Voglio un Pd coraggioso, che faccia quello che nessun altro partito ha mai fatto in Italia. Questa orrenda stagione politica deve finire in fretta. Dobbiamo pensare al futuro. E farlo per davvero.

Vi racconto una cosa. Quando il governo Prodi introdusse il pacchetto Treu, quello che molti indicano – non a torto – come l’inizio del concetto di “flessibilità”, con una vecchia associazione andammo a intervistare i giovani per chiedere cosa pensassero del nuovo assetto che si sarebbe creato. Sorprendentemente, i ventenni di allora non avevano nessuna paura della mancanza di posto fisso e, anzi, vedevano la possibilità di muoversi come un’opportunità di crescita. Sto volutamente estremizzando, perché tra l’estrema mobilità e l’estrema fissità c’è una “giusta misura”. E non è la realtà in cui stiamo vivendo oggi. Una realtà in cui abbiamo un’intera classe dirigente che se ne sta fregando della “questione giovanile”, salvo poi lamentarsi della fuga dei cervelli.

Cari miei, guardiamoci negli occhi: cosa diavolo stiamo facendo per i giovani? Niente.

No, non bastano i pur condivisibili 500 euro ai diciottenni. Le riforme devono essere strutturali, profonde, di lunga durata e permanenti

Mi piacerebbe che le ragazze e i ragazzi di venti e trent’anni potessero lasciare la casa dei loro genitori. Mi piacerebbe potessero scegliere di farlo. E vorrei dire loro che possono gettarsi nel mondo senza paura perché il loro talento (foss’anche un talento “umile”, diciamo) renderà la società un posto migliore. Vorrei dire che abbiamo bisogno di tutte e tutti loro. Vorrei dire loro che la politica è un’alleata e non nemica, ma in questo momento, purtroppo, non posso.

Siamo tra i paesi più importanti del mondo e abbiamo i salari più bassi d’Europa. Abbiamo la minore mobilità sociale. Abbiamo la più grande soglia di sbarramento per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro con incarichi di responsabilità. Siamo sostanzialmente conservatori, e il nostro sistema di poteri – governo, partiti, sindacati, banche, mondo dell’impresa, amministrazioni locali, eccetera – si comporta per far sì che niente cambi. Un paese sempre più anziano non solo anagraficamente, ma soprattutto di mentalità. Abbiamo idee vecchie e abbiamo un approccio ai problemi antiquato. Rischiamo di guardare solo a chi ha già tutele e, pur non dovendo togliere loro niente, rischia di essere un grandissimo limite. Soprattutto in prospettiva futuro. Perché questo rischia di diventare ancora di più un paese privo di idee, privo di scossa, privo di coraggio.

Come biasimare quelli che abbiamo per anni accusato di essere “bamboccioni” se decidono di restare a casa? Una delle vere emergenze sociali è proprio quella dei NEET. «Non studio, non lavoro, non guardo la tv, non vado al cinema, non faccio sport», per dirla con una canzone di qualche anno fa. In questo contesto, se non facciamo niente, siamo colpevoli. E no, non bastano i pur condivisibili 500 euro ai diciottenni. Le riforme devono essere strutturali, profonde, di lunga durata e permanenti.

Non appiattiamo il dibattito e non leghiamoci a questa stagione politica. Come tutto il resto, passerà. E passerà anche questa stagione di riforme incomplete e poco coraggiose, riforme figlie di queste orrende larghe intese

Dal Partito Democratico che sarà dopo il referendum mi aspetto una proposta politica fortissima e coraggiosa per portare i giovani fuori casa. Un nostro personalissimo Piano Marshall per farli vivere lontani dal tetto familiare, dove più desiderano. Un piano per farli formare, lavorare, rischiare, anche fallire con la consapevolezza di potersi rialzare. Mi aspetto una proposta che dica loro “vivi la tua vita, muoviti, gira il mondo e torna da noi con tutto quello che hai imparato”. Il Partito Democratico deve essere il Partito che si mette al lavoro per il rinnovamento profondo del paese e non della gestione dell’esistente. E deve essere il Partito del futuro, a scapito, se necessario, di scontentare il passato.

C’è vita oltre il referendum. Non appiattiamo il dibattito e non leghiamoci a questa stagione politica. Come tutto il resto, passerà. E passerà anche questa stagione di riforme incomplete e poco coraggiose, riforme figlie di queste orrende larghe intese e che, pur con buone intenzioni, nascono con l’intento di essere modificate in futuro. Riforme che vanno riformate, insomma.

Abbiamo però il dovere di non spaventarci davanti al movimento: dobbiamo spaventarci della precarietà esistenziale, di non poter sopravvivere ai propri genitori. Io voglio un paese dei cervelli in movimento. Perché il cervello, quando si muove, produce cambiamento. E il cambiamento produce crescita. Sociale. Civile. Economica.

(*) Eurodeputato PD