«Quando lavoravo al cantiere mi sono svegliato in piena notte, nella camera in cui dormivo da ragazzo. Ho pensato per un attimo che fossi ancora uno studente, che tutta la mia vita successiva non fosse altro che un sogno. Ero inzuppato di sudore e ho vissuto un momento di angoscia». Immaginatevelo per un attimo così Davide Padoa, l’architetto che ha plasmato Il Centro di Arese, premiato al Mapic di Cannes (la fiera internazionale dei centri commerciali) come lo shopping center migliore al mondo, tra quelli inaugurati nel 2016. Un premio di quelli che fanno rumore a livello globale, che consacrano una carriera.
Padoa, 45 anni, è un italiano a capo di Design International, uno dei più importanti studi di progettazione globali di mall commerciali. C’è arrivato dopo una carriera partita con una tesi a Los Angeles, dove ha seguito i corsi di Frank Gehry, e proseguita in Indonesia. Poi il trasferimento a Londra e vari salti da gigante, fino ad arrivare giovanissimo alla guida di Design International, dove firma una pietra miliare nel settore come Morocco Mall di Casablanca: 350 negozi e un acquario da 13 metri di diametro e dieci di altezza. Gli vale il secondo dei premi del Mapic, dopo quello arrivato per l’Odysseum Mall di Montpellier. Tra i suoi fiori all’occhiello c’è una collaborazione con Renzo Piano, per una parte del progetto dell’ex area Falck di Sesto San Giovanni. Di Piano dice: «ha una mano da sogno, come quella di Picasso». Ma aggiunge: un progettista di centri commerciali deve essere umile, il suo progetto non può ignorare le esigenze dei negozianti.
Cosa c’entra questo con il risveglio nella propria stanza da ragazzo? C’entra, perché questo fuoriclasse dell’architettura è cresciuto ad Arese, uno dei comuni che senza soluzione di continuità corrono lungo la statale Varesina, nella parte nord della Grande Milano. «Da ragazzino – ha raccontato a Linkiesta il giorno dell’inaugurazione del centro – andavo con gli amici nel parcheggio dell’Alfa Romeo a guardare i prototipi delle auto. Scommettevamo su quale sarebbe andata in produzione». Il paese d’origine rimane sullo sfondo per molti anni, fino a quando non arriva la chiamata di Marco Brunelli. A 89 anni è stato da sempre il gemello diverso di Bernardo Caprotti, con cui (assieme a Guido Caprotti) fondò nel 1957 Esselunga. Poi la carriera di imprenditore con i supermercati GS (ora Carrefour) e le grandi superfici di Finiper (insegna Iper). La chiamata arriva proprio per un progetto di un centro commerciale Finiper, che sembra maledetto. L’area dell’Alfa Romeo, su cui dovrebbe sorgere, è stata acquistata da molti anni, la prima richiesta di permesso di costruire è del 2000. Dopo anni di tira e molla si arriva al 2008, con la prima progettazione del centro, mentre il permesso arriverà solo nel 2013. Il progetto inizialmente è affidato ad Arnaldo Zappa, storico architetto di Finiper. Quando viene presentato ai retailer, però, arrivano le critiche: è troppo simile a un parco commerciale, aree che mettono assieme dei “grandi scatoloni” di medie superficie e che per questa semplicità offrono affitti e costi di gestione bassi. Il progetto si ferma: per stare in piedi non solo gli affitti devono essere superiori, ma un centro di ultima generazione si deve distinguere fortemente dagli altri. Altrimenti, con la saturazione avvenuta nel mercato, è un suicidio annunciato. Vengono chiamati due grandi nomi dell’architettura. Uno è un designer e architetto star, sebbene dai modi miti: Michele De Lucchi, due volte Compasso d’Oro, l’uomo del Padiglione Zero di Expo, dell’Unicredit Pavillon e di mille lampade e sedie, chiamato a curarsi degli esterni. Un altro, Padoa, è conosciuto tra gli addetti ai lavori dei centri commerciali e deve ripensare tutti gli interni, compresi gli spazi dei negozi.
A 45 anni Padoa ha passato la vita tra gli Stati Uniti, l’Indonesia e Londra, dove guida lo studio di architettura Design International. Nell’area dell’Alfa Romeo di Arese, dove oggi c’è il centro commerciale premiato, racconta, «da ragazzino andavo con gli amici a guardare i prototipi delle auto. Scommettevamo su quale sarebbe andata in produzione»
Ecco quindi il ritorno ad Arese. «Noi e De Lucchi siamo subentrati in parallelo, dal giugno 2014. È stato come far virare una petroliera», racconta l’architetto. Potrebbe alloggiare ovunque ma sceglie di tornare a vivere nella casa dei genitori, per la durata del cantiere, iniziato nei primi mesi del 2014 e concluso nell’aprile del 2016. «Mio padre era contrario al centro commerciale. Aveva paura di essere criticato dai suoi amici», racconta. La motivazione a quel punto diventa forte: c’è da convincere non solo suo padre, ma un territorio diventato negli anni scettico, visto il proliferare di centri commerciali nelle vicinanze, molti dei quali già invecchiati male, e visto che il traffico si preannuncia apocalittico. È a metà di questo guado che si arriva al risveglio notturno nella casa dei genitori. «Quando mi sono svegliato ho avuto un attimo di sospensione. “E se tutto quello che ho fatto fosse stato solo un sogno?”. Poi mi sono guardato allo specchio e solo allora mi sono reso conto di quanto negli anni avessi realizzato il mio sogno di felicità».
Insomma, dopo 180 mesi di pre-cantiere e 26 di cantiere, il centro viene inaugurato, con le code in Varesina e quelle nel fast food di pollo fritto Kfc, il secondo ad aprire in Italia e il primo al Nord. Linkiesta ha fatto un tour, lo scorso aprile, con Padoa e altri cronisti. All’ingresso c’è subito una citazione, una scala elicoidale molto piatta ispirata al museo Guggenheim di New York, firmato da Frank Lloyd Wright. Lungo tutta la struttura ci sono “piazze”, ciascuna con una sua particolarità: la più peculiare è stata chiamata dai negozianti “piazza della chiesa”, perché un ascensore ricorda un campanile. Le collega una passeggiata «con molti punti focali», uno «spartito» composto dalla successione di ideali palazzi, alberi, sedute, scale. «Dà l’idea di paese, è studiato per invogliare alla passeggiata, c’è una vivacità che lo distingue dagli altri centri commerciali», raccontava l’architetto. Il visitatore nota le auto Alfa Romeo messe in esposizione, i marchi nuovi come Primark, la luce naturale che arriva dai finestroni. Tra le particolarità ci sono gli alberi sia all’esterno sia piantati in mezzo alla “passeggiata” («è stato lasciato ampio spazio alle radici, gli alberi cresceranno moltissimo»), un’area giochi per bambini in legno con scivoli altissimi degni dei parchi dei Paesi nordici (« è una struttura per famiglie, il Centro invecchierà con le persone. Si crea un effetto di lealtà e fiducia che si rafforzerà negli anni») e così via.
«Mio padre era contrario al centro commerciale. Aveva paura di essere criticato dai suoi amici»
Padoa aggiunge alcuni dettagli che a un profano scapperebbero: la struttura ha ottenuto il certificato Leed Gold, il massimo livello di compatibilità ambientale, assegnato a limitate strutture nel mondo. Inoltre il 40% dei 200 negozi ospitati (oltre a 25 ristoranti) ha aperto con un nuovo formato, sperimentato ad Arese. Quando si passeggia l’architetto non lesina i paragoni sono con l’arte. «I negozi hanno sposato la filosofia del centro e sono diventati tanti strumenti di un’orchestra», dice. «Io ho creato lo storyboard, i negozianti non si limitano a essere affittuari ma diventano attori diretti da un regista. Sono stati colpiti dal minimalismo del legno e hanno deciso di usare il centro per sperimentare nuovi formati e materiali». Altri hanno interpretato il concetto di “porosità” tra esterno e interno, altro punto chiave. Tra chi ha deciso di sperimentare c’è lo stesso ipermercato Iper, che ha abbondanza di servizi premium con personale dedicato, esposizioni barocche, selezioni di carni ricercate, angoli regionali, espositori bassi da mercato (o da Eataly, che ha fatto scuola). Bello è bello, per capire se i costi ingenti di queste sperimentazioni (che poco fanno rima con redditività) bisogna aspettare che si chiuda almeno il primo anno di attività. Significativo però è che Il Centro sia stato premiato anche per il successo commerciale, oltre che per “l’approccio sostenibile dei materiali, per la semplicitá di fruizione, per l’ultilizzo della luce naturale e dei fuochi visivi”. Nel ricevere il premio Padoa ha commentato: «Personalmente, la gioia più grande, da cittadino di Arese, è stata quella di aver potuto lasciare un segno tangibile nella mia città natale, anche grazie all’intraprendenza di un grande imprenditore italiano».
Per festeggiare senza riserve bisogna che si faccia luce sull’unica vera ombra che grava su questa struttura: l’inchiesta della procura Distrettuale di Reggio Calabria che a ottobre ha chiesto e ottenuto un provvedimento di sequestro beni per oltre 15 milioni di euro, tutti riconducibili agli uomini dei clan di ’ndrangheta Aquino-Coluccio e Piromalli-Bellocco. Sotto sequestro sono finite anche alcune società che hanno vinto appalti e subappalti per il maxi centro commerciale di Arese. Una storia di quasi ordinaria infiltrazione mafiosa in cui vanno ancora accertate le responsabilità.