Inaugurato nel 1996, lo stadio della capitale olandese ancora oggi è un impianto modello per l'Europa del pallone, tra strutture avveniristiche e razionalizzazione degli spazi
Il Limburgo è la regione più a sud e più verde di tutti i Paesi Bassi. Prati lussureggianti la ricoprono, alimentati dallo scorrere della Mosa, che la attraversa interamente. In uno di questi prati, due camion giganti e capaci di contenere fino a 400 rotoli d’erba in tutto sono sempre pronti a partire. La loro destinazione è verso nord, alla periferia sotto Amsterdam, dove almeno due o tre volte l’anno devono andare a portare il manto di ricambio per la Amsterdam Arena, il grande stadio che da 20 anni è casa dell’Ajax e della nazionale di calcio olandese.
Ma non sono tanto le partite di Lancieri e Oranje a ridurne il prato a brandelli, quanto gli spettacolari concerti ospitati dalla struttura, che in queste occasioni vede aumentare la propria capienza da 51mila a 68mila spettatori. E se piove nessun problema: un tetto automatico ricopre la parte occupata dal campo da gioco – e che nei concerti diventa il mitico prato che ogni concerto deve avere – e lo fa in 18 minuti.
Quella del tetto automatico è stata la novità che all’epoca dei fatti impressionò di più gli addetti ai lavori, ammirando quello che è stato il primo vero stadio moderno d’Europa. Siamo nei primi anni Novanta quando Amsterdam decide che è arrivato il momento di dotarsi di una struttura privata in grado di essere la nuova casa di un Ajax finalmente tornato ai fasti degli anni Settanta, grazie a un tecnico non simpatico ma vincente come Louis Van Gaal, che in campo comanda una squadra di ragazzini sfrontati e vincenti come Davids, Kluivert, Seedorf. Non solo Voetbal, però. Il nuovo stadio deve essere per la comunità. Uno spazio per grandi eventi di ogni tipo circondato in maniera capillare e organizzata da negozi, uffici, strade e un accesso facile e veloce alla metropolitana che collega la Centraal Station immersa nel mare cittadino alla parte più interna della sua area periferica. Per gli olandesi è un gioco da ragazzi. I Paesi Bassi sono il migliore esempio al mondo di centro poliurbano, meglio conosciuto come Randstad o “Città-anello”. Una necessità per chi deve organizzarsi in un territorio di 41mila chilometri quadrati in buona parte strappati al mare. Il tutto è stato trasformato dagli olandesi in virtù, tradotta in razionalizzazione dello spazio: in pratica, il Randstad è una città – che tu però non avverti come tale viaggiandoci dentro – divisa in più centri tra Amsterdam, L’Aja, Utrecht e Rotterdam, tutte collegate tra loro da una perfetta rete di strade, ferrovie e canali, pianificate per servire una popolazione di circa 6 milioni di olandesi.
L’ingresso principale dello stadio. In basso a sinistra si può notare il passaggio della Burgemeester Stramanweg, la superstada che attraversa l’impianto da sotto
Ed ecco che anche nell’area dell’Arena tutto lo spazio è utilizzato al meglio. Quando arrivi dalla città, in una metro così pulita che puoi mangiare per terra (non abbiamo provato, è per dire) la vedi appoggiata sul terreno come un grande catino. La stessa sensazione che provi quando dall’autostrada verso Taranto vedi il San Nicola di Bari, con una differenza non da poco: qui non si inseguì il sogno di fare bella figura con il mondo intero in vista di un Mondiale e metterlo in piedi in un mese. Qui si sono presi il tempo necessario: il cantiere è partito nel 1994, l’inaugurazione è avvenuta due anni dopo, ad agosto, in un’amichevole tra Ajax e Milan. Il tempo è stato necessario per pianificare tutto al meglio e poterlo realizzare: basti pensare che dentro allo stadio si infila una superstrada che lo attraversa da sotto, sempre per quel discorso del razionalizzare gli spazi. La presenza dell’arteria, posizionata nella parte sottostante il terreno di gioco, non permette allo stadio di dotarsi di un manto mobile ed estraibile, come accade in impianti costruiti dopo come il Sapporo Dome in Giappone o l’Allianz Arena a Monaco di Baviera: ma a questo ovviano i camion nei prati del Limburgo.
Il fatto che il terreno non sia estraibile non fa sì che tale stadio sia già vetusto, come accaduti ad altri costruiti ex novo: e qui torna in mente il San Nicola, per dire. Quando l’amministrazione cittadina decise di sedersi al tavolo con alcuni grandi investitori interessati al progetto-Arena, l’Europa stava provando a darsi una nuova immagine a livello di stadi, benché a macchia di leopardo. In Spagna dopo il Mondiale del 1982 erano rimasti fermi al restyling del Bernabeu e l’unico stadio nuovo era quello Olimpico che campeggiava al Montjuic di Barcellona. In Italia la grande stagione della mangiatoia di soldi pubblici meglio conosciuta come Italia ‘90 aveva lasciato al “campionato più bello del mondo” una serie di stadi nuovi ma già vecchi, mentre la Francia si preparava ad una nuova stagione con i Mondiali che avrebbe ospitato nel 1998 e l’Inghilterra, con Euro 1996, rimetteva a nuovo le vecchie glorie Old Trafford e Anfield: il Vecchio Continente aspettava i maestri a braccia aperte, pronti a perdonarli dopo i fatti di Heysel e Hillsborough. Il progetto è allettante: dare all’Olanda un vero stadio nazionale, che possa aiutare il Paese a concorrere in maniera più decisa all’assegnazione degli Europei del 2000 con i vicini del Belgio. E per uno stadio da nuovo millennio, ci vogliono i soldi. Alla fine, la struttura diventa privata, con la costituzione di una società formata da 8 soggetti, ognuno dei quali versa poco più di quelli che oggi corrispondono a 2 milioni di euro per diventare membro fondatore della Vereniging Van Eigenaars Amsterdam Arena, per gli amici l’associazione dei membri fondatori dello stadio. Tra questi c’è la Philips, multinazionale di Eindhoven che nel 1913 ha fondato la Philips Sport Vereniging, per gli amici Psv. I suoi tifosi vengono chiamati dal resto d’Olanda poco simpaticamente Boeren, contadini, ma per amore di patria l’azienda versa il doppio per diventare fondatore: la comunità prima di tutto.
I Paesi Bassi sono il migliore esempio al mondo di centro poliurbano, meglio conosciuto come Randstad o “Città-anello”. Una necessità per chi deve organizzarsi in un territorio di 41mila chilometri quadrati in buona parte strappati al mare. Il tutto è stato trasformato dagli olandesi in virtù, tradotta in razionalizzazione dello spazio: basti pensare che dentro allo stadio si infila una superstrada che lo attraversa da sotto.
Una comunità che dopo 20 anni può godere non di una stadio, ma di un’area dove fare quattro passi, fare un giro al centro commerciale e mangiare un’ala di pollo fritta o un cono di frieten, le patate fritte che qui vanno forte come in Belgio. E se siete qui in vacanza, nei giorni in cui non si gioca a calcio o non si esibisce Beyoncé ci si può dare al turismo con il tour dello stadio. Lo schema è quello classico, seguito ormai nella maggior parte dei grandi impianti d’Europa: una guida, che parla inglese perfettamente, ti porta in giro per le viscere dello stadio, facendoti entrare negli spogliatoi (quello dell’Ajax sembra un’astronave, altro che le panche in legno di una volta, chissà se Cruijff avrebbe gradito) e portandoti in giro tra spalti e campo, per poi finire nel museo del club, dove coppe, maglie e ritagli di giornale ti fanno capire dove sei e di cosa parliamo quando parliamo di Ajax. Ovviamente, qui Johan ha uno spazio tutto per sé.
Le guide del tour dell’Arena, poi, sono molto orgogliose. Quando una di loro ci guida attraverso il corridoio con le foto dei giocatori che hanno fatto la storia del club (chi scrive è stato l’unico in un gruppo di venti persone a riconoscere Litmanen, non per vantarci), arrivati all’altezza di Ibrahimovic spiega: “Dopo il Psg poteva tornare qui, ma ha detto che voleva fare la Champions. Poi è andato allo United, che mica ci gioca in Champions. Fino ad ora lì ha avuto 24 occasioni da gol. E sapete quante volte ha segnato?”. Solo quattro. E non potrà rifarsi qui nel 2020, all’Europeo itinerante, visto che ha dato l’addio alla nazionale svedese. L’Arena ospiterà quattro partite, tra cui un ottavo di finale. Per arrivare pronto all’evento, subirà alcune modifiche: l’allargamento della capienza fino a un massimo di 58mila posti e una nuova copertura attorno agli spalti, che lo renderà simile all’Allianz Arena anche nel colore: rosso. Il futuro era qui e ci sarà ancora.