Immaginatevi una nostra qualsiasi città. Magari, prendo la scorciatoia della consuetudine, immaginatevi Milano. Ecco. Immaginatevi una delle sue strade più trafficate, che so?, corso Buenos Aires, o una piazza molto frequentata, tipo piazza Duomo, e poi immaginatevi uno di quei giganteschi cartelloni pubblicitari che occupano l’intera facciata di un palazzo, di quelle che si vedono a centinaia di metri di distanza. Bene, immaginatevi questo posto e immaginatevi questo gigantesco cartellone e immaginatevi che su quell’enorme cartellone ci sia una altrettanto gigantesca vagina. Sì, una gigantesca vagina stilizzata, con tanto di croce in basso, al posto dell’ano. Suppongo che a questo punto la vostra immaginazione abbia incrociato la vostra perplessità, se non il vostro imbarazzo o la vostra curiosità.
Il fatto è che in buona parte delle capitali europee, e anche in svariate città americane, la scena che vi ho appena descritta è visibile, senza per altro scatenare chissà quale pruderie o sgomento. C’è questa gigantesca figa, chiamiamo le cose col loro nome naturale, che campeggia sulle facciate dei palazzi, e sta lì per far sapere che è uscito in questi giorni il secondo album di un’artista che, con la figa, ha più che qualcosa a che fare. Si tratta di una cantante pop svedese, anzi, della popstar svedese Tove Lo (da pronunciare Tuve Lu), una che ha venduto qualche milione di copie del suo primo album Queen of the Clouds, trascinato dalle hit Habits e Talking Body, e che ora si appresta a conquistare il resto del mondo col nuovo Lady Wood.
C’è questa gigantesca figa, chiamiamo le cose col loro nome naturale, che campeggia sulle facciate dei palazzi. Si tratta di una cantante pop svedese, anzi, della popstar svedese Tove Lo
Un album, tanto per intenderci, che prende il titolo dall’omonimo brano , il cui senso è, parola più parola meno, “bagnarsi”, certo non alludendo a una gara di gavettoni. La copertina con una mano che scivola dentro gli shorts della stessa Tove Lo (la mano è la sua), dice tutto quel che c’è da dire. Del resto il primo capitolo della saga Tove Lo era diviso in tre capitoli, “The sex”, “The love” e “The pain”, nei quali la nostra ci raccontava di una storia d’amore e della sua fine, e non a caso si partiva dal sesso, raccontato con la tipica laicità svedese senza falsi pudori o reticenze. Per gli scandinavi, è noto, il sesso è parte della vita, al pari di tanti altri aspetti più o meno pubblici, quindi completamente privo di ogni allure morbosa o proibita. Se vi è capitato di andare in una qualsiasi spiaggia vi sarà successo di vedere la gente che si cambia all’aria aperta, così come abitualmente succede nelle spa. Senza malizia o esibizionismi, perché un corpo è un corpo, questo ben prima di campagne come Freethenipple. Proprio per questo la pornografia, che in effetti per noi italiani ha spesso fatto riferimento ai paesi nordici, come immaginario, ha in realtà ben poco seguito da queste parti, e non esistono fenomeni come quelli dei sex tape legati al mondo dello spettacolo o anche le riviste maschili alla GQ. A nessuno interessa questo aspetto, il sesso è parte della vita e a nessuno verrebbe da giocarci su troppo. Tove Lo parla di esperienze legate ai suoi rapporti amorosi, quindi il sesso ne è parte, esplicitamente ma con naturalezza. Punto.
Nessuno userebbe il sesso per vendere qualcosa, al punto che qui non ci sono Veline o roba simile e che la campagna di Calzedonia che mostra una donna nuda, di profilo, ha suscitato indignazione, perché quello è un corpo oggettificato, ma nessuno dice niente su un logo che richiama a una figa, perché la figa è parte dell’immaginario di quella artista.
Che la faccenda non sia così ovunque deve essere ben chiaro a Tove Lo, infatti quando esce dal perimetro della Scandinavia, di colpo questa ragazza di 28 anni dal viso di ragazzina si trasforma.
Eccola esibire i seni nudi durante i concerti, come a dire: ma vi sembrano diverse da quelle che avete voi o che hanno le vostre fidanzate? Sono tette, Santo Dio. Dire che Tove Lo non abbia capito bene come gira il vento, e non stia simpaticamente sfruttando un diverso atteggiamento da parte di europei e americani sarebbe dire una sciocchezza, perché, logo a parte, tutto quel che Tove Lo sta facendo è fortemente sessualizzato, dai testi, che anche nel nuovo album, diviso in due capitoli “Fairy Dust”, più sfrenato, e “Fire fade”, più tenebroso, al modo in cui appoggia la voce sulle basi splendidamente electropop. A partire dal singolo di lancio Cool girl e dal video di circa mezz’ora che accompagna il lancio dell’album, video che porta lo stesso titolo del primo capitolo, Fairy Dust. Uno sente le sue canzoni, legge questi testi così esplicitamente diretti, e rivaluta un genere, l’electropop, che all’estero ha tutt’altra ragione di esistere che da noi, Tove Lo e Halsey lo dimostrano perfettamente.Ma il problema è proprio tutto in quel “da noi”.
Perché a sentire le canzoni di questa ragazza di ventotto anni dal viso da ragazzina, a vedere il suo logo, le sue tette esibite con non chalance, viene da chiederci: quand’è che da noi è partita questa inversione di marcia?
Quando, cioè, essere una bella ragazza, esibire la propria sensualità, giocare con la propria sensualità è diventato un problema in ambito musicale?
Perché, questo è un dato di fatto assodato, in Italia da anni le cantanti sono asessualizzate. Anzi, visto che un tempo la faccenda era diversa, sono state desessualizzate. O si sono desessualizzate, dipende da quanto le donne dello show business italiano abbiano contribuito a questo nuovo corso.
In Italia non c’è una cantante una che giochi col proprio corpo. Non dico fare di una figa un logo, sarebbe chiedere troppo, ma neanche mostri mezza tetta, o faccia riferimento al fatto che le ha, le tette e la figa. Di più, quasi nella totalità dei casi la femminilità di cantanti e cantautrici è tenuta sottotraccia, nascosta, manco fosse un’onta, una cosa di cui vergognarsi.
Sarebbe mai possibile avere una Tove Lo in casa nostra?
Sarebbe possibile, se vogliamo spostarci a lato, magari incontrando chi ha fatto del suo non essere bella un’icona, una Lady Gaga? Una che, arrivata a trent’anni, può permettersi di cantare in shorts e t-shirt risultando così originale? Sarebbe possibile una Sia, lì con la parrucca biondo platino a coprire parte del volto, il proprio aspetto delegato a una mini-Sia, Maddie Ziegler, la ballerina che l’ha accompagnata a lungo? E dire che un tempo avevamo Loredana Bertè che cantava della guerra in un bikini davvero striminzito nel video di Acqua, e che finiva, ancora prima, nuda madre nella copertina di Streaking, suo album d’esordio. Avevamo Patty Pravo che giocava sulla sua androginia finendo anche sulle pagine de Le Ore. Avevamo Anna Oxa il cui tanga esibito sul palco dell’Ariston fuori dai pantaloni ha letteralmente fatto la storia della televisione. Un tempo, e anche su questo potremmo aprire dibattito, non essere bella o non mostrarsi tale sembrava quasi una penalizzazione. Ci sono fior di carriere che sono franate per questo.
Essere bella, esibire il proprio aspetto fisico, giocare con la sensualità è diventato out. Figuriamoci con la sessualità.
Quindi, volendo, il fatto che l’estetica sia stata messa da parte potrebbe essere letta come un passo avanti. Non fosse che siamo passati direttamente all’opposto, essere bella, esibire il proprio aspetto fisico, giocare con la sensualità è diventato out. Figuriamoci con la sessualità.
C’è una intera generazione di cantanti che si sono ingoffite, inseguendo una sorta di anonimato che un po’ cozza con l’idea di popstar.
Ci sono, ovviamente, eccezioni, ma sono tenute un po’ a margine, e vengono in tutti i casi raccontate come eccezioni, che si tratti di Dolcenera o di Romina Falconi, e per quel che riguarda il passato prossimo Paola e Chiara e Syria, nella versione Ayris.
Ma cosa succederebbe, oggi, se una cantante mostrasse una tetta in una copertina, come Paola Turci in Ragazze, o il culo in un booklet, come Angela Baraldi in Viva?
Ma soprattutto, perché nessuna sembra libera, oggi come ieri, di fare un po’ quel che gli pare, fregandosene dei cliché?
È come se i sentimenti, sbandierati e sviscerati in ogni loro aspetto nelle canzoni, avessero praticato un’invasione di campo nell’immaginario delle nostre cantanti, non lasciando libero nessuno spazio per altro. Di più, è come se in questa invasione di sentimenti e sentimentalismi, il corpo delle donne fosse automaticamente uscito di scena, impresentabile e irraccontabile.
Se davvero è una reazione all’uso del femminile fatto durante l’epoca berlusconiana, quello che sta vivendo ora, beh, forse sarebbe il caso di scrollarsi di dosso questa zavorra e ricominciare a raccontare il femminile a 360°.
Cara popstar italiana del futuro, chiunque tu sia, preparati a cantare la figa, a mostrare le tette, o anche solo, semplicemente, a dirci che sei una donna, quindi con figa e tette, non solo un manichino che canta.