Roma ha scoperto di essere vulnerabile ai terremoti. Domenica mattina l’onda sismica proveniente da Marche e Umbria ha fatto tremare la Capitale per quasi un minuto. Tra la sorpresa e l’incredulità, migliaia di persone sono scese in strada. In diversi quartieri i cornicioni dei palazzi sono caduti sull’asfalto. Interrotte le linee della metropolitana, alcuni tratti della tangenziale sono stati chiusi al traffico. Ma per gli esperti non c’è nulla di sorprendente. «Abbiamo diverse testimonianze di episodi importanti avvenuti a Roma nel passato» racconta Roberto Troncarelli, il presidente dell’ordine dei geologi del Lazio. Mentre le scuole vengono chiuse per verificare la tenuta delle strutture, l’attenzione va al patrimonio artistico. Il sisma ha lesionato la facciata della basilica di San Paolo fuori le mura e la cupola di Sant’Ivo alla Sapienza. E adesso ci si interroga: la Città Eterna è pronta ad affrontare un evento di questo tipo? «Purtroppo non c’è solo il problema sismico» insiste Troncarelli. «Basta pensare al rischio idrogeologico, grave e mai risolto. È urgente un cambiamento culturale: bisogna investire nella prevenzione».
Presidente Troncarelli, un terremoto a Roma se lo aspettavano in pochi. La città sorge in una zona sismica?
Bisogna fare una precisazione. Esistono zone sismogenetiche, strutture geologiche che possono determinare uno strappo della superficie terrestre, in cui si originano i terremoti. E poi ci sono zone sismiche dove non nascono terremoti, ma può ugualmente arrivare il treno d’onda. È il caso di Roma. Si devono considerare anche le particolari condizioni geologiche di questa città: esistono terreni alluvionali, soffici, che tendono ad amplificare gli effetti di un sisma. E terreni più rigidi che possono attenuarli. Le faccio un esempio: in epoca storica crollò una parte del Colosseo, assumendo la forma asimmetrica che conosciamo oggi. Quel settore poggiava su terreni alluvionali, quello rimasto in piedi su un deposito tufaceo.
Quindi il terremoto dell’altro giorno ha colpito maggiormente le zone con terreni alluvionali?
Esatto. Ma c’è anche una distinzione di tipo morfologico, che varia in base alla vicinanza con la catena appenninica e all’approssimarsi a zone “calde” dal punto di vista sismico. Mi riferisco in particolare ai settori di Roma Est e Roma Sud Est, al confine con i comuni alle pendici dei Castelli romani.
«Ci sono zone sismiche dove non nascono terremoti, ma può ugualmente arrivare il treno d’onda. È il caso di Roma. Si devono considerare anche le particolari condizioni geologiche di questa città: esistono terreni alluvionali, soffici, che tendono ad amplificare gli effetti di un sisma. In epoca storica crollò una parte del Colosseo, quel settore poggiava proprio su terreni alluvionali»
Per precauzione sono state chiuse tutte le scuole. Adesso ci saranno delle verifiche, ma già mercoledì gli studenti torneranno in classe. Due giorni sono sufficienti per verificare i danni strutturali?
Ho grandi dubbi. Come si può predisporre un’accurata verifica su centinaia di edifici in due giorni? Non potrà che essere sommaria, forse persino ininfluente. Per carità, è un’iniziativa meritoria. Ma restano molti interrogativi. Molti edifici scolastici, poi, sono già pieni di lesioni: in poco tempo è impossibile capire quali siano state causate dall’evento sismico. È come cercare un ago in un pagliaio. E allora credo che sia meglio fare indagini più lunghe: dovrebbe essere organizzata una campagna intensiva nei due mesi di chiusura estiva. Però bisogna programmarla subito, adesso, investendo denaro e individuando le responsabilità.Non ci sono solo le scuole. Dopo il sisma di domenica molti edifici hanno evidenziato crepe e lesioni. In alcune zone della città sono caduti per strada i cornicioni dei palazzi. È tutto normale?
Gli eventi sismici che da un paio di mesi stanno caratterizzando la zona del Centro Italia arrivano a Roma sotto forma di continue sollecitazioni per gli edifici. Non mi riferisco solo agli eventi più evidenti. Ci sono una serie di microscosse percepite solo dagli strumenti e dai fabbricati che le subiscono. Inevitabilmente qualche lesione è comparsa. Ognuno dovrebbe prestare attenzione, osservare la propria abitazione. È questa la prima azione necessaria: ma bisogna farla tutti i giorni, non solo in seguito a un evento sismico.Insomma, c’è da preoccuparsi?
Se fossi un amministratore pubblico romano mi preoccuperei di più dell’aspetto alluvionale. Siamo alla fine di ottobre, presto i primi fortunali troveranno i tombini e collettori d’acqua ostruiti. Se dovessi stilare una lista dei rischi inserirei al primo posto il dissesto idrogeologico, un problema particolarmente grave a Roma e mai risolto. Penso alla zona di Castel Giubileo e del Labaro…. Poi certo, ci sono i rischi sismici, ma anche quelli vulcanici. Il Vesuvio dista 170 chilometri, se ci fosse un evento importante la città di Roma non ne sarebbe esente. Sono tutte situazioni che dovrebbero essere considerate in un piano di emergenza comunale.«Bisogna investire in prevenzione, perché non si fa? L’alibi che non ci sono soldi non regge, perché dopo le tragedie i fondi si trovano sempre. Mi rendo conto che la prevenzione non paga in termini politici. Sono interventi che non possono essere inaugurati con il taglio di un nastro tricolore. Ma le istituzioni devono iniziare a curare l’immagine del Paese, non solo la loro»
E come si interviene?
Si interviene con la prevenzione. Purtroppo il quadro non è mai omogeneo. Pensiamo agli interventi antisismici sugli edifici esistenti: in Italia la situazione si presenta a macchia di leopardo. Ci dovrebbero essere dispositivi normativi nazionali, e invece spesso le regioni possono orientarsi più o meno liberamente. Anche le contribuzioni economiche e finanziarie fanno tutte capo al dipartimento di protezione civile nazionale, ma sono i singoli dipartimenti regionali che le gestiscono autonomamente. Parlando di prevenzione, poi, c’è tutto un aspetto legato alle informazioni per la popolazione. Parlo di norme comportamentali da tenere in caso di sisma, ma anche dei requisiti che ogni edificio dovrebbe avere. Da qualche anno al momento dell’acquisto di un immobile deve essere fornito l’Ape, l’attestato di prestazione energetica. Personalmente credo che sarebbe altrettanto importante disporre di un analogo documento in grado di certificare se l’edificio è messo a norma e adeguato sismicamente.A sentire lei servirebbe quasi un cambiamento culturale.
Bisogna investire in prevenzione, perché non si fa? L’alibi che non ci sono soldi non regge, perché dopo le tragedie i fondi si trovano sempre. Mi rendo conto che la prevenzione non paga in termini politici. Sono interventi che non possono essere inaugurati con il taglio di un nastro tricolore. Questo è un progetto a lungo termine, per mettere in sicurezza l’Italia sono necessari almeno 20-25 anni. Ma le istituzioni devono iniziare a curare l’immagine del Paese, non solo la loro. E da questo punto di vista, mi spiace dirlo, ma il cambiamento culturale mi sembra ancora molto lontano.