Un po’ un’autobiografia romanzesca, un po’ un libro di avventura, un po’ un mistery. E un po’, proprio quando la narrazione lo richede, libro per bambini. Si chiama Baires (Fazi, pp 240, Euro 18) il romanzo “di formazione” di Chiara Rapaccini. Designer, pittrice e scultrice, Rapaccini scrive e illustra libri per ragazzi e per adulti. Vignettista per l’Espresso, collabora anche con questo giornale, per il quale è autrice del seguitissimo Oroscopo.
La Rapaccini arriva al romanzo attraverso una formazione composita. Tra il non poco altro è stata la compagna di vita di Mario Monicelli. E il libro è centrato su una protagonista, Frida, che esce da un lungo legame con un uomo di cinema, carismatico e accentratore. Ritrovare se stessi dopo la perdita di un compagno è un’operazione di perdita di controllo, di abitudini, di sicurezze, che la protagonista del libro decide di affrontare con un viaggio in Sudamerica.
«È La storia di una borghese, controllata, che si mette vestiti firmati -racconta la Rapaccini a linkiesta – E piano piano ci sarà una ascesa dello spaesamento, che la terrorizza. Ma allo stesso tempo, lei, è attratta dal perdersi, perché, dantescamente, per tornare a vedere le stelle devi andare in giù. E lei ci va, va giù, nel pantano. Perde le regole borghesi ed europee, e vuole perdersi lei stessa». E perché proprio a Baires e in Sudamerica? «Credo molto nel cosiddetto Terzo mondo, che noi Europei snobbiamo, ma è un mondo che a noi fa trovare cose che ci aprono la mente. La vecchia Europa chiude la mente. “È un vestitino di piombo che ti strozza” come dice Frida nel libro».
La geografia qui diventa paesaggio interiore, di Baires colpisce l’attenzione alle componenti allo stesso tempo mistiche e carnali delle religioni “sincretiche” del Sudamerica, dalla Santeria in poi.
Mario diceva “muoiono solo gli stronzi” che io capisco bene che vuol dire. Tu fai quello che ti pare, se davvero sei te stesso non muori mai. Sbagliava. Siamo deboli, mi sento fragile. Quell’onnipotenza che ci hanno insegnati tutti loro è falsa
«Lo sciamanesimo sudamericano/cattolico, è più interessante di quello orientale -spiega la Rapaccini- che è stato abusato, saccheggio, e propinato in modi falsi. Anche per l’elemento di carnalità. Frida si trova in un Santeria market, dove vendono santini che ti viene voglia di leccare e mangiare. O si trovano simulacri di dee vestite come barbie, mistress. In Sudamerica la spiritualità è uguale al corpo» Conclude. E aggiunge: «Mi piace aver descritto una donna di mezza età ancora bella che usa il suo corpo anche eroticamente, c’è sempre un legame con la corporeità. In occidente ci si riempie di botox, un ideale robotico. Spesso le donne sono lontane da una gioiosa relazione con se stesse».
E visto che il romanzo qui si intreccia in maniera coraggiosamente dichiarata (e trasgredita, attenzione, siamo alle prese con fiction) con l’autobiografia viene spontaneo chiedere cosa ha imparato, e cosa invece ha dovuto necessariamente rifiutare (i “non più” che aiutano a crescere) di Monicelli. «Sono stata molto bene con Mario -dice la Rapaccini- Anche la scrittura l’ho imparata dalla sceneggiatura del cinema. Ti insegna che devi essere serio anche quando dici scemenze. Vivere per 30 anni accanto a personalità così forti, però, ha un prezzo. Sono orfana di una generazione di amici di mio marito, da Age e Scarpelli a Mastrioianni e Tognazzi. Gente che aveva carisma, voglia di sovvertire, e successo» E una frase di Monicelli che alla fine si è trovata a negare? «Mario diceva “muoiono solo gli stronzi” che io capisco bene che vuol dire. Tu fai quello che ti pare, se davvero sei te stesso non muori mai. Sbagliava. Siamo deboli, mi sento fragile. Quell’onnipotenza che ci hanno insegnati tutti loro è falsa».
Al di là di fama, successo, e creatività, meglio forse sfangarsela restando umani e mortali, con l’umorismo (e su questo la Rapaccini è maestra) e se serve tornando bambini, come testimoniano le pagine del “tempo ritrovato” della protagonista, Frida che ritrovò se stessa a Baires.