Un altro figlio ripudiato da Silvio Berlusconi ha deciso di prendersi la rivincita. Per rispondere al ceffone rifilatogli in diretta radiofonica (non può fare il leader chi litiga con la Lega, il Cavaliere dixit), Stefano Parisi ha trasformato il format della sua campagna di “rigenerazione” del centrodestra in un nuovo movimento politico che si curi poco dei vecchi colonnelli ma arruoli i soldati demotivati. Si chiama Energie per l’Italia. Arrivato il suo turno, questa volta l’ex manager ha un’ambizione più grande di chi lo ha sfortunatamente preceduto nell’epopea della successione mancata a Berlusconi, il quale adesso si trova nel punto più basso della sua parabola politica: Parisi non vuole conquistare la guida di Forza Italia, ma contendersi con Matteo Salvini le spoglie di quel che resta dell’eredità politica di un Cavaliere considerato ormai archiviato. Tuttavia l’accelerazione con cui si è presentato davanti ai giornalisti, in un lussuoso albergo dietro il Duomo di Milano, per una conferenza stampa fiume di un’ora e mezza nasconde il grosso rischio, per Parisi, di finire presto nell’archivio dei leader immaginari. Soprattutto se il voto del referendum del 4 dicembre, ormai vicinissimo, rimescolerà tutte le carte.
«Non mi sento politicamente tradito da Berlusconi, perché non eravamo fidanzati. E non sono stato licenziato, perché non sono mai stato assunto». È il Parisi-pensiero. «Con Berlusconi ho avuto un rapporto libero, gli ho proposto un progetto di rinnovamento che all’inizio gli era piaciuto. Sono convinto che così com’è Forza Italia non vada avanti. Il nostro non è l’ennesimo partitino, non siamo una sommatoria delle diaspore, non è un’operazione di palazzo. È un movimento liberal-popolare che ha un’ambizione più grande: rigenerare la politica e dire la verità alle persone, non raccontare la bugia che con una ruspa si risolvono i problemi». Insomma, da riorganizzatore delle fortune politiche berlusconiane, Parisi si è trovato in un ruolo che forse non si aspettava. Quello di rottamatore. Ma non un rottamatore da dentro, come è accaduto a Matteo Renzi. Un rottamatore che da fuori cerca di attirare consensi, persone e anche finanziamenti lontano dal baricentro tradizionale del centrodestra.
«Non siamo moderati – ha detto sempre l’ex delfino berlusconiano – siamo radicali, perché vogliamo cambiare radicalmente l’Italia». Radicali ma nemmeno estremisti. Quello che immagina Parisi è infatti di affrancare l’area centrista della vecchia coalizione dalle spinte lepeniste o trumpiane di Salvini, considerato il leader in pectore di una coalizione in grado di competere con la voracità mediatica dei Renzi e dei Grillo. Paradossalmente, non ci fosse Salvini non ci sarebbe nemmeno Parisi a doversi proporre su posizioni europeiste, dialoganti e garbate.
Quel che manca a Parisi, però, è un sostegno politico che trasformi i progetti in una macchina da voti. Che è poi quello che è capitato ai suoi sfortunati predecessori: da Gianfranco Fini ad Angelino Alfano, nessuno è riuscito a brillare di luce propria. Parisi appare un uomo ottimista ma solo. Berlusconi lo aveva scelto all’inzio di quest’anno per candidarlo a sindaco di Milano contro Giuseppe Sala, ex commissario dell’Expo. Sala ha poi vinto, ma l’operazione è risultata positiva per il centrodestra, che si era ricompattato sul nome di questo ex manager pubblico di formazione socialista, passato a fine anni Novanta dal dipartimento economico di Palazzo Chigi a dirigere il Comune di Milano con Gabriele Albertini, poi la Confindustria e quindi Fastweb. Persino Salvini si era convinto che quello di fosse un buon nome.
Perse le Comunali al ballottaggio (48,3% dei consensi), Parisi è stato convocato ad Arcore per assumere una mission impossible, resa ancora più delicata dalle condizioni di salute di Berlusconi: rimettere in ordine la struttura di Forza Italia e allargarne i consensi fra chi negli ultimi anni ha disertato le urne. Energie per l’Italia è il nome con cui a settembre, in un curioso intreccio con la Pontida leghista, è iniziato un tour nelle province italiane per far crescere questa aspettativa. Solo che a quel punto la determinazione di Parisi, e forse un’eccessiva autonomia rilevata anche dai radar di Arcore, si è scontrata con la paura dei colonnelli di Forza Italia di essere scalzati dalle loro gerarchie. “Parisi non rappresenta nessuno”, il leit motiv di figure come Renato Brunetta, il capogruppo alla Camera, che in questo è sembrato parlare in tutto e per tutto come Salvini. A far precipitare la situazione, con le parole del Cav a suggellare la fine di un’avventura, è stata la vittoria di Donald Trump negli Usa: noi non siamo quella cosa lì, la chiusura netta di Parisi.
Ed eccoci alla nascita del movimento. Finirà come con Fini e Alfano? Difficile dirlo. L‘area di centrodestra è da tempo spaccata fra chi, nostalgico di Berlusconi, vede in Renzi il sol dell’avvenire e chi invece pensa che serve un voto più identitario e scandaloso, guardando con simpatia al ruvido pragmatismo di Salvini. Parisi può inserirsi in questo campo minato usando il suo ruolo di outsider, in questo senso un punto di forza. E sperando che la leadership della futura coalizione si decida attraverso inedite primarie, dove se la vedrà con Salvini e chiunque altro voglia misurarsi sul campo. Ma deve trovare delle truppe che nel frattempo lo seguano, smentendo i pronostici dei politici che non lo hanno mai amato: prenderà lo zero virgola qualcosa.
Il referendum costituzionale sarà uno snodo anche per lui. Parisi ha detto che bisogna votare No. Ma, ulteriore paradosso, dovesse vincere il No per lui ci sarà ancora meno spazio fra Salvini e Grillo. Dovesse vincere il Sì, non è invece detto che anche Berlusconi non possa tornare sui suoi passi e riaccogliere in casa il figlio ripudiato. Sono però valutazioni che dovranno reggere alla prova dei fatti delle prossime tre settimane.
@ilbrontolo