Referendum, gli impoveriti d’Italia che tradiranno Renzi

L'analisi del voto Usa è molto chiara. A tradire la Clinton non sono state le regioni più povere, ma quelle impoverite. Lo stesso succederà in Italia, non è un caso che nelle regioni in cui il tenore di vita si è abbassato di più, Lazio e Piemonte, ci siano sindaci antisistema come Appendino e Raggi

Donald Trump ha vinto di pochissimo, anzi, non avrebbe neanche vinto, è stata Hillary Clinton ad avere più voti in assoluto, ma negli USA la geografia conta molto e il miliardario newyorkese siederà nello Studio Ovale nonostante tutto, nonostante abbia avuto meno preferenze anche del perdente Romney, perchè ha vinto di misura nei posti giusti, ha vinto i grandi elettori di Stati in cui si dava per scontato prevalessero i democratici, come in Pennsylvania, in Wisconsin, nel Michigan. Stati che in qualche caso da decenni non votavano repubblicano.
E dire che altrove Trump ha anche perso voti rispetto alle ultime performance dei candidati del suo partito, il GOP è arretrato in California, in Texas, nello Utah, a New York, ma erano luoghi in cui era o già troppo debole e in minoranza o troppo forte per perdere. E invece proprio là intorno a Grandi Laghi c’è stato un trionfante aumento. Cosa hanno di particolare questi Stati che hanno fatto letteralmente la differenza?

Non sono le aree più povere degli Stati Uniti, e anzi nell’ultimo anno hanno avuto una crescita maggiore della media, tuttavia se prendiamo i trend di lungo periodo (dal 2000 per esempio), che sono quelli che più si fissano nella percezione degli elettori, vediamo che in alcune statistiche sono rimasti molto indietro rispetto al resto del Paese.

Ad esempio nel tasso di aumento dei redditi non agricoli, che vede in testa il West e le Montagne Rocciose e la regione dei Grandi Laghi in fondo alla classifica

O nel tasso di aumento medio annuo dei salari, che dal 2000 al 2015 sono cresciuti meno proprio nel Michigan, lo Stato di Detroit, +1,4%, contro il +7,1% del North Dakota del boom petrolifero (ora finito), il +4,6% del Texas, o il +3,5% della California.

Sono elezioni americane, comunque. Cosa c’entrano con noi? C’è qualcosa che possiamo imparare da quello che è accaduto oltre-oceano? Probabilmente sono i nostri politici, soprattutto quelli al governo, che dovrebbero guardare con attenzione all’esempio lampante di voto anti-establishment che proviene dalle aree più impoverite, in particolare in vista del referendum costituzionale.

Nel nostro Paese ci sono già stati avvertimenti simili, con l’emergere delle forze anti-sistema proprio nelle regioni più sfavorite, che sono le stesse che hanno sofferto della crisi più di tutte.
Si parla del Mezzogiorno, dove i consumi, vera misura del reddito effettivamente disponibile, sono calati ulteriormente rispetto al Nord Italia, sia quelli totali che, a mò di esempio, quelli nel vestiario

E dove l’occupazione è anche calata in media più che in Italia e in Europa. La situazione è doppiamente grave se consideriamo che a diminuire è stata soprattutto l’occupazione definita dallo Svimez “cognitiva altamente qualificata”, e tra le professioni manuali quelle specializzate

Questo dato è importante perchè anche negli USA il voto di protesta a Donald Trump è risultato correlato, ancora più che con la disoccupazione (che in generale è in calo negli States), con la qualità del lavoro.
Di fatto quanto più il lavoro è di routine, elementare, con poche prospettive di carriera, tanto più, in base ai dati di Nate Silver, Trump ha sorpassato Hillary Clinton:

È vero che negli ultimi anni è stato al Sud che le forze anti-governative come il Movimento 5 Stelle hanno avuto più voti, ed è sempre al Sud che i sondaggi vedono la più alta percentuale di No. Del resto, in base a questi dati economici, la cosa non desta meraviglia alcuna.

Attenzione però! In USA Trump ha trionfato non solo e non tanto nelle aree più povere (quelle del Sud degli USA in quel caso), ma soprattutto quelle “impoverite” relativamente al trend di sviluppo del resto del Paese, quelle che un tempo, magari erano prospere, ma che ora sono rimaste indietro.

In Italia, se poniamo il PIL pro-capite a 100 e osserviamo come è cambiato tra il 2007 e il 2010, vediamo che tra le regioni che hanno perso posizioni rispetto alla media italiana, oltre alle maggiori del Sud, vi è il Piemonte, il Friuli Venezia Giulia, l’Umbria, e soprattutto il Lazio, con un calo di ben 10 punti relativi.

Sono le regioni della Detroit italiana, Torino, e di quella Roma in degrado che hanno votato due sindache grilline solo pochi mesi fa.

Non sono le città e le regioni più povere d’Italia, ma qui la crisi ha picchiato più duro che altrove, sicuramente più che in Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Trentino Alto Adige, quelle che hanno resistito meglio.

A Hillary Clinton non è bastato aumentare i voti, anche oltre le previsioni, nella sua New York, e nella ricca California, una volta reaganiana e ora capitale dell’innovazione e del multiculturalismo ottimista.
Così a Renzi e al PD potrebbe non bastare avere successo a Milano, una volta berlusconiana, e ora, capitale economica d’Italia più che mai, simbolo della ripresa e sempre più bastione del centrosinistra moderato, ma sempre più lontana dalla frustrazione, dalle paure e dalle pulsioni del resto d’Italia che non si sente per nulla fuori dalla crisi economica, e che potrebbe riservare sorprese. Amare.

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