«Non si può gestire una banca con un fogli Excel da Francoforte». Se si può trovare una frase simbolo dei rapporti tesissimi tra la banca Carige di Genova, con oltre 600 sportelli di cui la metà in Liguria, è quella che il fresco amministratore delegato, Guido Bastianini, pronunciò il 30 giugno scorso. Il nuovo piano industriale era stato appena approvato, dopo solo un mese di lavoro, perché così aveva imposto la banca centrale europea. La dichiarazione chiedeva, in sostanza, di prendere atto della discontinuità rispetto alla gestione precedente, finita con l’arresto dello storico amministratore delegato, Giovanni Berneschi. E di chiudere quindi un occhio sul fatto che il coefficiente patrimoniale Cet1 ratio scendesse nel 2017, secondo le previsioni del piano industriale 2016-2020, al 10,3 per cento. Non un dettaglio, visto che il valore è inferiore alla soglia dell’11,25% fissata dalla Bce come requisito minimo nel 2014. Da allora il clima di tensione non è cambiato. Anzi, è proseguito tra critiche della banca agli stress test e ispezioni della banca centrale che hanno portato ad accantonamenti per oltre 340 milioni di euro. L’ultimo episodio della disfida è datato 27 ottobre. Dalla Bce sono arrivate due lettere con altrettante bozze di decisioni: una relativa ai risultati degli Srep, ossia gli stress test per le banche non di primissima fascia. E una con la richiesta di un’accelerazione molto decisa della dismissione delle sofferenze (i crediti ad aziende fallite che non potranno essere restituiti). L’effetto di questa seconda lettera è stato immediato: fortissime perdite in borsa sia venerdì 28 sia lunedì 31 ottobre, sulla scia di una paura che gli analisti hanno messo subito in evidenza, quella di un nuovo aumento di capitale, il terzo dal 2014 (i precendenti sono stati di 800 e 850 milioni). Entro giovedì 3 novembre la banca dovrà rispondere alla Vigilanza. Secondo quanto trapelato alla stampa, il cda, convocato per il 2 novembre, avrà un atteggiamento bellicoso, o “dialettico” che dir si voglia. L’esito è tutto da vedere, ma è prevedibile che la banca conceda molto di quello che la Bce chiede. Lo ha fatto capire la stessa Carige, in una nota, che si concludeva così: «Sono comunque già in corso analisi volte alla definizione di più incisive opzioni, rispetto a quelle individuate nel piano 2016-2020 approvato lo scorso giugno per conseguire una rilevante riduzione dell’incidenza degli Npl sul bilancio».
Per quanto si appelli alla discontinuità, infatti, c’è un dato che racconta quanto una vera svolta non ci sia ancora stata. L’attuale rapporto tra i crediti deteriorati e i crediti totali è stratosferico: il 27,8 per cento (fonte Il Sole 24 Ore). La media italiana, molto elevata in Europa, è attorno al 16,7 per cento, mentre un livello fisiologico non dovrebbe superare il 6-7 per cento (in Germania si è attorno al 4 per cento). Ebbene, il piano industriale della banca prevede che entro il 2020 il rapporto scenda al 19,9 per cento. Per la Bce è ancora altissimo e da qui nasce la richiesta di accelerare.
L’allarme lanciato dagli analisti è che l’accelerazione del piano di cessione degli Npl porti a un nuovo aumento di capitale: il terzo dal 2014
Il piano industriale approvato a fine giugno prevedeva da parte di Carige la cessione in due tranche di 1,8 miliardi di sofferenze: 900 milioni entro la fine del 2016 e altri 900 milioni nel 2017. Nulla era previsto per il 2018, 2019 e 2020. Da Francoforte le richieste sono simili al piano di Carige solo fino all’anno prossimo. Lo stock di crediti deteriorati dai 7 miliardi attuali dovrà scendere a 5,5 miliardi entro il 2017 (mantenendo il coverage almeno al 45%) per poi scendere a 3,7 miliardi (mantenendo il coverage almeno al 42%) entro il 2019.
Ma cosa potrebbe succedere alla banca, in caso di cessione accelerata? Gli analisti hanno messo in guardia su due possibili effetti negativi: in primo luogo la banca per riuscire a rispettare le nuove scadenze dovrà abbassare il prezzo di cessione dei crediti. In secondo luogo, dopo questa comunicazione potrebbe partire una gara al ribasso tra gli operatori. Inoltre, ipotizzando che le cessioni riguardino soprattutto Npl con coverage elevato, ha scritto Equita, la vendita avrebbe l’effetto di diluire il coverage e quindi il limite minimo potrebbe implicare l’esigenza di extra accantonamenti. Da qui la paura degli azionisti di una voragine nel bilancio da ripianare con un aumento di capitale. Già alla vigilia del piano industriale varato a fine giugno erano circolate voci di un aumento da 400 milioni, ma furono smentite dai fatti. L’aumento però è rimasto nell’aria e il 24 luglio al Secolo XIX il presidente di Carige, Giuseppe Tesauro, non aveva potuto escluderlo, sapendo che la banca centrale non si sarebbe accontentata delle cessioni previste: «Vedremo se sarà necessario – disse – se lo sarà l’assemblea degli azionisti lo deciderà».
Il fatto che Carige possa far affidamento alla garanzia statale (Gacs) sui crediti cartolarizzati rende meno drammatico lo scenario
Fonti vicine alla materia invitano però a guardare in modo meno drammatico alla questione. Intanto perché – come ha sottolineato la stessa banca nella nota già ricordata – Carige potrà far affidamento, per la vendita delle proprie sofferenze, sulla Gacs, la garanzia statale sui bond senior che derivano dalla cartolarizzazione degli Npl. Finora la prima banca che ha utilizzato la Gacs, la Popolare di Bari, ha avuto risultati positivi: il prezzo medio delle sofferenze è stato pari al 30% del valore nominale, molto superiore al 22% a cui sono state valutate le sofferenze delle quattro banche popolari del centro Italia “risolte” nel novembre 2015; e soprattutto superiore al 20% che all’inizio del 2016 il fondo americano Apollo aveva offerto per le sofferenze della stessa Carige. Il motivo di questi prezzi più vicini al valore di libro è duplice: innanzitutto i crediti vengono catalogati in maniera certosina dai servicer (per la Popolare di Bari è stata Prelios Credit Servicing, che è stata selezionata anche da Carige) e questa sistematizzazione finisce per aumentare il valore. Nel caso di Carige, il fatto che ci sia una presenza di garanzie immobiliari superiore alla media nazionale – e di un tribunale più veloce di quello di Bari – fa pensare che il prezzo potrà essere decente.
In secondo luogo, quando c’è la garanzia dello Stato il rischio scende e possono intervenire operatori prudenti che si finanziano a tassi inferiori di quelli riservati ai fondi specializzati in Npl. Che lo facciano davvero è tutto da dimostrare, il caso di Mps, dove ci sarà Gacs e l’intervento del fondo Atlante, è un invito alla prudenza. Ma come spiega un operatore del settore degli Npl, la finestra tenuta aperta dalla Bce, con tassi bassi e Qe in corso, non sarà spalancata per sempre e quindi è comprensibile la pressione della Bce per spingere le cessioni in questa fase.
Secondo la stessa fonte un azionista come Malacalza, divenuto il primo investitore nella banca, ha le spalle abbastanza robuste da poter sopportare un eventuale aumento di capitale che si rendesse necessario. In questa prospettiva potrebbe essere lontano lo spettro di una conversione di bond subordinati in azioni, in stile Mps.
Carige, come tutte le altre banche, dovrà fare i conti con l’efficienza e la redditività. E dovrà far tornare i cienti: la raccolta diretta è scesa rispetto allo scorso dicembre di quasi il 10 per cento
Intanto Carige, come tutte le altre banche, dovrà fare i conti con l’efficienza e la redditività. Il piano industriale approvato a giugno prevede la chiusura di 106 filiali, soprattutto fuori da Liguria e Toscana, le roccaforti storiche. I tagli si dovrebbero concentrare tra Puglia, Marche e Umbria. La riduzione di personale sarà di 500 persone (da 5.034 a 4.520), mentre i costi totali entro il 2020 dovrebbero scendere da 621 a 507 milioni e la banca conta di arrivarci anche attraverso una maggiore automazione e digitalizzazione dei processi che libereranno risorse da dedicare alla clientela (che rimarrà soprattutto retail) e all’attività commerciale. Dovranno anche migliorare i conti. Il primo semestre di quest’anno non fa troppo testo, perché è molto appesantito dalle rettifiche di valore per crediti per cassa, imposte dalla Bce dopo un’ispezione: sono pari a 344,5 milioni e hanno portato il risultato netto del semestre in rosso di oltre 200 milioni. Ma sono altri i numeri su cui bisogna lavorare: la raccolta diretta, per esempio, è scesa rispetto allo scorso dicembre di quasi il 10 per cento. Come dire, è vero che Carige non è più quella di due anni fa. Che è finita l’era Berneschi e che sono arrivati nuovi soci di riferimento (Malacalza) e nuovi vertici Bastianini e Giuseppe Tesauro. Ma la strada per far tornare i clienti è ancora lunga.