2017, l’anno in cui l’Europa si gioca l’anima (e rischia di restarci secca)

Le prossime tornate elettorali saranno il banco di prova dell'Europa (già molto inguaiata) contro i populismi. Si comincia con le elezioni Olandesi, e si finisce con quelle Italiane

Il 2017 sarà l’anno della battaglia per l’anima dell’Unione europea. Quattro su sei dei suoi Stati fondatori – Olanda, Francia, Germania e con ogni probabilità Italia – andranno alle urne. Il rischio che le forze tradizionalmente europeiste, di sinistra come di destra, vengano travolte in uno o più di questi Paesi da formazioni nazionaliste, populiste o xenofobe, contrarie all’euro se non all’Unione, è innegabile. Le ripercussioni di un’eventualità del genere – specie se avvenisse in una delle tre potenze europee continentali, Germania, Francia e Italia – sarebbero gravi per l’intera Unione europea, forse potenzialmente letali.

I primi chiamati al voto saranno i cittadini olandesi, il 15 marzo 2017. Al momento i sondaggi danno in testa il Partito per la Libertà di Geert Wilders, una formazione xenofoba e populista che ha già promesso in caso di vittoria una “Nexit”, cioè un referendum per uscire dall’euro e dall’Unione europea. Grazie al sistema proporzionale che regola le elezioni nei Paesi Bassi, il rischio che Wilders possa portare a compimento la sua promessa dovrebbe essere medio-basso. Tuttavia la “grande coalizione” tra i laburisti e i liberali del primo ministro Mark Rutte, attualmente al governo, è improbabile che riesca a raccogliere abbastanza voti per formare nuovamente una maggioranza: sono infatti necessari 76 deputati su 150, e negli ultimi sondaggi di dicembre 2016 i due partiti sono accreditati di appena 35 deputati (10 i laburisti e 25 i liberali). Se i sondaggi venissero confermati alle elezioni ci sarebbe quindi il concreto pericolo di una prolungata instabilità dagli esiti incerti.

Per i sondaggi Marine Le Pen, candidata del Front National (altra formazione xenofoba ed euroscettica, che vorrebbe portare Parigi fuori dall’euro e forse anche dall’Unione), è quasi certo che vada al ballottaggio

Toccherà poi ai francesi, il 23 aprile 2017, votare al primo turno delle elezioni presidenziali e il 7 maggio al ballottaggio. Qui si concentrano i principali timori: per i sondaggi Marine Le Pen, candidata del Front National (altra formazione xenofoba ed euroscettica, che vorrebbe portare Parigi fuori dall’euro e forse anche dall’Unione), è quasi certo che vada al ballottaggio.
Probabilmente il suo sfidante sarà l’ex primo ministro di Sarkozy, Francois Fillon, che alle primarie ha battuto proprio Sarkozy e il moderato Alain Juppé.
Fillon è un ultra-liberista di destra, per ora favorito nelle simulazioni di ballottaggio sulla Le Pen, ma le cui posizioni intransigenti in economia si teme possano regalare all’astensione – se non proprio al Front National – molti voti dell’elettorato storico di sinistra. La sinistra poi dovrà tenere le sue primarie a gennaio – Hollande ha annunciato di non candidarsi, il suo fresco ex premier, Manuel Valls, invece correrà – ma i socialisti godono di bassi consensi al momento, non dovrebbero passare il primo turno e al secondo contro la Le Pen potrebbero essere sconfitti. Se passasse al secondo turno – un’eventualità al momento non probabile, visti i sondaggi che lo danno terzo – avrebbe probabilmente maggiori chance contro il Front National il giovane Emmanuel Macron (39 anni), già ministro dell’economia di Hollande. Macron corre infatti con una sua formazione europeista riformista su cui, in caso di ballottaggio con la Le Pen, andrebbero a concentrarsi voti sia da sinistra che da destra.

In estate, probabilmente il 27 agosto, sarà quindi il turno della Germania di andare alle urne. Angela Merkel ha già annunciato l’intenzione di correre per il suo quarto mandato. Il rischio che le formazioni euroscettiche possano minare la “grande coalizione” tra socialisti (Spd) e conservatori (Cdu-Cus) al momento pare minimo. Tuttavia, se nel frattempo in Francia fosse diventata presidente Marine Le Pen, non si può predire con certezza come reagirebbe la politica tedesca. Le Comunità europee sono infatti nate storicamente soprattutto per evitare che le tensioni tra Francia e Germania accendessero nuovi focolai di conflitto in Europa. Se Parigi si orientasse verso un abbandono dell’Ue, che a quel punto perderebbe molta parte della sua ragion d’essere, Berlino potrebbe essere tentata da una linea maggiormente isolazionista.

Spettatore molto interessato di questo annus horribilis per l’ordine comunitario è ovviamente l’ultima potenza europea dell’elenco: il Regno Unito. Se l’Ue venisse ferita o indebolita nel 2017, regredendo dal rango di “Unione sempre più stretta di popoli europei” a quello di club intergovernativo, per la Gran Bretagna spuntare condizioni favorevoli sarebbe probabilmente molto più facile

Infine l’Italia. Al momento non è ancora chiaro quando si andrà a votare, ma sembra probabile che accada nel 2017. Non è facile azzardare previsioni sulla futura composizione del Parlamento in assenza di una legge elettorale chiara – ad oggi alla Camera è in vigore l’Italicum (che dà un forte premio di maggioranza), su cui si attende la pronuncia della Consulta nel gennaio 2017, al Senato il Consultellum (che è un proporzionale quasi puro), e si attendono novità in materia – ma in qualsiasi scenario pare scontato che il Movimento 5 Stelle avrà un consistente peso politico. Se dovesse averne abbastanza da ottenere una maggioranza parlamentare anche l’Italia potrebbe tenere un referendum sull’euro: servirebbe una legge costituzionale da farsi ad hoc, sarebbe consultivo e non vincolante. Ma ignorarne l’esito sarebbe quasi impossibile.

Spettatore molto interessato di questo annus horribilis per l’ordine comunitario è ovviamente l’ultima potenza europea dell’elenco: il Regno Unito, che ha votato la “Brexit” nel 2016 e che dovrebbe attivare le procedure per l’uscita – l’oramai famigerato articolo 50 del TUE – nel marzo 2017. Se l’Unione dovesse uscirne indenne è probabile, a giudicare da quel che è emerso nelle ultime settimane, che Londra verrà trattata con rigore, senza concedere nulla sull’accesso al mercato unico senza ottenere in cambio garanzie sulla libera circolazione delle persone (che il governo conservatore inglese vorrebbe limitare). Se invece l’Ue venisse ferita o indebolita nel 2017, regredendo dal rango di “Unione sempre più stretta di popoli europei” a quello di club intergovernativo, per la Gran Bretagna spuntare condizioni favorevoli sarebbe probabilmente molto più facile.

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