Chi prenderà il posto di Matteo Renzi? A meno di una settimana dal referendum costituzionale, l’elenco degli aspiranti successori del premier inizia a delinearsi. Se dovesse vincere il No, sarebbe quasi inevitabile la nascita di un nuovo governo. Un esecutivo di scopo presieduto da un’alta figura istituzionale, ad esempio, come il presidente del Senato Piero Grasso. Oppure da un ministro, magari il titolare dell’Economia Pier Carlo Padoan. E se invece il nuovo premier fosse una donna? Ancora pochi giorni per saperlo. Ovviamente lo scenario cambierà qualora a prevalere fossero i Sì. A quel punto, con ogni probabilità, Renzi concluderà la legislatura al suo posto. Ulteriormente rafforzato nel suo ruolo di premier e leader del Pd.
Nel caso di sconfitta del presidente del Consiglio, gli scenari principali sono tre. Il primo: dopo la bocciatura della riforma, Renzi non si dimette. È vero, aveva promesso il contrario. Ma come diceva James Russell Lowell, solo gli stupidi non cambiano mai opinione. Del resto non era stato proprio Renzi a rassicurare Enrico Letta – con il celebre hashtag #enricostaisereno – poco prima di prenderne il posto a Palazzo Chigi? Seconda ipotesi, Renzi si dimette. Ma di fronte alle insistenze del Colle decide di accettare un nuovo incarico. Seppure sconfitto dalle urne, il premier resta a Palazzo Chigi. Probabilmente per un periodo limitato, fino alla prossima primavera. Giusto il tempo di approvare una nuova legge elettorale – passaggio obbligato e condiviso da praticamente tutte le forze politiche – e tornare al voto. Ma è la terza ipotesi la più interessante. In caso di sconfitta al referendum, Matteo Renzi decide di farsi davvero da parte. Tiene fede alla parola data e lascia il suo incarico di governo, ma non la guida del Pd. A quel punto dovrà nascere un nuovo esecutivo di scopo con il sostegno del Partito Democratico – obbligatorio visti i numeri in Parlamento – e senza la fretta di tornare al voto nel giro di pochi mesi. Chi potrebbe guidarlo?
Pier Carlo Padoan
Dal punto di vista dell’attuale presidente del Consiglio, questa potrebbe essere la scelta migliore. Il ministro non è così popolare da contendere a Renzi la successiva candidatura alle Politiche. Ed è strettamente legato all’esperienza di governo in corso. Padoan è il titolare dell’Economia. L’esponente dell’esecutivo che ha condiviso con il premier le principali riforme di questi anni: dal Jobs Act all’ultima legge di Bilancio. Senza dimenticare l’aspetto mediatico. Negli ultimi giorni di campagna elettorale si è a lungo parlato delle preoccupazioni dei mercati in caso di esito negativo al referendum. Se davvero esistono tensioni internazionali, Padoan è l’uomo giusto per scongiurarle, almeno come segnale di continuità. E poi c’è il suo curriculum. Già direttore esecutivo per l’Italia del Fondo Monetario Internazionale, prima di entrare al governo Padoan è stato vice segretario generale dell’Ocse. Ma il Paese è pronto per un nuovo governo tecnico? Lui intanto si chiama fuori dalla contesa, ma senza troppa convinzione. A chi gli chiedeva se fosse pronto a guidare un governo di scopo dopo l’eventuale sconfitta al referendum, il ministro ha spiegato: «Vincerà il Sì. Ma nel caso, eventualmente, deciderà il Colle».
Pietro Grasso
È il presidente del Senato, la seconda carica dello Stato. In caso di una successione a Palazzo Chigi sarebbe uno dei possibili candidati, anche solo per il ruolo istituzionale che ricopre. Già procuratore nazionale antimafia, è una figura autorevole e apprezzata. Il Partito democratico e Renzi potrebbero sostenerlo senza particolari obiezioni. Lui per ora non si sente chiamato in causa. «Mi concentro su quello che devo fare e cerco di farlo al meglio», ha spiegato. Un nuovo incarico a Palazzo Chigi? «Non credo a tre cose – ha risposto ironico – gli oroscopi, i sondaggi e le previsioni che spesso finiscono nella fantapolitica piuttosto che nella realtà». Eppure nella difficile fase che si potrebbe aprire, Grasso appare a molti come la personalità giusta per guidare un governo di scopo e avviare il percorso di una nuova legge elettorale. Qualche giorno fa, parlando della nervosa campagna referendaria, ha rilasciato una dichiarazione che sembra quasi un’investitura. «Il nostro Paese non può uscire sempre più diviso da queste contese politiche. Qualunque sia il risultato del referendum, dopo questo appuntamento dobbiamo riprendere a essere uniti». .
Graziano Delrio
È il ministro delle Infrastrutture. L’uomo scelto da Renzi per un ruolo da sempre delicato in Italia: guidare il ministero degli appalti pubblici, dopo le dimissioni di Maurizio Lupi. Delrio è il volto governativo più riflessivo e dialogante. Renzi all’inizio lo aveva scelto come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, mantenendo un’importante continuità con il governo Letta, di cui Delrio è stato ministro degli Affari Regionali. E’ un politico che ha lavorato come medico. Un ministro che ha grande credito dentro il suo partito (il Pd) ma anche fuori. Un ex sindaco (di Reggio Emilia) come Renzi, costretto da sempre a misurarsi con la quotidianità. E poi la sua sarebbe anche una storia esemplare nella ricerca di una nuova serenità politica: il grande pubblico ha conosciuto la prima volta il cattolico Delrio quando si è presentato a giurare al Quirinale accompagnato dai suoi 9 figli. Per tutte queste ragioni, quasi tre anni fa era fra i nomi circolati per sostituire Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica. Per Renzi però questa è anche una controindicazione: da suo braccio destro, potrebbe diventare un competitor troppo ingombrante. Delrio sul tema non interviene, non è nel suo stile. Sulla prospettiva, però, ha parlato negli stessi termini di Padoan: «Se vince il No, bisognerà rimettere il mandato nelle mani del presidente Mattarella. Sarà lui a decidere il da farsi».
Dario Franceschini
Ministro dei Beni Culturali. Franceschini è un politico diverso da Delrio. Mentre quest’ultimo può vantare quel suo profilo istituzionale, Franceschini è soprattutto un politico che sa muoversi fra le correnti di partito. A lungo parlamentare, è stato segretario del Pd nel periodo fra le dimissioni di Walter Veltroni e e Pierluigi Bersani. Una situazione-ponte potenzialmente simile a quella che si verrebbe a creare nel caso di dimissioni di Renzi dalla guida del Governo. Franceschini è dell’area moderata del Pd, proprio come Delrio. E potrebbe tranquillamente dialogare con l’area moderata del centrodestra. Franceschini, che anni fa ha debuttato come scrittore, sarebbe anche un premier più interessante per le cronache mondane. Ma lui per il momento ha liquidato come «fantasie giornalistiche» le ricostruzioni che lo vogliono fra i candidati al dopo Renzi.
Mister X
Se non saranno Padoan, Grasso, Delrio o Franceschini a essere chiamati al Quirinale, sarà probabilmente per i veti incrociati che si scateneranno dopo il referendum. O perché lo stesso Renzi, che manterrà comunque la carica di segretario del Pd nel 2017, deciderà che di nessuno di questi quattro potrà fidarsi. Allora potrebbero uscire altri nomi, altre suggestioni politiche, altre soluzioni per traghettare il Paese alle elezioni. Se prevarrà la scelta di una donna, al pari di Grasso c’è ovviamente la presidente della Camera, Laura Boldrini, che però è un nome ritenuto divisivo dalle opposizioni. Oppure c’è Roberta Pinotti, ministro della Difesa che finora ha interpretato il suo ruolo in maniera pragmatica e defilata. Fra i nomi di ministri dell’attuale Governo bisogna poi tenere d’occhio quelli di Andrea Orlando (Giustizia) e Carlo Calenda (Sviluppo Economico).
Questo breve elenco di nomi è la mappa su cui la politica (e la stampa) in queste settimane ha cercato di orientarsi per capire che cosa potrà succedere nel caso di vittoria del No al referendum. E’ una mappa che ovviamente si cancellerà in un solo colpo nel momento in cui invece fossero i Sì a prevalere. C’è solo una cosa che chiunque in Parlamento dice di non volere: un esecutivo tecnico come quello guidato da Mario Monti nel 2011. Il contesto è diverso. Ma una prolungata crisi di governo potrebbe coincidere con nuove turbolenze dei mercati. E, si sa, il governo tecnico non lo vuole nessuno. Fino a quando non bisogna votargli la fiducia.