Dove sono gli islamici moderati, si chiedono in tanti, dove? Semplice, a Kerbela. Se qualcuno avesse aguzzato la vista avrebbe saputo che diversi milioni di islamici sciiti (ma non solo) si sono riversati negli ultimi giorni in questa antica cittadina dell’Iraq per commemorare la festività di Arbaeen, che cade 40 giorni l’Ashura. Secondo le stime (ma non verificabili) sarebbero stati 26 milioni, quattro in più rispetto al 2015, che pure era stato un record di visite. Quello di Kerbela, del resto, è il più grande ritrovo religioso del mondo, almeno per numerosità.
In questa città del sud mesopotamico nel 680 d.C. si consumò la battaglia tra le truppe omayyadi e la famiglia di Hussein, il figlio del quarto califfo Alì. Un fatto storico lacerante per gli islamici, in un contesto di scontri per il controllo e la guida della comunità musulmana dopo la morte di Maometto. Alì, considerato da una parte di loro il legittimo destinatario di questa eredità era stato scalzato da Abu Bakr, che rivendicava un ruolo primario nella vita di Maometto e un’autorità maggiore. Lo strappo fu enorme, tanto che da allora la Umma (la comunità dei fedeli) si scisse in due: i sunniti e, appunto, gli sciiti cioè i seguaci di Alì.
Le tensioni proseguirono negli anni. Alì riuscì a diventare califfo (fu il quarto) ma venne ucciso nel 661 in uno scontro con i kharigiti. Nel frattempo la lotta tra fazioni imperversava, guidata in particolare dal capostipide omayyade Muwaiya, musulmano tardivo (si convertì poche ore prima che Maometto conquistasse la Mecca), segretario del Profeta e trascrittore del Corano, che combatteva contro i figli di Alì. Il maggiore, Hassan, venne ucciso con il veleno (dicono), il minore, Hussein, nello scontro a Kerbelà. È il 10 ottobre, il giorno dell’Ashura, una festività introdotta da Maometto. Da quel momento, per gli sciiti, la festa assume un altro significato: per loro è, prima di tutto, la commemorazione della martirio di Hussein e dei suoi seguaci. Il lutto dura 40 giorni e il 20 novembre viene celebrato, con un lungo pellegrinaggio da Baghdad fino a Kerbelà, l’Arbaeen.
La festa è enorme: secondo le stime, si parla di 26 milioni, da 40 Paesi diversii e più della metà sono donne. Il servizio di sicurezza è imponente: per proteggere i pellegrini i media locali parlano di oltre 300mila addetti, mentre per trasportarli si parla di 60mila veicoli, 1.500 bus e 140 aerei commerciali.
Una mobilitazione enorme che, oltre che religiosa, è anche politica: come fa notare il giornale Al-Monitor, la cerimonia ha assunto un valore maggiore da quando è sorto l’Isis. Marciare in Iraq in direzione di Kerbela è un atto di devozione ma anche una manifestazione di presenza, una sorta di sfida allo Stato Islamico: “Soprattutto dopo la caduta di Mosul nelle mani del Daesh di qualche anno fa, con conseguenti massacri di soldati e civili sciiti”. In più è anche una riaffermazione della predominanza sciita sulla regione, con uno sguardo ai vicini sunniti, e una certificazione dell’importanza dell’Iran, la cui presenza in termini di pellegrini è aumentata in modo esponenziale, nel mondo sciita.