Sostiene VoltolinaSciopero, ecco come usare male un sacrosanto diritto dei lavoratori

Oggi c'è sciopero, e ormai non ci si chiede neanche più perché. Ma quando si scopre che le motivazioni spaziano dal «contro la guerra» alla «parità di diritti agli immigrati», si capisce perché lo strumento è davvero alla deriva

Lo sciopero è una cosa seria. Nel corso dei decenni lo strumento dell’astensione volontaria dal lavoro è servito per portare avanti una serie di importanti rivendicazioni. Molti di noi oggi hanno dimenticato gli sforzi che sono serviti per ottenere condizioni di lavoro e diritti che sembrano “naturali”, acquisiti e incomprimibili.

Lo sciopero è una cosa seria. E proprio perché ne sono convinta, trovo ignobile quel che questo strumento è diventato. Una modalità di protesta generica, completamente avulsa da problemi contingenti dei lavoratori ma soprattutto – ed è questo il maggiore disastro – anche decisamente slegata dalla effettiva possibilità di ottenere un risultato concreto.

Prendiamo lo sciopero di oggi. Tralasciamo per un attimo la considerazione che è venerdì, e che praticamente il 90% degli scioperi che qualsiasi sindacato ha indetto negli ultimi vent’anni è collocato proprio lì, nell’ultimo giorno prima del weekend. Una circostanza che effettivamente aprirebbe a buon diritto delle domande sul perché mai si debba sempre fare sciopero solo ed esclusivamente di venerdì. Ma lasciamo stare e andiamo al sodo.

Siamo talmente assuefatti agli scioperi che nemmeno ci chiediamo più perché vengano fatti. Che cause scatenanti e che senso abbiano. Nelle scuole, alle fermate dei tram, spunta l’avviso di sciopero, con la data e basta: i cittadini si adeguino.

Ma perché, per esempio, si fa sciopero oggi? Ho deciso di indagare. E ora ve lo dico: lo sciopero di oggi ha ben nove (nove!) motivazioni. Eccole, in sintesi: uno, «contro la guerra, che sta’ coinvolgendo l’Europa e il Medio Oriente e i paesi dell’Africa». Due, per «la messa in sicurezza del territorio, la bonifica dei siti inquinati». Tre, «per la sicurezza nei posti di lavoro». Quattro, «contro l’accordo sulla rappresentanza del 10.01.2014». Cinque, «contro la politica economica e sociale del governo Renzi e dell’Unione europea, contro il Job act». Sei, «contro il blocco dei contratti pubblici e privati, e la individualizzazione del rapporto di lavoro contro le privatizzazzioni». Sette, «per la redistribuzione del reddito attraverso consistenti aumenti salariari per tutti i lavoratori e pensionati». Otto, «per il diritto al lavoro, attraverso la riduzione di orario a parità di salario». Nove, «per la parità di diritti agli immigrati e l’integrale abolizione della legge Bossi-Fini».

Manca la fame nel mondo, e avremmo l’en-plein.

Siamo seri! Che senso ha mettere insieme queste nove motivazioni? Quale concreta possibilità esiste che uno sciopero possa servire a ottenere una qualsiasi di queste richieste? Dove sta la rivendicazione – e dove sta sopratutto la piattaforma di trattativa ponendo un orizzonte così ampio, sgangherato, perfino sgrammaticato, che inveisce tutto lo scibile politico umano?

Ma i 700mila iscritti della CUB (tanti ne dichiara la Confederazione unitaria di base, che insieme all’Unione sindacale italiana ha promulgato questo sciopero) si sentono rappresentati da queste istanze? Davvero si riconoscono in queste rivendicazioni? Ritengono sul serio sia opportuno indire uno sciopero sulla base di queste motivazioni, e considerano possibile che anche solo una minima parte delle richieste elencate nei nove punti potrebbe essere non dico accolta, ma anche solo messa in discussione su queste basi?

Così, da ieri i cittadini vedono gli annunci e immaginano la serie infinita di possibili disagi ai quali ciascuno dovrà andare incontro. Qualcuno forse non potrà lavorare perché i figli resteranno a casa da scuola. Qualcun altro non potrà tornare da un viaggio di lavoro, non riuscirà a prendere un autobus. E tutti questi disservizi a fronte di cosa? Di una istanza forte, importante, che al limite si potrebbe anche condividere, facendo buon viso a cattivo gioco e sostenendo la protesta con la propria (non piccola) parte di disagio? No. A fronte di una serie di motivi insensati – impossibili non solo da abbracciare, ma anche semplicemente da considerare validi.

Lo sciopero ha senso quando veicola una richiesta precisa. Serve per fare pressione affinché si apra un tavolo di confronto con una controparte. Serve per migliorare la vita dei lavoratori. Va usato con parsimonia, chirurgicamente, responsabilmente.

Nell’elenco di motivazioni del Cub per la protesta di domani c’è una sintesi chiara e spietata del perché il sindacato sta progressivamente e irrimediabilmente svuotando di ogni significato lo strumento dello sciopero. Quando se ne accorgerà, sarà sempre troppo tardi.

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