TaccolaResistere e tagliare il più possibile: la mossa obbligata delle banche italiane

Non sono solo i crediti deteriorati a dover preoccupare le banche italiane: è la grande contrazione dei ricavi, non compensata da tagli di costi. Un trend negativo che continuerà. La prospettiva per le banche tradizionali e resistere e intanto cambiare puntando su tecnologia e nuove competenze

Resistere per un paio d’anni, in attesa che qualcosa cambi: è questo l’orizzonte delle banche italiane. Niente di più, se non sperare che nel frattempo i nuovi venuti, cioè gli operatori del fintech, non le travolgano. È stato uno dei messaggi chiave della quarta “Retail banking conference”, organizzata il 30 novembre da Accenture e Il Sole 24 Ore nella sede del quotidiano. Il clima lo ha dato Pierpio Cerfogli, vicedirettore generale di Bper Banca: «Nelle strutture bancarie il 70% delle fonti di ricavo sono in calo costante da 3-4 anni – ha detto -. Il 30% di revenues restante ha una capacità di sviluppo del 10-15% per altri 3-4 anni», poi chissà. La prospettiva? «Fare resistenza per 3-4 anni, in attesa di un contropiede», sapendo che «non sono ancora usciti dei cavalli vincenti» nel breve periodo.

Il clima, a dir la verità, era già stato segnato dalla presentazione di una ricerca di Accenture sullo stato di salute delle banche italiane. Quello che emerge è che il sistema bancario si illuderebbe se pensasse che, risolta la crisi contingente degli Npl (e tornati su livelli superiori i tassi di interesse) le cose si rimetteranno a posto. Ci sono problemi strutturali destinati a restare e a investire tutti: si chiamano rivoluzione tecnologica, competizione da parte del fintech, ma anche la pressione regolamentare, che porterà a incrementa i costi e ridurre i ricavi.

Partire dai ricavi è un buon inizio se si vuole capire la situazione. Rispetto al 2007 sono scesi, considerando tutte le banche italiane, di 5,6 miliardi di euro (da 84,3 a 78,7 miliardi), soprattutto a causa di una discesa di 10 miliardi del margine di interesse, che non è stata compensata dalla salita delle commissioni. Perché scende il margine di interesse? Perché in soli due anni lo spread creditizio si è contratto di due terzi, perdendo 110 punti base (da 1,65% allo 0,55%).

Se i conti non tornano è perché nel frattempo i costi operativi sono scesi solo di un miliardo, mentre sono quadruplicate le rettifiche sui crediti. Il risultato: una discesa dell’utile netto di oltre l’80 per cento, da 22,4 miliardi a 3,7. Se cerchiamo che fine faccia il Roe, il ritorno percentuale sul capitale investito, troviamo un annichilimento, con un passaggio dal 9% allo 0,9 per cento. Discesa che sembra anche suggerita dalla forte frammentazione del nostro sistema bancario, dato che esiste una correlazione “evidente” in Europa tra la concentrazione del settore e la sua redditività.

«Nelle strutture bancarie il 70% delle fonti di ricavo sono in calo costante da 3-4 anni. Il 30% restante delle revenues ha una capacità di sviluppo del 10-15% per altri 3-4 anni»


Pierpio Cerfogli, vicedirettore generale di Bper Banca

Il punto è allora capire se le banche hanno la possibilità di far risalire il Roe entro il 2020. La risposta è positiva, ma solo in parte. Il ritorno sugli investimenti potrebbe risalire al 5 o 7%, immaginando che si arrivasse a una normalizzazione del margine di interesse e delle rettifiche sui crediti, riportandoli ai livelli pre-2007. Anche ipotizzando un quadro così roseo, ci sarebbero da affrontare i minori ricavi derivanti dalla nuova regolamentazione. Qualche esempio: la nuova direttiva Psd2 porterà a una discesa delle commissioni sui pagamenti che la società di consulenza stima attorno al 40 per cento. Un’altra discesa arriverà dall’applicazione delle regole della Mifid2. Mnetre aumenteranno dell’1% annuo di requisiti di capitale (quindi con necessità di accantonamenti), del 10% annuo i costi di compliance e di 1 miliardo all’anno i costi per i contenziosi. Accenture non si spinge a dire quanto potrebbero valere questi mancati introiti: il terreno è sconosciuto.

Fin qui i guai, attuali e futuri. Ma cosa dovrebbero fare le banche per ridurre il gap tra ricavi e costi? Potrebbero creare nuove opportunità e ottimizzare capitale. Ma la cattiva notizia è che per una quota tra il 55 e il 65% tale distanza sarebbe colmata ripensando la struttura dei costi. Vale a dire, soprattutto ma non solo, licenziando. L‘annuncio di martedì 29 novembre di un taglio di 700 persone in Popolare di Vicenza, seguito a quello di Mps dei primi 600 tagli (su più di duemila), sono solo l’inizio di un percorso molto doloroso. Per allineare la struttura del costi ai ricavi attesi bisogna raggiungere due step. Nel primo la banca tradizionale riduce i costi operativi da 100 a 75 (diventando un digital switcher). Nel secondo li porta a 50 (diventando digital first). In questo calo, il costo delle filiali sarebbe più che proporzionalmente tagliato, di oltre due terzi. Non è però una prospettiva che è condivisa da tutti allo stesso modo. «Non mi accodo con chi pensa che vadano distrutte tutte le filiali – ha detto Cerfogli di Bper -. Il movimento non è solo verso il digitale: lo dimostra, nel retail, la risalita del canale fisico nei negozi di prossimità». Per Mauro Selvetti, direttore generale del Credito Valtellinese, «serve equilibrio. Fino a qualche anno fa a fine anno i manager si vantavano di quante filiali si aprivano, oggi di quante se ne chiudono. Ma le filiali servono. Se le famiglie si sposteranno sempre più verso l’uso degli smartphone per i servizi bancari, se – come noi – hai il 75% degli attivi concentrati sulle Pmi, non puoi prescindere dalle filiali».

Il sistema bancario si illuderebbe se pensasse che, risolta la crisi contingente degli Npl, le cose si rimetteranno a posto. Ci sono problemi strutturali destinati a restare: la rivoluzione tecnologica, la competizione da parte del fintech, ma anche la pressione regolamentare, che porterà a incrementa i costi e ridurre i ricavi

Guardando in positivo, le direttrici su cui tutte le banche dovrebbero muoversi sono tre: aumentare le economie di scala (quindi il numero di clienti), la propria focalizzazione (cioè trovare un modello di business molto preciso) e migliorare l’efficacia. Mentre i fattori abilitanti dovrebbero essere due: la tecnologia ma soprattutto le competenze dei lavoratori, in tutte le funzioni aziendali. «Il tema delle risorse umane sarà ancora più difficile da affrontare che quello della tecnologia – ha detto Alberto Antonietti, managing director della funzione Financial Services Lead di Accenture Strategy -. Non vorrei che il capitale umano fosse un problema paragonabile a quello degli Npl nei prossimi anni».

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