Non c’è acqua, e quella poca che gira viene usata male. Intanto i laghi si prosciugano, i fiumi seccano e le persone cominciano a preoccuparsi. Nell’Iran degli ayatollah e delle sanzioni la questione sta diventando grave, tanto che il governo sta prendendo le prime misure per contrastarlo. Ma non è semplice.
Come spiega ad Al Jazeera Kaveh Madani, studioso di politiche ambientali all’Imperial College di Londra, all’origine di tutti i mali ci sarebbero tre fattori: il primo è la crescita della popolazione: è raddoppiata negli ultimi 20 anni. È indubbio che il progresso, anche se tortuoso e costellato di incertezze, ha portato maggiore prosperità agli iraniani, provocando un aumento della popolazione e un incremento dell’immigrazione nel Paese (in particolare da Afghanistan e Pakistan). In sé è una cosa buona: se si guarda al consumo di acqua, in realtà, ci si accorge che può essere anche un problema.
La seconda ragione è l’arretratezza dell’agricoltura: colpiti dalle sanzioni e isolati da gran parte del mondo, oltre che svantaggiati da una composizione territoriale spesso proibitiva, gli iraniani si affidano a metodi di coltivazioni ancora antiquati, dove lo spreco idrico è ancora piuttosto alto. Il terzo fattore è una cattiva gestione della risorsa, che non sfrutta in modo virtuoso le quantità di acqua disponibili e le distribuisce in modo ineguale e inefficace. Possono esistere zone con eccessiva abbondanza e altre che soffrono la siccità.
Le conseguenze sono pesantissime. Laghi, fiumi e specchi d’acqua si stanno prosciugando. Lo si vede ad esempio al nord, al confine con l’Azerbaigian, dove il Lago Urmia, una volta ridente località turistica (non certo d’élite) vede ridursi la sua estensione di anno in anno. Negli ultimi 15 anni ha perso il 10% della sua superficie. Un caso emblematico, e non per niente è stato utilizzato anche da Leonardo di Caprio nel suo documentario sul climate change e sulle conseguenze sul pianeta.
Ma non solo: anche al sud la situazione si complica. Ad esempio lo Zaiandè, il fiume che attraversa la città di Esfahan, è in secca da anni. L’acqua, convogliata in bacini grazie all’uso di dighe (la prima fu voluta dallo scià) è stata adoperata negli anni per l’agricoltura delle zone circostanti, compresa la città di Yazd e in seguito per alimentare i nascenti poli industriali. Un utilizzo che, crescendo, ha provocato una diminuzione della sua portata, con conseguenti problemi di approvvigionamento idrico. Adesso non c’è quasi più nemmeno un filo d’acqua.
Eppure il governo qualcosa fa – o almeno, qualcosa dice. Figure istituzionali impegnate nella battaglia per l’acqua ci sono, come Massoumeh Ebtekar, vice presidente e capodipartimento di Environment Iran, che twitta in continuazione sul tema. E ricorda: tanti Paesi negli ultimi anni stanno scegliendo l’Iran come destinazione per gli investimenti. Uno degli ambiti più importanti (a parte quello energetico), è quello ambientale. Da lì si dovrà cominciare.