Elogio di Hillary Clinton, tradita dalle donne che non vogliono farsi guidare

Con la sconfitta arrivano le facili critiche ex-post alla candidata democratica. Ma davvero ha perso perché si è proposta come donna per le donne? Perché ha fatto leva su una femminilità al potere che era la brutta copia di un uomo? Lecito dubitarne

È il 1982 quando Hillary Diane Rodham diventa Hillary Clinton. Lei e Bill sono già sposati da sette anni e lei ha mantenuto il suo cognome. Ora, però, lui ha deciso di ritentare la corsa di governatore dell’Arkansas. E stavolta la vince. La vincono. Cominciano i Clinton. L’anno successivo, lo Stato incorona la sua first lady donna dell’anno e l’anno dopo ancora madre dell’anno. Dall’Arkansas, Hillary e Bill arrivano alla Casa Bianca nel 1993, nove anni più tardi. Lei diventa la prima moglie laureata e lavoratrice nella storia delle mogli dei Presidenti degli Stati Uniti. Firma quasi subito una riforma della Sanità Nazionale – “Hillarycare” la chiamano i suoi detrattori – che viene bocciata: è la prima delle numerose sconfitte della sua storia politica.

Sconfitte tutte drammaticamente umane, che si sono susseguite, intrecciate, rincorse fino all’ultima, la più clamorosa, da tre giorni sulla bocca di tutti e che non è semplicemente aver perso la corsa alla Casa Bianca, ma averne consegnato le chiavi a Donald Trump. L’America ha urlato il suo barbarico yawp sopra i tetti del mondo (Walt Whitman) ed ha votato la nemesi di Barack Obama: con Bernie Sanders, si dice oggi – ma un po’ si bisbigliava anche ieri – non sarebbe accaduto.

Quindi, è tutta colpa di Hillary, come vuole il paradigma del soft patriarcato borghese che non disdegna il femminismo («che si arrangino e si prendano ogni responsabilità: noi maschi ce ne laviamo le mani, e stiamo a vedere», scriveva due mesi fa Natalia Aspesi, a proposito dell’asfissiante parlare del potere alle donne che «veramente ce l’avrebbero già, e da secoli, se non fossero state costrette a far finta di niente per consentire agli uomini di confinarle nello spazio domestico, in cui però i padroni venivano spesso tiranneggiati e puniti»). Hillary troppo competente. Troppo fredda. Troppo involved. Troppo femminista. Troppo furba. Troppo meccanica. Troppo establishment. Troppo politica. Persino troppo maschio, ha scritto su La Stampa Massimo Gramellini, da Torino, Italia, Europa, cioè da uno dei tanti posti che non sono l’America e dai quali è possibile scegliere da quale filmografia desumere l’America reale. Fratelli Cohen o Woody Allen. Clint Eastwood o Peter Bodganovich. Stephen King o Steven Spielberg.

Le donne non l’hanno votata, smentendo tutti i pronostici, perché sono andate ben oltre l’idea secondo cui solo una loro simile può rappresentarle, difenderle, capirle. Sono uscite fuori dal recinto paternalistico che le vuole reginette di un merito degradato ad appartenenza, da che era, invece, conquista. Hanno riservato a Hillary quello che avrebbero riservato a un uomo: la valutazione

Hillary si è appellata al voto delle donne, ma si è vergognata di essere una donna e ha dato battaglia come un uomo, di cui ha mostrato l’aggressività ma non la cialtronaggine, di cui «noi maschi siamo obiettivamente più dotati»: questo è il tarlo individuato da Gramellini, speranzoso che questa “lezione” insegni alle donne a fare politica con la gonna e non con i pantaloni, «da femmine e non da donne travestite da uomini».

Ma un uomo avrebbe mai nascosto la polmonite? È un irreale cliché quello dei maschi che si preparano all’estrema unzione quando la loro temperatura corporea segna i 37 gradi? Un segretario di Stato maschio avrebbe mai commesso il madornale, ingenuo, materno errore di utilizzare la casella di posta elettronica personale per le comunicazioni istituzionali? Il marito della donna più potente del mondo avrebbe mai perdonato le sue scappatelle extraconiugali, dichiarando agli stessi giornali che ci speculavano sopra che «nessuno mi capisce più di lei, noi due abbiamo iniziato un discorso trent’anni fa e non lo abbiamo ancora terminato»? Un uomo avrebbe badato così tanto all’ostensione e ostentazione delle proprie competenze? Un uomo si sarebbe sforzato di non commuoversi mai per non risultare umorale, emotivo, isterico, lunatico, inaffidabile? Un uomo avrebbe mai chiesto di essere votato in quanto uomo?

Hillary è stata, probabilmente, fin troppo donna. Ha perso una battaglia politica, non di genere. Le donne non l’hanno votata, smentendo tutti i pronostici, perché sono andate ben oltre l’idea secondo cui solo una loro simile può rappresentarle, difenderle, capirle. Sono uscite fuori dal recinto paternalistico che le vuole reginette di un merito degradato ad appartenenza, da che era, invece, conquista. Hanno riservato a Hillary quello che avrebbero riservato a un uomo: la valutazione. «Si è persa l’occasione di rendere il mondo più paritario», ha scritto sull’Huffington Post Maria Cristina Pisani, presidente dei giovani socialisti italiani, senza minimamente dubitare che quando ci si sente in pari si riesce ad avere fiducia nel dissimile e a collaborare alla sinergia degli opposti.

«Inspiegabilmente antipatica al mondo intero», l’ha definita Natalia Aspesi. «Arrivata alla fama principalmente come moglie di», ha scritto Luigi Zingales sul Sole24Ore. Le calunnie, le imprecisioni, le frettolose etichette appiccicatele addosso e, soprattutto, la sua fine ingloriosa, ingiusta – eppure, se solo avessimo voluto scavare più a fondo nelle nostre coscienze, ampiamente prevedibile – fanno temere che persino la storia la strozzerà, scardinandola del tutto dalla verità del suo tempo. Un tempo di donne e uomini che non accettano di essere rappresentati, perché questo significherebbe ammettere di essere bisognosi di una guida. Hillary, invece, proprio a fare da guida si è candidata, tradendo la sicurezza delle proprie capacità, immediatamente scambiata per senso di superiorità, peraltro affine a un corpo da signora borghese dell’upper class, per niente fica, men che meno agevole e quindi del tutto stridente con la richiesta attuale di un mondo fatto non più di uomini ma soltanto di compagini di caporali. E sono soprattutto le donne che rifiutano di farsi guidare: hanno capito che l’enfasi che le vuole al potere nasconde una immane fregatura, come pensa Aspesi? Di certo, il loro yawp è, sarà, il più barbarico di tutti.

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