C’è un dipinto dell’olandese Hieronymus Bosch che si intitola Il Trittico del giardino delle delizie ed è di una complessità e di una bellezza abbastanza uniche. È di datazione incerta, tra il 1480 e il 1505, come incerta è la sua interpretazione. Perfettamente fiammingo come stile, dalla tecnica, alla luce, all’ossessione ai più minimi dettagli, è anche incredibilmente contemporaneo per la fantasia allucinata che lo ispira e che quasi ci ricorda Salvador Dalì ed è questo che lo rende, nei tre pannelli di cui si compone, affascinante e nello stesso momento spaventoso.
Cosa c’entra un dipinto fiammingo di un autore nato nell’anno della caduta dell’Impero Romano d’Oriente con un documentario sul cambiamento climatico realizzato da un attore americano premio Oscar? C’entra perché Leonardo DiCaprio ha un padre che si chiama George e che ha lavorato con i maggiori interpreti dell’underground comix americano, era amico di Timothy Leary (sì, quello dell’LSD) e in casa aveva appeso una stampa proprio di quel quadro. Ed è proprio da questi tre pannelli che parte Before The Flood, (in italiano Punto di non ritorno) realizzato da DiCaprio e prodotto da National Geographic, visibile gratuitamente su YouTube (in inglese qui, in italiano qui).
Nel trittico di Bosch ci sono tre momenti della storia della Terra e dell’Umanità. Il primo è l’età dell’oro, quella della Terra come paradiso, popolata da una Umanità sparuta e in armonia con la Natura. Il secondo è l’età dell’abbondanza, con la Terra sovrappopolata da una Umanità gaudente e inconsapevole, che perde il controllo, che riduce animali di ogni tipo ridotti a bestie da soma. La terza è l’età della catastrofe. La fantasia di Bosch, in questo caso, è di una modernità sconcertante: palazzi in fiamme che a noi ricordano città bombardate cinque secoli dopo, sagome nere che si trascinano tra le fiamme , uomini e donne alla mercé di animali mostrificati che li torturano. È l’apocalisse, o qualcosa che le somiglia.
Gli storici dell’arte interpretano questa visione come la rappresentazione del millenarismo o semplicemente una visione cristiana del destino dell’Umanità dedita al peccato. Ma ciò che a un uomo del Cinquecento sembrava un monito da chierico, noi lo possiamo percepire in un altro modo e, a distanza di cinque secoli, possiamo tranquillamente prenderci la libertà di sovrainterpretare e leggere nella progressione dei tre pannelli il processo dell’alienazione dell’Umanità dalla Natura. Ed è qui che arriviamo al Punto di non ritorno.
Il viaggio in cui ci accompagna Leonardo DiCaprio attraversa mezzo mondo e testimonia quasi una decina di tragedie ambientali. Dai ghiacci dell’artico, sempre più sottili e grigi, fino alle sabbie bituminose del Nord America; dalle nebbie di smog che soffocano Pechino, alla morte per asfissia delle barriere coralline; dall’innalzamento delle acque che riporta al mare intere isole del Pacifico e inonda sempre più spesso le strade di Miami Beach; dalle foreste indonesiane distrutte, bruciate e trasformate in bombe al CO2, fino alle piogge che in India distruggono i campi facendo cadere in cinque giorni la pioggia di un anno.
Il merito di Leonardo DiCaprio è quello di non mentire a se stesso e di riuscire a far convivere tre ruoli e anime difficili da riunire: è istituzionale nel suo ruolo di Ambasciatore delle Nazioni Unite; è influente nel suo essere una delle star più famose del pianeta; ma è anche umile e indipendente, come è giusto che sia il figlio di un editore dell’underground comix americano. Per questo in Before the Flood c’è tutto, e tutto è messo sul piatto come potenziale strada da seguire: c’è la follia di Elon Musk e delle sue gigacentrali che producendo energia rinnovabile fanno sognare energia gratuita e pulita per sempre e per tutti; c’è la facciata pop emotiva di Obama e della sua speranza che le sue figlie e i suoi nipoti possano godere della bellezza del mondo così come ha fatto lui; ma c’è anche il duro realismo di una ambientalista come Sunita Narain, che ricorda a un Leonardo DiCaprio bravo ad accettare il suo essere un americano iper dipendente dal consumismo energetico sfrenato che porta un cittadino statunitense a consumare circa 40 volte l’energia di un indiano.
DiCaprio ci crede, ed è anche in qualche modo ammirevole nel suo sforzo, che sia la già citata umiltà di andare a fare la figura del viziato occidentale in India, o quel suo abbassare le orecchie di fronte al pensiero pop di Obama, o che sia l’ascoltare possibilista il sogno entusiasta a occhi aperti di Elon Musk. Ma la percezione è che ci sia un MA e che sia anche parecchio grosso: quella che cerca di realizzare è una missione persa in partenza. Perché è troppo tardi.
Attenzione, non è troppo tardi per il pianeta Terra in sé, quello tra l’altro vivrà anche senza di noi e ci metterebbe al massimo una cinquantina d’anni e un paio di scrollate telluriche a scrollarsi di dosso i miliardi di tonnellate di cemento che gli abbiamo piazzato sul groppone. È troppo tardi per noi. Perché questi discorsi si fanno da decenni, quasi sette ormai. Ma nel frattempo non soltanto non siamo cambiati di una virgola, ma non abbiamo ancora accettato che l’unica soluzione è rivoluzionare totalmente il nostro stile di vita.
Noi non lo faremo. Non lo vogliamo fare. Nessuno di noi. Né DiCaprio né chi sta scrivendo queste righe. Soluzioni come votare i politici che si dichiarano a favore della carbon tax non è un freno a mano abbastanza potente per fermare la dinamica che abbiamo innescato. Consumare responsabilmente non sarà mai abbastanza perché il problema, purtroppo, è che la nostra idea di felicità e di benessere non convive né con l’equilibrio ecologico del pianeta, né con il nostro ideale di convivenza umana.
È molto dura da accettare, ma il prezzo che dobbiamo pagare per il diritto a godere dello stile di vita a cui siamo abituati è altissimo. La storia dell’umanità è una storia di dialettica tra chi ha dei privilegi e chi è sfruttato affinché quei privilegi possano continuare a esistere. È da sempre che siamo seduti allo stesso ristorante, un posto che non ci possiamo permettere dove ci ingozziamo e trangugiamo di tutto, perennemente a credito. A pagare il conto, per tutta la storia dell’Umanità, sono sempre state le fasce più deboli della popolazione. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, a Londra, per garantire le rendite e il lusso di poche centinaia di famiglie borghesi del West End, migliaia di famiglie di lavoratori morivano letteralmente di fame nella miseria. Lo descrivono in decine di osservatori e di analisti dell’epoca, da Frederich Engels a Jack London.
Per tornare all’allegoria di Bosch, quella del Novecento era ancora l’età dell’abbondanza. E anche la nostra, per altro. Ma quella che ci apprestiamo a vivere e che gente come Leonardo DiCaprio e molti altri, soprattutto scienziati, hanno l’ammirevole forza di continuare di cercare di evitare, è l’inizio dell’età della catastrofe. Quindi possiamo anche concedere, molto sinceramente, un plauso e un ringraziamento a Leonardo DiCaprio, per il coraggio, l’umiltà persino la coerenza che lo muove.
Ma purtroppo l’unica cosa che possiamo sperare è, molto egoisticamente, che a svegliarsi nell’incubo del terzo pannello di Hieronymus Bosch siano i figli dei nostri figli dei nostri figli. Il che ci permetterebbe di continuare a fare quello che non avremo mai la forza di smettere di fare: goderci il privilegio di non appartenere alla parte del mondo che sta pagando il conto. Almeno per un po’.