Viotti ha lanciato nel suo articolo l’idea di un Piano Marshall per i giovani, la stessa che io ho lanciato ad agosto al Meeting per l’Amicizia dei Popoli di Rimini. In un Paese, ma seppur in misura minore potremmo dire in un occidente, in crisi totale, non possiamo esimerci dalla domanda sul che fare, da dove ripartire.
Siamo il paese in cui la crisi ha massacrato i giovani, dal 2009 a oggi il tasso di disoccupazione giovanile è schizzato al 40% e le persone sotto i 39 anni sono quelle che hanno visto diminuire in modo drammatico la partecipazione alla massa salariale.
Conosciamo bene i nostri fondamentali che ci collocano come fanalino di coda dei Paesi occidentali: debito pubblico altissimo, produttività che non cresce dal 1995 e relativi redditi bassi, tasso di occupazione inchiodato al 57%, dispersione scolastica elevata, povertà che cresce soprattutto colpendo le fasce giovanili, saldi demografici negativi.
Insomma, sempre più giovani appartengono a quella che Ricolfi definisce la terza società, quella degli esclusi, di coloro che non hanno mai trovato una reale rappresentanza le persone che non hanno un impiego pur essendo disposte a lavorare, ma anche di chi lavora in nero, senza le minime garanzie riconosciute ormai anche ai cosiddetti lavoratori atipici.
Tutti parlano dei problemi dei giovani, politici nazionali e territoriali, sindacati e associazioni datoriali, ma la percezione è, da un lato, che pochissimi tra questi li conoscano e, dall’altro, che non ci sia alcuna capacità di rendere effettiva la priorità di investire su di loro.
Serve un insieme di misure coordinate tra di loro, fortemente sburocratizzate, con possibilità di correggere rapidamente in corsa gli strumenti dove non funzionano. Con l’aiuto di tutti
Per questo ci vuole un Piano Marshall il cui unico criterio è l’obiettivo di sostenere il futuro dei giovani, quindi un insieme di misure coordinate tra di loro, fortemente sburocratizzate, con possibilità di correggere rapidamente in corsa gli strumenti dove non funzionano.
Una prima proposta può essere incentrata su 4 leve.
1) La leva fiscale: la priorità è agire sui flussi e non sullo stock, cioè rendere breve il tempo dell’inserimento lavorativo di chi termina gli studi, se invece si agisce prevalentemente sullo stock di giovani disoccupati non ce la faremo mai, perché i nuovi flussi lo ingrosseranno sempre di più di quanto si riesca a ridurlo. In tale contesto è buona la misura della decontribuzione prevista nella legge di stabilità
2) La leva di Welfare: no al reddito di cittadinanza, si a forme di sostegno temporaneo attraverso un sistema assicurativo ad hoc per i giovani. Assunzioni dei giovani nel sistema pubblico anche con redditi inferiori ai minimi contrattuali per un periodo massimo di 12 mesi nei settori a forte ritorno (basti pensare alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale). Coinvolgimento del sistema del credito in un vasto programma di prestito d’onore per i capaci meritevoli e nel sostegno allo start up di imprese giovanili, anche escludendo le eventuali insolvenze dal calcolo su cui si calcolano la possibilità di impiego
3) La leva del sistema educativo: portare a compimento la possibilità di una ampia scelta per i giovani e le loro famiglie. Rendere effettivo in tutto il Paese il diritto ad accedere alla Istruzione e Formazione Professionale I&FP che ha dimostrato in questi anni di combattere efficacemente la dispersione scolastica e di favorire l’inserimento lavorativo; riformare con coraggio tutto il sistema dell’istruzione professionale di Stato, strutturare con maggior efficacia i percorsi di alternanza scuola lavoro anche con la possibilità di attività strutturate all’estero; potenziare e rendere stabile la possibilità di un sistema duale; sviluppare un piano coordinato a livello nazionale per il Sud
4) La leva delle politiche attive: strutturate in una logica di cooperazione tra pubblico e privato, sburocratizzate, capaci di premiare il merito (cioè risultati oggettivi), incentrate sulla domanda e non sull’offerta, caratterizzate da servizi chiaramente identificabili e a costi standard; correggere in corsa l’utilizzo di strumenti già attivi come per esempio Garanzia Giovani.
Per realizzare un piano cosi ambizioso e complesso c’è bisogno di tutti.
Certamente di una politica che esca dalle beghe di cortile tra i partiti e dentro i partiti, recuperando la capacità di servire il bene comune e di capire i problemi reali delle persone. In questa senso non saranno indifferenti i segnali che verranno lanciati con la legge politica per eccellenza che è la legge di stabilità.
Della responsabilità delle imprese artigiane con la passione di trasmettere quei mestieri per cui siamo diventati grandi agli occhi del mondo.
Del mondo cooperativo che tante volte è stato la chiave di volta per lo sviluppo dell’occupazione giovanile e per la nascita di nuove sfide imprenditoriali.
Delle imprese medie e grandi affinché sostengano la vera alternanza e realizzano nuove forme di welfare aziendale per i giovani.
Delle associazioni sindacali e datoriali che, uscendo da tanta autoreferenzialità, inizino veramente a sostenere la terza società.
Del mondo della finanza e del credito che se non saprà investire nella risorsa umana non saprà più su cosa investire.
Del sacrificio di tutti noi cittadini che, per una piano come questo, possiamo anche accettare una tassa di scopo sui redditi medio alti e persino una patrimoniale dedicata.
Se non sapremo cogliere questa sfida non saremmo più credibili quando ci scagliamo contro la burocrazia e il rigore di Bruxelles, perché saremmo come loro e peggio di loro, condannandoci ad essere un paese per vecchi, non solo per i tassi demografici negativi, ma per una cultura rassegnata e nichilista. E ai giovani o ai nostri figli non c’è cosa peggiore che trasmettere questo senso di annichilimento.
Mettiamoci al lavoro, insieme.
Presidente Piazza dei Mestieri*