Macchine che si guidano da sole, macchine volanti, droni che ti portano la spesa a casa passando dalla finestra, realtà virtuale talmente perfetta da essere confusa con la realtà, vacanze di Natale su Marte. Un elenco di oggetti che è l’esito immaginario della fantasia meccanica sfrenata e ottocentesca di un Jules Verne e, contemporaneamente, l’esito di dello storytelling tecnologico che nell’ultimo decennio viene portato avanti da un pugno di imprenditori, tutti rigorosamente uomini, bianchi, occidentali e, ovviamente, molto ricchi.
I loro nomi sono Elon Musk, Mark Zuckerberg, Travis Kalanick, Jeff Bezos, Paul Allen, Richard Branson, Peter Thiel, Jack Dorsey e al di là dei progetti che ognuno di loro porta avanti, spesso diversi, non di rado in competizione, hanno una cosa in comune: quello che cercano di vendere non è un prodotto, ma una narrazione del futuro ben al di là del realismo. E se per milioni di persone è una affascinante sfida lanciata all’avvenire, per qualcuno è una scommessa azzardata e molto rischiosa.
Uno di questi si chiama Sam Lessin e non è affatto un luddista, né un anziano nostalgico che nutre il proprio rancore verso la gioventù e il progresso bascolando su una sedia a dondolo nel suo patio illuminando le sue notti col fuoco ballerino di una lampada a petrolio. È esattamente il contrario. Lessin ha meno di quarant’anni, scrive di tecnologia per il sito americano The Information e ha un passato di fondatore di startup — settore in cui ancora investe i suoi soldi attraverso il fondo Slow Ventures di cui è partner — e last but assolutamente not least per niente, ha lavorato per 4 anni a Facebook. È stato proprio lì, negli uffici di Facebook e nel ruolo di vice president of product management, che Lessin ha imparato che un buon product manager della nostra epoca non ha bisogno di inventare nulla, basta che si ispiri alla fantascienza.
L’eredità di Jules Verne è nelle mani di un gruppo di imprenditori che al di là dei progetti che ognuno di loro porta avanti, spesso diversi, non di rado in competizione, hanno una cosa in comune: quello che cercano di vendere non è un prodotto, ma una narrazione del futuro ben al di là del realismo
Lessin, a differenza dei technottimisti che critica, può ambire alla definizione di tech-realista, perché è uno che ha tutte le carte in regola per avere una posizione critica: conosce il settore di cui parla e non ha pregiudizi ideologici contro la tecnologia e il progresso. Proprio in uno dei suoi ultimi articoli pubblicati su The Information, intitolato Why today’s tech narrative is way ahead of reality, in italiano suonerebbe circa “Perché la narrazione tecnologica di oggi è ben oltre la realtà”, Lessin mette in guardia i lettori sulla pericolosità di questa narrazione.
Il realismo di Lessin è mettere sul tavolo le due ipotesi, quella ottimistica e quella pessimistica, che in inglese si appoggiano su una affascinante metafora animale: il bull case e il bear case. Il toro da una parte, l’orso dall’altra. Il primo incarna la prospettiva ottimista, il secondo quella pessimista.Scrive Lessin: «L’argomento dei tori — ovvero degli ottimisti — è che se alcune fantasie delle fantascienza si sono avverate negli ultimi decenni, allora perché non pensare che tutte le altre seguiranno la stessa strada?».
«C’è, però», continua Lessin, «una visione più cinica di vedere questa tendenza sempre più evidente da parte delle big company di ispirarsi alla fantascienza». Questa visione è semplice: party is over, la festa sta per finire, e le big company sono costrette a trovare nuove storie sempre più audaci per far durare il party il più a lungo possibile.
Il party a cui allude Lessin è quello delle crescite esponenziali dei fatturati e dei moltiplicatori, quello nato sulla nuova economia digitale di internet e del mobile. E questo party sta per finire, dice Lessin, perché «la crescita rallenterà, i moltiplicatori anche e non ci saranno più nuove grandi piattaforme nei prossimi anni». Tra le righe c’è sempre il messaggio più importante: la distanza tra le promesse e la realtà dell’esistente non sta diminuendo, sta aumentando. E quando il tuo lavoro è vendere promesse, questo è un problema. Quelli che quella scarsa dozzina di imprenditori citati all’inizio sta staccando sono assegni scoperti. Macchine senza pilota, droni volanti, occhiali per la virtualità, vacanze su Marte. Niente di tutto questo rischia di essere realizzabile prima di un ventennio. E, si chiede Lessin: «Se questi progetti prenderanno non anni ma decenni per essere realizzati, gli investitori, i consumatori e anche gli stessi lavoratori avranno la pazienza di aspettare tanto?». Restando nella metafora bancaria, accettereste mai un assegno che potrete ritirare, forse, tra trent’anni?
Si potrebbe obiettare che Lessing è la parte della medaglia critica, è l’orso, e che bisogna osservare entrambe le facce delle monete prima di scegliere su quale puntare. Andrew Penn è un amministratore delegato di una azienda australiana che si occupa di device mobile e, al contrario di Sam Lessin, si dichiara fieramente un Tech Optimist. Nel suo profilo da influencer su LinkedIn, Penn ha scritto recentemente un articolo che si intitola Why I’m a technology optimist – and you should be too. Perché sono un technottimista, e perché dovreste esserlo anche voi.
«Algoritmi avanzati significano computer che possono vedere e sentire meglio degli uomini e possono imparare se noi forniamo loro una gran quantità di dati. Un esempio? Un computer può diagnosticare e prescrivere delle cure per una gran quantità di malattia inclusi i tumori con velocità e precisione»
Penn è uno di quelli che Leopardi avrebbe odiato. Uno di quelli che credono ciecamente alle magnifiche sorti e progressive. Eppure quel che scrive nel suo articolo non è in contraddizione con la tesi di Lessin. Parla di telecomunicazioni, di cloud e di intelligenza artificiale: «La combinazione di big data, di device connessi, di tecnologia cloud, di intelligenza computazione», scrive, «ci sta portando verso il mondo dell’intelligenza artificiale. Questo è il settore dove l’innovazione sta accelerando di più»
Penn è il toro, sì, ma non parla di macchine volanti, né di viaggi su Marte per turisti, né di droni che ti bussano alla finestra, e neppure, in realtà, di vacanze nella nostra memoria attraverso video a 360 gradi proiettati da occhialoni per la realtà virtuale. Penn non vende fantascienza, non fa investimenti sulla propria immaginazione. Il suo ottimismo, seppur cieco, è realista.
«Algoritmi avanzati significano computer che possono vedere e sentire meglio degli uomini e possono imparare se noi forniamo loro una gran quantità di dati. Un esempio? Un computer può diagnosticare e prescrivere delle cure per una gran quantità di malattia inclusi i tumori con velocità e precisione».
Sanità per tutti, per esempio, non turismo spaziale per pochi. Chi dice che criticare il sogno turistico di Musk equivalga in idiozia a chiedersi perché mai siamo andati sulla Luna se la vecchietta sotto casa non riesce a vivere con la pensione o è in mala fede o si sta facendo la domanda sbagliata. Non accettare assegni scoperti da riscuotere tra trent’anni non significa voler tornare all’età della pietra. Significa preferire incassarli subito, quegli assegni, ovvero, fuor di metafora, guardare al presente e a quello che esiste. Non dobbiamo perdere di vista l’utopia, ma non dobbiamo nemmeno smettere di guardare dove mettiamo i piedi e riconoscere il limite tra il sogno e la truffa. Perché il sole all’orizzonte resterà sempre lì, anche se davanti a noi si dovesse aprire l’abisso.