Uno dei cliché più presenti sulle pagine dei giornali, nonché nella cultura popolare, è che la famiglia sia tuttora la pietra fondante della società italiana. I più critici si spingono a considerare l’attaccamento profondo alla famiglia come una degenerazione, spesso definita come “familismo“, laddove il termine racchiude un insieme eterogeneo di comportamenti volti a favorire i membri della famiglia di origine a scapito della correttezza e delle relazioni sociali. Le cronache abbondano di esempi di favori ai figli di potenti, professori, professionisti, insomma la classe dirigente più che seguire gli incentivi del mercato è spesso prona a elargire favori, incurante delle competenze specifiche delle persone. Le statistiche economiche, oramai note, concordi nel sottolineare l’anemia cronica della produttività del lavoro, si spiegano in parte anche con l’assenza dei giusti incentivi nel mercato del lavoro. Il mismatch fra competenze domandate e offerte è ovviamente concausato da molti fattori, non ultimo la qualità delle scuole, ma è pur vero che esiste una abbondante fetta di nuovi laureati che sono impiegati in lavori sottoqualificati rispetto alle loro competenze, come i lavori recenti dell’Ocse hanno spesso sottolineato.
Quantificare il contributo del “familismo” in questo processo di allocazione inefficiente delle risorse non è affatto semplice. Le statistiche sono concordi nel sottolineare come i giovani italiani siano, rispetto ai corrispettivi europei, più proni all’utilizzo di network informali, spesso familiari, nella ricerca del lavoro. Studi come quelli di Pistaferri mostrano come però la più alta probabilità di accesso al mercato del lavoro associata all’utilizzo di reti informali sia di solito accompagnata da lavori a più bassa remunerazione, confermando perciò che l’allocazione sia lontana dall’essere ottimale.
Le politiche economiche e sociali in tema di famiglia non possono perciò esimersi dal prendere in considerazione questi fatti, sebbene il processo di riforma e di programmazione non sia mai del tutto scollegato alla domanda di politiche provenienti dalla società, dagli elettori. Il governo ha appena presentato la legge di bilancio per il 2017. Come per i predecessori, l’attenzione posta alle famiglie è quasi del tutto assente. Poiché quando un’evidenza si ripete con una certa costanza, il sospetto è che le cause che la producano siano simili, pare affrettato gettare la croce solo sugli attuali policy makers, spesso accusati di cercare più il consenso di breve periodo rispetto a una corretta programmazione delle politiche economiche e sociali. Sarebbe, forse, opportuno domandarsi se non sia la totale assenza di domanda di politiche pro famiglia, proveniente dalle famiglie stesse, la vera causa di tale atavica assenza di una strategia coerente che consenta finalmente di avere politiche sociali degne di un Paese europeo.
Anche nella legge di bilancio per il 2017 non c’attenzione alle famiglie. Ma perché? Forse è la totale assenza di domanda di politiche pro famiglia, proveniente dalle famiglie stesse, la vera causa di tale atavica mancanza di una strategia che consenta finalmente di avere politiche sociali degne di un Paese europeo
Alla base della mancanza di pressione sul lato della domanda di politiche familiari sta, innanzitutto, il cambiamento strutturale delle famiglie, intervenuto negli ultimi decenni, che spesso avviene senza una vera consapevolezza del fenomeno. Ricordiamo che una società non è mai “ferma”. Nuove coorti si susseguono e rimpiazzano le vecchie. La cultura cambia lentamente proprio a causa della lentezza di questo processo, eppure basta aprire giornali, guardare film, ascoltare la musica per rendersi conto che, anche in questo caso, il modello super fisso che vuole tutto immutabile sia in realtà una fallacia empirica. L’Italia è passata in poco tempo da esser un Paese a alta natalità, a uno a bassissima. Il processo è comune ai Paesi sviluppati, è causato dal cambiamento delle competenze, con più donne ad alta istruzione nel mercato del lavoro, fatto che genera uno slittamento nell’ingresso del mercato del lavoro e un implicito trade-off fra lavoro nel mercato e lavoro domestico. Le scelte di allocazione del tempo di lavoro sono spesso, infatti, generate da processi interni alla famiglia. La letteratura economica recente ha fatto passi da gigante in questo fertile campo di ricerca, come dimostra questo paper di Claudia Goldin, sulle cause del gap salariale fra uomini e donne.
Gli effetti di questo processo sul tasso di fertilità sono perciò abbastanza chiari da identificare. In Italia, però, le statistiche suggeriscono che la bassa fertilità sia un problema più complicato e con cause diverse da altre economie sviluppate. Nel 2015 i nuovi nati in Francia, con popolazione simile all’Italia, sono quasi 800mila, contro i poco meno di 500mila nel Belpaese.
Nel 2015 i nuovi nati in Francia, con popolazione simile all’Italia, sono quasi 800mila, contro i poco meno di 500mila nel Belpaese. Se il trend continuasse, fra poco nell’Esagono potrebbe nascere il doppio dei bimbi che in Italia
Se il trend fosse confermato, come mostrato dal grafico, fra poco nell’Esagono potrebbe nascere il doppio dei bimbi! Una cifra mostruosa. Ricordiamo che le nuove generazioni saranno i prossimi lavoratori nel mercato. Una società relativamente giovane, per quanto in un trend generalizzato di invecchiamento, è di per sé un valore sociale e economico. I giovani sono il motore delle innovazioni, come ci ricorda Acemoglu in questo famosissimo paper dal nome evocativo “Young, Restless and Creative”.
I giovani sono il motore delle nuove idee, mode e valori. Non si capisce come di fronte a queste cifre la discussione pubblica possa essere confinata nella surreale piega del messaggio del Fertility Day, che scambia effetti per cause, poiché la minore fertilità è dovuta in parte al fatto specifico che le coppie in Italia hanno figli a età medie più elevate, spesso a causa di transizioni nel mercato del lavoro lente e incerte. In Francia, l’età media delle madri primo concepimento è vicina ai 28 anni, contro i 30 italiani, seconda alla sola Corea, altro Paese a bassa fertilità. Nel 1995 l’età media era inferiore ai 27! Un aumento di 3 anni in due decadi.
Non si capisce come di fronte a queste cifre la discussione pubblica possa essere confinata nella surreale piega del messaggio del Fertility Day, che scambia effetti per cause
La proporzione di famiglie con bambini sotto i 6 anni di età è del 10% in Italia, contro il 12,6% in Francia. Il 6% delle famiglie francesi ha 3 figli; in Italia la percentuale è del 2 per cento. I dati andrebbero deputati dagli effetti di età, se si considerassero solo le famiglie in età fertile i dati sarebbero certamente ancora meno favorevoli. Le famiglie sono, perciò, un po’ meno numerose del passato. In più, al contrario dell’Italia, dove il tasso di occupazione delle donne sposate o conviventi è basso e solo il 50% dei bambini vive in coppie dove entrambi i genitori lavorano, in Francia ben più del 60% dei bambini vive in coppie dove entrambi lavorano, uno dei tassi più alti tra i Paesi Ocse assieme ai Paesi Nordici, spesso indicati come i campioni delle politiche sociali per la famiglia. Avere due redditi permette ovviamente di combattere fenomeni di povertà familiare a giovani età, molto alta in Italia rispetto a economie simili, oltre a aumentare la capacità di spesa per istruzione di un numero relativamente maggiore di figli, soprattutto nel caso di giuste aspirazioni a istruzioni superiori avanzate, in un mondo sempre più competitivo nel campo delle conoscenza per ambire a professioni ad alta qualificazione.
In questo contesto, le politiche sociali, fiscali e economiche non possono che rispondere con strategie coerenti e strutturate. È noto, restando al confronto con i cugini transalpini, che la spesa in trasferimenti per le famiglie sia non paragonabile a quella italiana. Spesso si critica lo scarto di deficit, dimenticandosi che un conto è indebitarsi per potenzialità reddituali future, e un altro prettamente per trasferire risorse principalmente a pensionati. I trasferimenti mensili diretti in Francia sono articolati su più livelli, e variano a seconda del reddito e il numero di figli, dopo la riforma del 2015, tesa a diminuire la spesa per le famiglie più abbienti, considerata ingiustificata. Al settimo mese di gravidanza lo Stato versa alle madri quasi 1000 euro, assieme a una allocazione mensile di 200 euro per ogni bimbo sino ai tre anni di età. Per aiutare nelle spese scolastiche lo stato versa un importo mensile per le famiglie più indigenti. L’unità di imposizione è in Francia la famiglia, con uno schema attento a evitare che effetti perversi, dovuti a questo tipo di tassazione, non vadano a detrimento del tasso di occupazione delle donne, con buoni risultati a vedere le statistiche sopra citate sul tasso di occupazione femminile. È necessario infatti che il sistema sia coerente, grazie a servizi efficienti, asili nidi, asili, reti di assistenti alla maternità, tutte realtà consolidate nei Paesi europei con efficaci politiche sociali, non paragonabili alla stagnante situazione italiana, dove solo 22% dei bambini di età sotto i due anni ha posti offerti da strutture pubbliche o convenzionate, secondo un rapporto dell’Istat appena pubblicato.
Per aumentare il benessere delle famiglie italiana serve una strategia che veda i giovani, i bambini, gli adolescenti, il futuro del Paese, al centro della discussione pubblica. Serve coerenza di misure applicazione amministrativa, valutazione, non interventi aleatori senza alcuna strategia
Insomma, per aumentare il benessere delle famiglie italiana serve una strategia che veda i giovani, i bambini, gli adolescenti, il futuro del Paese, al centro della discussione pubblica. Supporti alle famiglie, scuole di qualità, università funzionali. Le riforme efficacissime si fanno sul campo, non bastano interventi legislativi, economia è sempre governo di processi organizzativi complessi e interrelati. Serve coerenza di misure applicazione amministrativa, valutazione, non interventi aleatori senza alcuna strategia. Chi governa, chi controlla all’opposizione, chi ha responsabilità di governo si ricordi della lezione di Alcide De Gasperi, grande statista italiano: un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione. È forse tempo di tornare a avere un minimo di sogni per i giovani italiani.