Sabato c’è un corteo a Roma, un corteo indetto dalle donne dei Centri Antoviolenza e di diverse associazioni, che in altre occasioni sarebbe stato adottato dalla politica con entusiasmo ma che invece, questa volta, è avvolto da una soprendente vaghezza di adesioni e solidarietà dai partiti. Il tema è la violenza, e non c’è una specifica piattaforma di rivendicazioni. L’itinerario sarà molto lungo, da Piazza Esedra (partenza alle 14) a Piazza San Giovanni e l’evidente timore è che la manifestazione, che si prevede molto partecipata, risulti in qualche modo un raduno “antigovernativo”, malgrado la cura con cui le organizzatrici hanno evitato polemiche dirette con Palazzo Chigi alla vigilia del referendum. Quante saranno? Cosa diranno gli slogan? Chi andrà? E soprattutto, quale sarà l’effetto politico della dolorosa spoon river di donne ammazzate che il corteo porterà con se’? Si riuscirà a cavalcarla, convincendo la più larga opinione pubblica che il governo ha già fatto molto, o comunque sta facendo? Oppure quell’elenco di storie tutte uguali – che c’entrino la benzina, le pistole, i coltelli o le botte a mani nude – aprirà un nuovo strappo nello storytelling dell’esecutivo “che cambia le cose”?
Il silenzio pubblico intorno alla manifestazione è frutto di questi dubbi ma soprattutto dell’indecifrabilità dell’evento, perché le donne sono da molto tempo un mondo dimenticato, inabissato, sparito dall’immaginario collettivo come soggetto al quale render conto. E nella memoria dei più avvertiti sono ben presenti precedenti in cui elementi di novità e rottura si sono presentati alla ribalta all’improvviso, scompaginando i piani, creando difficoltà non calcolate. Succederà anche questa volta? Boh. Anche la giovane sindaca di Roma, Virginia Raggi, non ha ben deciso che atteggiamento assumere e attende gli eventi, una cosa curiosa perché alla fine la “padrona di casa” è lei, e da donna, e da sindaca, dovrebbe pur avere una sua opinione sulla cosa. Così come dovrebbe averla la ministra delle Pari Opportunità Maria Elena Boschi, in apparente fase di attendismo nonostante sia l’interlocutore naturale delle organizzatrici.
Sia la Raggi, sia la Boschi sia tutte le altre vanno comunque capite. La questione della violenza sulle donne muove sentimenti e rabbie che alla politica e alla comunicazione sfuggono del tutto, come larga parte del quotidiano con cui si misura il Paese. Con la differenza che se i disoccupati, o il prezzo del latte, o l’andamento dei salari, possono essere misurati e statisticamente compresi, le emozioni e le rabbie legate al femminicidio no, non sono comprimibili nei numeri. Come ha scritto Michela Murgia le morte ammazzate da compagni o ex-compagni sono tra le 100 e le 130 l’anno, un numero apparentemente limitato rispetto ad altre classificazioni di perdita, dagli incidenti stradali alle morti sul lavoro. Ma mentre le vittime della strada o dei ponteggi difettosi sono riconosciute come problema collettivo, quelle no. Quelle sono cronaca nera. Dramma passionale e raptus nei titoli dei giornali, questione privata nella percezione delle istituzioni e dei media. Al punto che persino gli spot costruiti sui temi delle donne sono così lontani dalla loro visione e sensibilità da risultare irritanti: ieri una vera e propria insurrezione si è scatenata contro la Rai per il video celebrativo della Giornata contro la violenza, che mette in bocca a una bambina riccioluta la frase «da grande finirò in ospedale perché mio marito mi picchia». Le botte come predestinazione, le bambine usate per evocare future vittime. Un orrore che qualunque donna “normale” avrebbe bocciato ma che è andato in onda, e ora è subissato dalle richieste di ritiro.
Le morte ammazzate da compagni o ex-compagni sono tra le 100 e le 130 l’anno. Ma mentre le vittime della strada o dei ponteggi difettosi sono riconosciute come problema collettivo, quelle no. Quelle sono cronaca nera. Dramma passionale e raptus nei titoli dei giornali, questione privata nella percezione della politica
Le emozioni e le rabbie delle donne sono moltiplicate dalla noncuranza e dalla superficialità con cui si affronta il tema della violenza, dal tono rotinier di ogni intervento pubblico sul tema, perchè tutte sappiamo che quella spoon river, la spoon river delle donne ammazzate, tocca la vita anche di chi non è morta, di chi se l’è cavata o cerca di cavarsela in un mondo costruito a immagine e somiglianza degli uomini. Non c’è ceto sociale, o condizione personale, o mestiere, nazionalità, età, esperienza che metta al riparo. E non è ragionamento politico ma moto dell’anima quello che sale guardando la galleria del quotidiano stillicidio registrato dai giornali nell’assenza di qualunque condanna sociale. Solo a novembre, solo nel giorno 21 novembre 2016, come elenca il sito Inquantodonna.it: Uccisa dal marito con 23 coltellate, l’uomo dopo l’omicidio è andato al bar (Trapani); Vigile picchia ex moglie ed ex compagna (Palermo); Botte e insulti per un maglione fuori posto, arrestato (Torino); Violenze ripetute sulla moglie, in manette 44enne (Messina); Padre orco a giudizio, anni di botte alle figlie (La Spezia); Botte e minacce da padre e marito: arrestati (Ascoli); Papà ubriaco rapisce la figlia di 7 anni (Roma); Picchiava la moglie da 15 anni, arrestato (Milano); Picchia in strada la compagna “con crudeltà” (Benevento); “Il tuo nome è serva”: storia di Leila, il marito processato per riduzione in schiavitù (Alessandria); “Fidati, ti porto a casa io”, poi inizia l’incubo (Roma); “Botte e obbligata a far sesso, ha provato a uccidermi” (Perugia); Sesso in cambio di servizi sociali: oltre 6 anni al sindaco di Portoscuso (Sardegna); Donne vittima di violenza: in un anno 340 casi al pronto soccorso (Treviso).
Non trascriviamo neanche tutto, ma ci sono altri dieci titoli così. Solo in un giorno, un giorno preso a caso da una infinita rassegna stampa. E diventa più facile capire perché questo corteo di sabato 26 sia un problema inedito per la politica e i partiti anche se parla di una cosa in qualche modo antica. Ci sono di mezzo sentimenti non misurabili. Rabbie che potrebbero rivelarsi più larghe e diffuse del previsto. Un “basta” collettivo dove meno te lo aspetti, perché tutti lo immaginavano collegato ad altro – gli impoveriti, i disoccupati, quelli suggestionati dai famosi populismi – e invece, vai a vedere, magari arriva da qui, dal mondo che si pensava addormentato delle donne. Ecco, è il pensiero collettivo, ci manca solo che si sveglino le donne.