TaccolaScarti, idiozie e oscenità: fidiamoci delle idee pericolose

Intervista ad Alf Rehn, autore del classico “Dangerous Ideas”: «Un eretico può avere torto su tutto, ma ha un valore inestimabile. Apprezzo Grillo, non l’opportunista Trump. Che però ha toccato bottoni che nessuno aveva visto. Il vero problema è fare i conti con la post-verità»

(Photo by Graham Wood/Evening Standard/Getty Images)

Ci salveranno gli eretici, coloro in grado di mettere tutto in discussione senza paura di risultare sgradevoli, offensivi e perfino infantili? Ne è sicuro Alf Rehn, autore del best seller “Dangerous Ideas – Come trasformare il pensiero provocatorio nella risorsa più preziosa” (edito in Italia da Franco Angeli). Inserito nella classifica Thinkers 50 dei pensatori più influenti al mondo del mondo del business, ha sempre sostenuto che la vera innovazione non è qualcosa di comodo o raffinato, ma un vero pugno nello stomaco. Di più: una rottura che presuppone idee tanto rivoluzionarie da apparire in prima battuta irricevibili e scandalose. Preside dell’area Management e sviluppo dell’organizzazione presso l’università finlandese Abo Akademi, 44 anni, si occupa soprattutto di formazione a businessman. Ma dopo lo choc dell’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti accetta volentieri da uscire dai confini del management per parlare di società e soprattutto di politica. La rottura di un Beppe Grillo lo affascina ed è considerata di “inestimabile valore”. Ma il discorso su Trump è molto più complesso. Non è tanto e non solo per l’opportunismo del neo-presidente, ma per il suo ricorso alla post-verità: qualcosa in caso di mandare in crisi anche le certezze di chi da sempre difende la rottura dell’establishment. Domenica 20 novembre parlerà a Milano al Forum delle Eccellenze di Performance Strategies.

Nel suo libro parla spesso di eretici e di come questi facciano bene alle aziende e alle società. Chi sono gli eretici in una società come la nostra che accetta tutte le eresie?

La ragione per cui apprezzo gli eretici, come il vostro grande connazionale Savonarola, o Fra’ Dolcino, è perché volevano cambiare. Essere eretici non significa odiare l’esistente. Al contrario, è amare talmente una cosa da volerla cambiare in meglio. Per esempio, amare tanto la Chiesa da volerla riportare alla gloria precedente o a una forma di purezza. Sicuramente abbiamo eretici anche oggi. Dove? In primo luogo in politica. Ci sono persone come Bernie Sanders, negli Stati Uniti, che hanno un’idea molto chiara di cosa vogliano raggiungere nella società, che credeno ci siano ancora grandi principi, come la qualità, la giustizia e la dedizione al lavoro. Che qualche volta prendono delle vie non convenzionali per ottenere tutto questo. In Italia avete Beppe Grillo, che definirei un eretico moderno.

In che senso?

Lui usa la comicità, ma anche una grande serietà per stimolare il dibattito su cosa sia la democrazia, su cosa sia la giustizia e su cosa sia corrotto nella società. Gli eretici si distinguono non dal fatto che sanno cosa vogliono ottenere, ma dal fatto che continuano a porre domande. Un eretico può avere torto su tutto, ma ha lo stesso un incredibile potere e un inestimabile valore.

Grillo di tutto questo è consapevole, tanto che nei suoi spettacoli ha omaggiato spesso Savonarola. Lei lo conosce bene?

Non benissimo, ma riconosco il tipo di persone che rappresenta e penso che siano molto importanti. Non perché dobbiamo essere d’accordo con la loro interpretazione delle cose o pensare come loro, ma perché ho un’opinione altissima di chi continua a spingerci perché continui il confronto. Di chi non dice “questo è l’unico modo in cui possiamo avere il progresso”. In molti Paesi la politica e il resto del dibattito pubblico si occupano solo di indici, di piccoli aggiustamenti di leggi, non si parla di grandi domande. Come “A cosa serve la democrazia?” Qualcuno come Grillo è importante perché a modo suo almeno ci riporta a parlare di grandi temi. Un altro eretico, fuori dalla politica, è Elon Musk.

In cosa Elon Musk, il fondatore di Tesla, Space X e Hyperloop è un eretico?

Lui fa delle cose impossibili. È capace di dire: “voglio andare su Marte”. Questa è una vera eresia, perché sappiamo che per andare su Marte c’è bisogno di uno Stato, di un’istituzione come la Nasa. Ed ecco che salta fuori questo uomo sudafricano pieno di talento che dice: prima creo delle auto elettriche, poi creo società dell’energia rinnovabile e poi vado su Marte. Questo è essere eretici. Ma di eretici moderni ce ne sono molti anche nelle startup.

Oggi sono meno in voga di qualche anno fa. Perché eretici?

I team delle startup sono pieni di persone che credono enormemente nella loro capacità di cambiare il mondo. Possono essere un po’ irrazionali o perfino arroganti, ma continuo ad apprezzare gli imprenditori delle startup perché mostrano che c’è ancora valore nei sogni, c’è ancora spazio per pensare l’impensabile, per dire: “risolveremo un problema che nessuno ha ancora risolto”. Questo grazie alla tecnologia e alla irreprimibile energia della gioventù.

«Gli eretici si distinguono non dal fatto che sanno cosa vogliono ottenere, ma dal fatto che continuano a porre domande. Un eretico può avere torto su tutto, ma ha lo stesso un incredibile potere e valore»

Oggi il nostro mondo politico e culturale è dominato dai tabù. Ci sono cose che non puoi dire, per il linguaggio politically correct, e passioni che non puoi dichiarare, per non sembrare uno stupido. Stiamo comprimendo la nostra creatività, in questo modo?

Naturalmente lo stiamo facendo. La cultura popolare è diventata un’area così enorme che ogni ragazzino con un telefono può fare le stesse cose di un’etichetta discografica, non abbiamo più bisogno di passare da grandi aziende. Abbiamo quindi la presenza di molto talento, di eretici nascosti nelle profondità di Youtube e Soundcloud. Ma se si guarda alla parte mainstream della cultura popolare, è davvero stereotipata. Le stesse popstar sono preimpacchettate nello stile di American Idol e altri talent show, la musica pop è ancora radio friendly. Non c’è l’aggressività che poteva avere un punk-rock. Non abbiamo la logica gloriosamente anti-establishment del primo heavy metal e perfino del primo rap. Il rap era come il punk, prima che Dr. Dre si mettesse a vendere iPhone.

Vale anche per la società?

È quello che sta succedendo anche alla società. Avevamo giovani arrabbiati e contestatari. Oggi penso che molti dei Millennial siano noiosi. Ho i figli che sono Millennial, non li voglio criticare, ma sono contenti di quello che hanno e che possono comprare. Non sembrano troppo interessati a delle rivoluzioni. La generazione dei miei figli non è interessata a darmi fastidio. Io vorrei che i miei ragazzi odiassero la mia musica e i miei vestiti. Ma noi condividiamo la stessa musica e gli stessi vestiti, mio figlio me li chiede. Questo è un po’ triste, io sarei indignato di vestirmi come mio padre, anche se è uno che si veste bene.

Lei ama la cultura punk. Oggi è diventata un cimelio. Ma c’è qualcosa di più anti-punk di una mostra sul punk?

Non c’è dubbio. Oggi usiamo il punk per vendere delle scarpe Converse. Facciamo mostre sul punk e le consumiamo come se consumassimo un espresso di Starbucks. Il punk non è più anti-estblishment e questo se vogliamo è un processo fisiologico, dopo tanto tempo è normale che cose “pericolose” si normalizzino. Il problema è se stiamo creando abbastanza cose oggi che sono anti-establishment. Anzi, ce un problema ancora più orrorifico.

Quale?

Se comiciamo a guardare in giro per il mondo, la roba anti-establishment è davvero paurosamente anti-progressista. Lei probabilmente prima o poi mi chiederà: “Donald Trump è eretico?”.

Facile previsione.

Io non penso che sia un eretico. Penso che sia un populista, un opportunista, ha visto che c’era spazio per un certo tipo di messaggio e l’ha dato. Ma dietro di lui c’era la destra radicale, la Alt-Right, che è naturalmente anti-establishment. Ma è anti-establishment perché vuole tornare in mondo degli anni Cinquanta immaginato, in cui i bianchi dettavano legge in modo supremo e non avevano le difficoltà di un’economia globale. Oggi ci sono molti pensatori anti-establishment che sono anche anti-progresso. Questo è strano. Il punk rock voleva abbattere una serie di pregiudizi per rendere il mondo in qualche modo migliore. Parliamo sempre di anarchia senza ricordare che l’anarchia era un’ideologia molto piena di speranze. I nuovi radicali vogliono invece tornare indietro nel tempo.

È un caso che con Trump ma anche nel caso della Brexit la maggioranza dei voti contro l’establishment sia venuta dalle persone più anziane?

Sì, sia i votanti di Trump e della Brexit tendenzialmente sono stati uomini bianchi di una certa età. Ma in quei movimenti ci sono stati anche giovani uomini bianchi, che in qualche modo si sentono rivoluzionari e radicali. L’alt-right è quello che oggi trovano quando cominciano a voler essere anti-establishment. Non saprei come interpretare tutto questo. Questo non significa che non dobbiamo essere eretici. Penso che serva più pensiero “pericoloso” nel movimento progressista. Dovremmo cominciare a introdurre il modo di pensare di Elon Musk nella società e nella politica, provare a catturare l’energia dei team delle startup.

«Trump non è un eretico. È un populista, un opportunista, ha visto che c’era spazio per un certo tipo di messaggio e l’ha dato. Ma dietro di lui c’era la destra radicale, la Alt-Right, che è anti-establishment. Ma se una volta chi era contro l’establishment voleva rendere il mondo migliore, i nuovi radicali vogliono solo tornare indietro nel tempo»

Sì, ma cos’ha pensato quado Donald Trump ha cominciato a essere descritto come disgustoso, volgare? Non sono i segni della creatività che lei ha identificato nel suo libro?

Ho scritto un intervento, su Linkedin, su Donald Trump come “guru della creatività”. Non era un post satirico, anche se c’era dell’ironia. Ma quando Trump ha vinto davvero le elezioni, sono andato a rileggermelo e ho realizzato che lui ha effettivamente visto quello che nessuno aveva visto. Toccava bottoni che nessun altro premeva.

Come lei racconta nel libro, creatività è anche abbassare la qualità di un prodotto, come ha fatto un produttore di videocamere che poi ha avuto successo.

È esattamente così. Io scrivo anche che quando una cosa è creativa c’è chi dice che sembra disgustosa o stupida o infantile. Perché fa a pugni con il nostro modo tradizionale di pensare. Ma è il tentativo della nostra mente di non guardare seriamente a una cosa. Proviamo a respingere qualcosa a cui è troppo difficile pensare. Noi abbiamo sottovalutato Trump perché non abbiamo voluto pensare alla possibilità remota che avesse successo. E ora che ha avuto successo, ci ritroviamo a realizzare che ce l’aveva detto che avrebbe avuto successo.

Cosa succede quando un’idea eretica diventa mainstream? Ora leggendo i giornali c’è chi comincia a scrivere che la globalizzazione è stato un errore, o perfino che i cambiamenti climatici non sono reali. Se torniamo subito a nuovi conformismi, la creatività è inutile?

Penso che un’idea radicale, quando ha un contenuto serio, prima o poi diventa mainstream. Funziona che a quel punto si apre l’opportunità per una nuova idea radicale. Ora, però, ho paura che stiamo entrando un tempo davvero post-moderno, un tempo post-fattuale. Dove le idee possono sopravvivere anche quando sono solo bugie. Sono spaventato di questo. Il punk, per continuare con l’esempio, poteva essere aggressivo, ma era reale, era il tentativo di comunicare in un modo nuovo. Le nuove tecnologie non sopravvivono se non hanno del valore da portare. Ma ora con gli antiglobalsti, con i negazionisti del climate change, hai idee che sono completamente senza contenuto, sono vere bugie, che però fanno breccia in persone che non ne hanno coscienza. Questo è molto difficile da maneggiare per chi come me ama la creatività. Serve una nuova parola per indicare qualcosa che è creativo e falso allo stesso tempo.

Post-truth è una di queste.

Sì, ma la creatività post-truth è una nozione complessa con cui fare i conti.

Tra i concetti messi in discussione c’è anche quello della democrazia. Da una parte ci sono i movimenti populisti che in nome della libertà da dare al popolo rischiano di rompere i canoni su cui le democrazie si sono basate fino a ora. Dall’altra parte abbiamo le élite, che quasi invocano un controllo della democrazia, per esempio in un referendum come quello sulla Brexit. Lei da che parte sta? Tra le elite o tra coloro che mettono in discussione la politica come è stata fatta finora?

Penso che il diritto a mettere in discussione debba essere sempre sacrosanto. Dobbiamo fare tutto quello che possiamo per difenderlo. Questo non significa però che sia d’accordo con il fare un referendum su tutto. Perché penso che, anche nei processi politici, non è che necessariamente mi fidi della maggioranza, sulle grandi questioni. Ho grande fiducia nelle persone, ma quando ci sono domande incredibilmente complesse, e quando sono accompagnate da bugie, o post-verità, non penso che un referendum riempia i buchi del dibattito. Il problema dei referendum è che c’è sicuramente chi si forma un’opinione (in modo corretto, ndr) ma ci sono anche persone che si limitano a leggere dei post sui social network o degli articoli “post-verità” sul Daily Mail. La democrazia è complicata e la politica è complicata. Penso che la democrazia dovrebbe essere qualcosa di più grande di una zuffa. Se vuoi prendere sul serio le idee pericolose, dovresti dire che alla maggioranza non dovrebbe essere concesso di prendere decisioni di lungo periodo.

Perché?

Perché la maggioranza è sempre radicata nelle cose che sono già state, nella storia, in nozioni conservatrici. Le cose davvero progressistie, che guardano avanti, sono sempre state portate avanti da minoranze, che avevano nuove e strane idee su come la politica avrebbe dovuto comportarsi domani. Abbiamo un Parlamento e la democrazia rappresentativa è la cosa migliore che abbiamo ancora trovato.

«Ho paura che stiamo entrando un tempo davvero post-moderno, un tempo post-fattuale. Dove le idee possono sopravvivere anche quando sono solo bugie. Sono spaventato di questo»

Una considerazione sulla storia. Non sarà che periodi storici dipinti come bui e sgradevoli abbiano invece serbatoi di creatività inesplorata, come il Medioevo?

Certamente, il Medio Evo viene sempre dipinto come un’era buia, stupida, facciamo fatica a cogliere la grande creatività che c’era, anche nella Chiesa stessa. Tommaso D’Aquino è stato un grande innovatore: la Summa Theologiae e la Summa contra gentiles sono opere eccezionalmente creative. Dalla mia prospettiva, ogni era ha avuto le sue innovazioni e la sua forza creativa. Il Medio Evo aveva restrizioni sociali e limitazioni tecnologiche che hanno reso le innovazioni e la creatività più difficilie. Ma è anche vero che quando c’è la fame c’è più creatività di quando non c’è fame. Non dovremmo ignorare i grandi progressi che ci sono stati anche nel Medio Evo. Ci fu progresso nell’arte della guerra, nella filosofia, forse non come nei secoli successivi, pure ci fu. Sono ottimista: c’è sempre potenziale per la creatività in ogni società e in ogni era.

Lei ha citato la creatività di una città come Lagos, in Nigeria. Non c’è qualcosa di simile in Italia, ma abbiamo una città caotica, come Napoli, che non a caso è probabilmente la città più creativa d’Italia. C’è un nesso tra le difficoltà quotidiane, la disorganizzazione e la creatività?

Io amo Napoli, per il suo caos e la sua energia. Penso che dove ci sia caos, le persone possono cominciare a creare nuovi modi di risolvere i problemi. A Napoli sembra che le istituzioni politiche siano collassate, eppure le persone sono vitali, allegre. Ci sono naturalmente situazioni molto più caotiche nel mondo, posti che non si capisce come riescano a reggersi, eppure nulla può rompere la creatività e l’ingegno umano.

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