Banche, la solfa non cambia: le colpe dei grandi ricadono sui piccoli

Un’elaborazione di Unimpresa conferma che la stragrande maggioranza dei crediti deteriorati è attribuibile a poche imprese. Che sfruttano il proprio potere relazionale e negoziale con le banche. Il conto lo pagano le piccole e medie imprese

KAY NIETFELD/AFP/Getty Images

Viviamo in un Paese in cui i piccoli imprenditori, ma anche le semplici famiglie, per ottenere dei mutui hanno dovuto sottoscrivere delle azioni. E in cui le obbligazioni subordinate sono state distribuite a un pubblico “retail” come in nessun’altra parte in Europa. Per questo sono importanti le stime che periodicamente ci ricordano quanto alla radice dei problemi delle banche ci siano fenomeni che con i piccoli imprenditori e le famiglie hanno poco a che fare. Dice l’ultima ricognizione di Unimpresa sui dati di Banca d’Italia, per esempio, che il 70% delle sofferenze è relativo a prestiti sopra il mezzo milione di euro. I clienti interessati da tali prestiti sono poco meno di 60mila, o il 4,72% del totale (il comunicato e la tabella di Unimpresa riportata qui sotto e le notizie di stampa hanno parlato del 2,63%, ma si tratta di un errore di calcolo). Se si confronta il dato con delle indagini precedenti di Unimpresa, si scopre che il peso dei crediti deteriorati riconducibili a prestiti sopra il mezzo milione è addirittura aumentato rispetto a due anni fa, quando era fermo al 66 per cento.

Ora, onestà intellettuale vuole che non si possa considerare un prestito di mezzo milione come credito a una grande impresa. Tuttavia, se si concentra lo sguardo sui prestiti superiori ai 5 milioni di euro, si scopre che questi da soli valgono il 35% delle sofferenze totali, a fronte di meno dello 0,5% del totale della clientela (quelli sopra i 25 milioni sono lo 0,05% e valgono il 12,01% delle sofferenze). Si tratta di una distribuzione che può avere un senso statistico. Tuttavia, nell’elaborazione di due anni fa questi grandi prestiti pesavano per un punto percentuale e mezzo in meno, il 33,6 per cento. Le cose sono andate quindi peggiorando.

A una conclusione simile era arrivata un’indagine svolta a luglio dalla Cgia di Mestre, secondo la quale in termini percentuali le variazioni di crescita maggiori verificatesi nel quinquennio 2011/2016 sono avvenute proprio nelle classi di grandezza più alte; vale a dire in quelle riconducibili agli importi di prestito più elevati che vengono consessi quasi esclusivamente alla migliore clientela. Le regioni dove questo fenomeno avviene con più gravità sono quelle del Sud, mentre le cose vanno decisamente meglio in Veneto e Lombardia.

Il fenomeno negli ultimi cinque anni è peggiorato: è sempre maggiore il peso delle sofferenze determinato dai prestiti di maggiore entità concessi alle imprese maggiori

Secondo la stessa indagine, l’81% delle sofferenze era riconducibile al primo 10% della clientela, quello che riceve il 90% dei prestiti. La conclusione del coordinatore dell‘ufficio studi della Cgia era stata inevitabile: «questo primo 10 per cento di affidati, costituito quasi esclusivamente da grandi aziende, grandi famiglie e gruppi societari, fa il bello e il cattivo tempo nei rapporti con le banche. Sfrutta il suo potere negoziale per ottenere gli impieghi, ma essendo poco solvibile, fa pagare il conto agli altri che, malgrado siano buoni pagatori e costituiscano la stragrande maggioranza della clientela, si sono visti ridurre drasticamente l’offerta creditizia». Un’anomalia «presente solo in Italia che i nostri organismi di controllo del credito dovrebbero avere il coraggio di denunciare».

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