La grande lupa in bronzo allatta Romolo e Remo davanti al palazzo del municipio, nel centro cittadino. Tutto intorno, costruita sulle alture dei sette colli, sorge la città di Roma. Anzi Rome, come la chiamano da queste parti. 35mila abitanti ai piedi dei monti Appalachi, Georgia, Stati Uniti d’America. Come la Città Eterna, anche Rome è piena di chiese. In proporzione ce ne sono anche di più: una ogni trecento abitanti. Ma qui i cattolici sono in netta minoranza. A dispetto del nome familiare, è questa l’America profonda. Un paese poco conosciuto, finito al centro dell’attenzione dopo la vittoria elettorale di Donald Trump. È davvero “un’altra America”, come si intitola un bel libro edito da Marsilio. Lo ha scritto Alberto Giuffrè, dopo aver girato gli States alla scoperta di centri piccoli, a volte piccolissimi, ma dal nome ingombrante. Un viaggio on the road alla ricerca di Naples, nel sud della Florida, oppure di Genoa, tra i deserti del Nevada. Un mondo all’incontrario, tra le start-up tecnologiche della Venezia californiana e il petrolio della ricca Palermo, ai confini settentrionali del Paese.
Il viaggio è anche un pretesto per descrivere un Paese sconosciuto. «Rome, ad esempio, mi ha permesso di raccontare la Bible Belt» spiega l’autore. Profondo sud degli Stati Uniti, qui tutto gira attorno a tre parole chiave, perfettamente descritte nel libro. “Dio, pistole e football americano”. Inutile dire che da queste parti Trump ha conquistato il 70 per cento dei voti. Il legame con la Capitale italiana resta quasi una coincidenza. Al posto dei latini, sui sette colli di Rome vivevano gli indiani Cherokee. La lupa capitolina? Fu un regalo di Benito Mussolini, che nel 1929 volle offrire un segno d’amicizia alla città gemella. Peccato che nel 1940, allo scoppio della seconda guerra mondiale, la statua fu spostata per evitare imbarazzi. Tornò al suo posto davanti al municipio solo nel 1952. E dire che Rome deve la sua fama a un curioso caso del destino. Contestualmente alla sua fondazione, nel 1834, il nome fu estratto a sorte tra varie alternative (tra cui Amburgo e Varsavia…).
La grande lupa in bronzo allatta Romolo e Remo davanti al palazzo del municipio, nel centro cittadino. Tutto intorno, costruita sulle alture dei sette colli, sorge la città di Roma. Anzi Rome, come la chiamano da queste parti. 35mila abitanti ai piedi dei monti Appalachi, Georgia, Stati Uniti d’America
Tra i campi di cotone dell’Alabama sorge Florence. E questa volta il nome non è una coincidenza: la fondazione della città si deve a un pioniere toscano, Ferdinando Sannoner. Ingegnere e avventuriero, nel 1818 fu lui a dare vita alla cittadina che oggi conta 37mila abitanti e un’importante tradizione musicale. Spostandosi verso la Florida si arriva a Naples, città dagli enormi contrasti. Qui convivono lusso e miseria. I ricchi pensionati della costa orientale vengono da queste parti a trascorrere gli anni della pensione. Fino a pochi anni fa Naples era una delle città americane con la percentuale più alta di milionari. Le ville costano in media 520mila dollari. Anche il regista Steven Spielberg ha deciso di acquistare una residenza. Appena usciti dal centro abitato, però, si incontra un’altra realtà. Tra i campi sconfinati di pomodori lavorano i latinos, immigrati clandestini che svolgono i lavori che gli americani non vogliono più fare. Davanti alle onde del golfo del Messico come ai piedi del Vesuvio? Non proprio. L’autore del libro se ne accorge dopo poche ore. «Appena arrivato a Naples – racconta Giuffrè – mi sembrava doveroso provare una pizza». L’esito è disastroso. Nel primo locale la margherita gli viene servita con sei alette di pollo fritte. Nel secondo, una pizzeria del centro, il condimento è a base di prosciutto, salame e salsiccia. È la conferma che Napoli, quella vera, dista migliaia di chilometri.
A dispetto dei nomi familiari, è questa l’America profonda. Un paese poco conosciuto, finito al centro dell’attenzione dopo la vittoria elettorale di Donald Trump. È davvero “un’altra America”, come si intitola un bel libro edito da Marsilio. Lo ha scritto Alberto Giuffrè, dopo aver girato gli States alla scoperta di centri piccoli, a volte piccolissimi, ma dal nome ingombrante. Un viaggio on the road alla ricerca di Naples, nel sud della Florida, oppure di Genoa, tra i deserti del Nevada
Thomas Edison è nato a Milano. O meglio Milan, Ohio. L’inventore della lampadina è il cittadino più illustre del paesino nella contea di Erie. Un migliaio abbondante di abitanti. Ed è proprio il pronipote di Edison che accoglie Giuffrè al suo arrivo. Conoscitore della storia cittadina, trascorre sei mesi l’anno ad accompagnare i turisti nella casa natale dell’illustre avo. Il resto dell’anno gira per gli States, in tour con il suo gruppo musicale. Analogie e contrasti. In North Dakota sorge Palermo. Anzi, Pàlermo, come la chiamano gli americani. «È l’esatto opposto della nostra – sorride l’autore – La città si trova nel profondo Nord del Paese, al confine con il Canada, la gente è tutt’altro che accogliente, il cibo non ne parliamo. Decisamente poco mediterranea». Un centinaio scarso di abitanti, un solo bar, Pàlermo sorge in una delle regioni con il più basso tasso di disoccupazione d’America. Il merito del boom economico è tutto del petrolio, che da queste parti viene estratto con il discusso sistema del fracking. Benessere economico che si è accompagnato a drammatici squilibri sociali.
A volte i legami con l’Italia sono evidenti. Spesso restano un mistero. Perché nel deserto del Nevada sorge la città di Genoa? A sentire gli abitanti, un migliaio scarso, è la più antica dello Stato. Un insediamento creato a metà dell’Ottocento per fornire sosta e rifornimenti ai cercatori d’oro. Se la leggenda attribuisce la fondazione a due tifosi della squadra di calcio rossoblù, la storia offre un’altra spiegazione. A battezzare Genoa nel 1856 sembra essere stato un religioso di nome Orson Hyde. «Perché le montagne della Sierra Nevada che circondano questo insediamento – si legge tra le pagine del libro – gli ricordavano il porto di Genova, dove era stato da missionario». Sono molto più note le radici di Venice, California. Oggi quartiere di Los Angeles, la città fu fondata nel 1905 da un magnate del tabacco, Abbot Kinney, con il sogno di ricreare sul Pacifico una copia di Venezia (gondole e canali inclusi). Capitale della silicon beach, è qui che sta nascendo una nuova generazione di italoamericani. Sono cervelli in fuga e pionieri dell’hi tech, che hanno trovato la loro America tra centinaia di start-up e milioni di dollari di investimenti.