Paura Erdogan, tra repressione, islamismo e nazionalismo

Con le purghe in seguito al tentato golpe la Turchia è in mano ai conflitti interni: tra ultranazionalismo e fondamentalismo è un paese sempre più lontano dall’Europa

Il vuoto che le purghe di Erdogan stanno creando nella Pubblica Amministrazione turca si fa sempre più grande. Nei mesi successivi al fallito golpe di luglio sono stati epurati – per limitarsi ai gruppi principali – l’esercito, la polizia, i servizi segreti, la magistratura, i ministeri, l’informazione, la scuola e le università. Lo spazio lasciato dalle decine di migliaia di persone sospese o licenziate, con l’accusa di appoggiare organizzazioni terroristiche (quali quella del predicatore Fethullah Gulen, accusato da Erdogan di essere la mente del golpe, o il Pkk curdo), deve essere ora riempito e nei settori più delicati pare sia in corso una dura competizione tra due distinti gruppi.

Secondo quanto riporta su Al Monitor Metin Gurcan – analista esperto di sicurezza ed ex consigliere militare dell’esercito turco – nei servizi segreti, nelle forze armate, nella Difesa e nella Gendarmeria sono rimaste scoperte posizioni apicali fondamentali. Non avendo l’Akp (il partito di Erdogan) formato una classe dirigente adeguata a tali ruoli nei suoi 14 anni al potere, i due gruppi che si contendono i favori del Presidente turco per riempire quei vuoti sono il Gruppo Perincek e il Blocco dei Virtuosi.

“Gruppo Perincek” è una dizione informale per il Partito Patriottico, una forza laica, socialista, isolazionista, anti-occidentale e filo-russa, guidata appunto da Dogu Perincek, leader noto per il negazionismo del genocidio armeno e per essere stato incarcerato durante le purghe del 2013 seguite al caso Ergenekon (un’inchiesta della magistratura turca, pilotata da Erdogan e da Gulen, all’epoca alleati, contro un fantomatico gruppo eversivo kemalista nelle forze armate: centinaia di arresti, molte carriere distrutte ma alla fine poche condanne, anzi, alcuni magistrati vicini a Gulen sono poi passati da accusatori ad accusati per aver usato documenti falsi). Alle ultime elezioni il partito di Perincek ha preso meno dello 0,3% dei voti, ma – come spiega Gurcan – «ha visto crescere incessantemente la propria influenza negli apparati di intelligence e sicurezza nazionale. Personale di alto livello della polizia militare e dell’intelligence, vicino al Partito Patriottico, era stato il principale bersaglio delle purghe operate dai gulenisti – all’epoca alleati del Akp nel porre fine alla “protezione” della Repubblica kemalista da parte dei militari – tra il 2006 e il 2014. Ora che i gulenisti che avevano rimpiazzato il personale vicino ai Patrioti vengono a loro volta eliminati, Erdogan, sorprendentemente, sta facendo affidamento proprio sul Gruppo Perincek nella lotta contro i gulenisti e contro il Pkk dopo il golpe».

Il rischio paventato è che la capacità occidentale di influenzare un fondamentale alleato Nato, già ridotta al minimo, si riduca ulteriormente. In un momento storico di imprevedibili mutamenti – con la Russia che torna protagonista in Medio Oriente e corteggia Ankara

Prova a contrastare questa ascesa di un gruppo fortemente secolarista il “Blocco dei Virtuosi”, composto dai conservatori-nazionalisti vicini alla base islamista del Akp e che ha diverse importanti sponde nel mondo delle fondazioni religiose. «La peggior paura dei conservatori-nazionalisti» prosegue Gurcan, «è che il Gruppo Perincek approfitti dello stato di emergenza per eliminare totalmente i gruppi pro-Akp dalle posizioni chiave con la scusa di purgare i gulenisti». Secondo alcuni giornalisti vicini al Akp si rischierebbe addirittura di dare in mano a una forza laica e anti-islamica le chiavi per il prossimo golpe di stampo secolarista.

Il dilemma di Erdogan, secondo quanto sostengono alcuni analisti di intelligence, è dunque riassumibile così: i gulenisti sono difficilmente distinguibili, almeno superficialmente, dai suoi sostenitori e pescare tra la base islamista del Akp per i ruoli chiave negli apparati di sicurezza lo espone al pericolo di covare altre serpi in seno; non pescare dalla base islamista del Akp privilegiando invece il Gruppo Perincek è però altrettanto pericoloso, perché da un lato crea malcontento nel suo schieramento tradizionale e dall’altro lo espone al rischio di avere ai vertici della sicurezza nazionale persone che non condividono i suoi orizzonti politici e valoriali. Un garbuglio questo che proietta incertezza e paura anche nel prossimo futuro della Turchia.

Purtroppo non è stato possibile corroborare queste ricostruzioni con la voce di altri esperti turchi, giacché sette su sette che sono stati contattati da Linkiesta non hanno voluto o potuto rispondere: in tre, una volta saputo l’argomento, si sono dichiarati indisponibili a parlarne, “per incompetenza” o perché ritenevano di “non avere titolo”; in due hanno risposto in un primo momento salvo poi, conosciute le domande, negarsi tanto al telefono quanto via mail senza ulteriori spiegazioni; altri due hanno fin da subito ignorato le richieste di colloquio.
Dopo gli arresti che hanno di recente colpito il Parlamento turco e Cumhuriyet, l’ultimo quotidiano non di regime del Paese, il clima si è fatto ancora più pesante in Turchia.
Persone normalmente disponibili a parlare coi media occidentali si negano e, a parere di altri loro colleghi, è evidente lo stato di ansia e preoccupazione in cui vivono.

L’Occidente osserva preoccupato queste evoluzioni di carattere generale, e anche la competizione tra i due gruppi sopra citati genera qualche ansia negli ambienti della diplomazia europea.
Né il Gruppo Perincek né il Blocco dei Virtuosi sono infatti visti come interlocutori capaci di smussare le durezze del presidente Erdogan nei confronti degli alleati occidentali. Anzi, l’isolazionismo del primo e lo sguardo rivolto a est del secondo sono entrambi fonte di incertezza. Il rischio paventato è che la capacità occidentale di influenzare un fondamentale alleato Nato, già ridotta al minimo, si riduca ulteriormente. In un momento storico di imprevedibili mutamenti – con la Russia che torna protagonista in Medio Oriente e corteggia Ankara, e con gli Stati Uniti sospesi nell’incertezza seguita alla vittoria di Trump – per l’Europa si tratta di un altro, ennesimo, campanello d’allarme.

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