Il referendum? Si gioca su antieuropeismo e campanilismo

La campagna per il 4 dicembre ha riportato in scena, lontano dai talk-show, vecchi protagonisti: l'appartenenza territoriale e il ruolo dell'elettore anonimo che col suo voto vuole fare la differenza. Le ideologie contano poco sul destino della riforma.

Ci sono due canali comunicativi. In alto, visibilissimo, quello dei duelli virtuali. Matteo Renzi che litiga (a parole) con Beppe Grillo. Ciascuno dei due guarda la sua telecamera, attacca e risponde da solo, i video fatti in casa finiscono poi a giornali e telegiornali, alimentando il rumore di fondo.
In basso, la campagna vera per il referendum costituzionale: la riscoperta del locale, dell’individuo che pensa di poter contare anche da solo, senza più padrini o ideologie, che se ne frega della polemica di giornata ma è pronto a ingaggiarne una sua. È su quest’ultimo canale che la politica italiana ha intrecciato la rivoluzione politica globale, in vista del referendum del 4 dicembre. Stiamo tornando alla patria. E giù alle piccole patrie. O giù giù ai campanili, per rimanere nell’immaginario italiano. Ogni quartiere può fare (potenzialmente) la differenza.

Per vincere, i principali sostenitori del Sì e del No non stanno puntando tanto sul contenuto della riforma costituzionale. Invece si stanno sempre più concentrando nel suscitare l’orgoglio delle due tifoserie, un orgoglio legato alla terra.
Renzi, nel doppio ruolo di premier e di segretario del Pd, è quello che si sta consumando maggiormente. Dal voto del 4 dicembre dipende del resto la traiettoria della sua parabola politica. La sua campagna per il Sì alla riforma che ha voluto personalmente si gioca sul futuro (il suo) contro il passato (tutti gli altri).
Ma anche su un tema che in questi vent’anni non è stato del centrosinistra, se non raramente: la critica alle politiche dell’Unione Europea. Renzi ha capito da tempo che i vincoli tecnocratici lasciano pochi margini di manovra alla politica nazionale e, soprattutto, fanno arrabbiare gli italiani (esattamente come gli inglesi che hanno votato per la Brexit), trovando in Bruxelles il capro espiatorio di ogni male di quest’epoca. Renzi ripete che bisogna essere orgogliosi di essere italiani e di volersi comportare di conseguenza. Sta quindi usando in chiave elettorale questo tema del ritrovato orgoglio nazionale, anche se difende il progetto europeista di fondo. Da Nord a Sud Renzi ripete il messaggio quando visita aziende, università, militanti del suo partito. Non solo nelle metropoli ma anche fuori, nella provincia denuclearizzata.
Il premier-segretario non si ferma da più di un mese e invita i suoi sostenitori persino allo stalking: fare propaganda per il Sì con ogni mezzo, anche attaccandosi al telefono per cercare di convincere il vicino di casa, l’amico di scuola, il parente, il collega di lavoro.

Antieuropeismo, e ricerca dell’elettore piazza per piazza. Sia Renzi che Grillo puntano sul locale per conquistare consensi in vista del referendum

La campagna per il No ha lo stesso ritmo e lo stesso nemico europeo, sebbene non un solo mattatore. Per il Movimento 5 Stelle la sfida è sua volta fra passato e futuro. Ma a parti ovviamente inverse, rispetto a Renzi. Per suscitare il senso di appartenenza dei propri elettori, i grillini usano l’immagine che ha fatto la fortuna di personaggi come Donald Trump: da una parte il popolo che non si fida più dei politici, dall’altra tutto l’establishment incarnato da Renzi e dall’ex presidente Giorgio Napolitano, oltreché appunto dei burocrati di Bruxelles. Da una parte l’Italia che vuole più democrazia, dall’altra una riforma accusata di diminuire la democrazia. L’Italia migliore e l’Italia peggiore, ma appunto una nuova Italia che diventi orgogliosa di se stessa. I 5 Stelle, e nel rush finale ci sarà pure Beppe Grillo, hanno organizzato una campagna capillare sulle principali linee di trasporto usate dai pendolari.

Le piccole comunità locali sono diventate, dunque, una potenziale miniera d’oro elettorale. Il ritorno dalla rete alla terra. Una realtà che è meno inedita per la Lega Nord, nonostante il movimento fondato da Umberto Bossi sia nella sua fase più nazionalista. Matteo Salvini, che fa campagna per il No, sta usando entrambe le leve: quella dell’orgoglio nazionale (sempre contro l’Europa, come ha iniziato a fare Renzi) ma anche quella dell’orgoglio delle piccole patrie. Ogni regione, ogni città, ogni paese sono una storia a sé che si unisce per riportare a casa la sovranità. Salvini sta girando come una trottola. E continua a preferire un luogo: i mercati, quelli degli ambulanti. Il segretario della Lega va di persona a distribuire volantini, la spilletta del No appuntata sulla giacca.

Ecco perché, al di là dei grandi dibattiti virtuali al ritmo di scrofe ferite che popolano i talk-show e i social network, al di là di un diffuso disinteresse per il merito della riforma costituzionale, la campagna per il referendum del 4 dicembre sta segnando il ritorno in scena di alcuni protagonisti, gli stessi annunciati dalle elezioni britanniche e americane: il senso di appartenenza nazionale, la riscoperta del locale e il corteggiamento personale dell’elettore anonimo che, con la sua umoralità e sfiducia, sta facendo impazzire tutti gli analisti. Novità che chiunque avrà vinto il referendum dovrà governare.

@ilbrontolo

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