Le parole sono importanti. Oggi, nel pallone, una delle più importanti è transizione. Il Vocabolario Treccani definisce tra le altre cose la transizione come “Passaggio da un modo di essere o di vita a un altro, da una condizione o situazione a una nuova e diversa”. E se vogliamo andare su’altra definizine, quella di Antonio Conte come miglior allenatore al momento in circolazione in Europa, possiamo tranquillamente attingere al significato di transizione. Certo, forse basterebbe notare che ha vinto 8 partite di seguito nel campionato considerato tra i migliori al mondo.
Ma le parole sono importanti, abbiamo detto, e servono a spiegare su più piani perché Conte è oggi il migliore. Ne basta una, di parola. Nel calcio di oggi, tutto tecnicismi e neologismi, la transizione è appunto il passaggio ad una condizione nuova e diversa, ovvero quel momento da quando stai subendo il gioco degli avversari a quando la palla ce l’hai tu e devi gestirla il meglio possibile. In parole pavore, la transizione è quella fase – di delicato equilibrio – in cui si passa dalla fase di non possesso palla a quella di possesso palla, e viceversa. In generale, come ti insgenano nelle aule di Coverciano, esistono due grandi tipologie di transizione: quella negativa, quando la subisci e sei esposto in maniera assai pericolosa al subire un gol; e quella ovviamente positiva, quando sei tu a recuperare palla. E in questo caso, più velocemente ti muovi, più possibilità hai di infilare l’avversario, magari in contropiede.
Ok, cosa c’entra Conte in tutto questo? Agevoliamo il contributo dalla regia:
Willian protagonista di una versione di Try To Catch Me
Questo è un estratto dell’ultima gara giocata dal Chelsea e vinta in casa del Manchester City. Da quando il Chelsea recupera palla nella propria area a quando entra in quella avversaria per segnare il gol del momentaneo 1-2, passano 8 secondi. E la velocità con la quale Willian brucia l’erba dell’Etihad Stadium è solo l’ultimo tassello di una transizione riuscita alla perfezione.
Il match contro il City di Guardiola è un caso particolare, che ben riassume l’avventura di Conte in questa Premier. Non solo perché è l’ultima di 8 vittorie consecutive, ma perché racchiude le migliori caratteristiche messe in campo dal tecnico tre volte campione d’Italia con la Juventus. A cominciare appunto dalla transizione, che non si è verificata solo nel caso preso in esame di Willian.
Prima, un occhio questo schema:
Questo è il riassunti dei passaggi operati dal Chelsea in tutta la partita. Come a scuola: i blu sono giusti, i rossi sbagliati. I gialli, invece, sono quelli diventati assist. Si intuisce come l’attacco preparato di Conte punti all’area di rigore tagliando il centrocampo. Questo per sfruttare come visto la velocità di Willian, ma non solo: ci sono anche la tecnica e l’inserimento dalla fascia di Hazard e il fisico da piazare in area di Diego Costa.
E se di tranisizone intesa come passaggio da una condizione all’altra, Hazard e Costa hanno subìto – in senso assolutamente positivo – una transizione che li ha portati al centro del progetto tattico di Conte. Anzi, possiamo tranquillamente affermare che i due si stanno esprimendo al meglio proprio sotto la sua guida. Dopo un primo anno positivo (37 presenze e 20 gl totali), la scorsa stagione il brasiliano divenuto spagnolo nella simpatia generale è incappato in una stagione-no, come d’altronde tutta la sua squadra che, reduce dall’esonero di Mourinho, con il suo successore Hiddink è incappata in una stagione di transizione, nel senso stavolta negativo del termine. Anche l’inizio di questa stagione non sembrava essere partita con il piede giusto per Diego Costa, che nei momenti di nervosismo non riesce a tenere a lingua a freno.
Nel match contro il Leicester dello scorso 19 ottobre, Costa ha dato fondo a tutta la sua umanità invocando davanti al pubblico (telecamere comprese; e la Premier è il campionato più mediaticamente esposto…) la sostituzione al proprio allenatore, reo di avre chiesto ai suoi – Costa compreso, ma come si permette? – di pressare l’avversario nonostante si fosse già sul 2-0 per i Blues. Ora, chi ha visto anche solo mezza partita della Nazionale agli ultimi Europei sa quanto presare l’avversario sia una prerogativa delle squadre allenate da Conte: è anche da qui che parte la transizione, ovvio. Costa non gradisce, chiede il cambio, poi negli spogliatoi spiega a Conte che lui non deve permetersi di dirgli davanti a tutti (telecamere comprese eccetera) cosa deve fare con quel tono lì. Conte dal canto suo gli dice che invece questa è casa mia e qui comando io. Non finisce benissimo e raccontano di uno spogliatoio dal clima più infuocato dell’asfalto di Corso Buenos Aires a Milano a Ferragosto.
Ora, Conte sarebbe potuto andare da Abramovich e chiedere la fustigazione pubblica dell’attaccante. Invece, ecco che Diego Costa ha già segnato 10 gol un 13 gare stagionali. Tipo questo:
Un gol di potenza, un gol alla Diego Costa (finalmente)
Discorso molto simile per Hazard, talento purissimo del calcio continentale che come il compagno di squadra non ha iniziato con il piede giusto il rapporto con il tecnico, accusato di farlo giocare fuori posizione: “Mi piace giocare da numero 10, penso di avere più libertà in quel ruolo. Nel Belgio ci sono due esterni che corrono tanto e creano moltissimo spazio ma non so se posso giocare in quella posizione anche al Chelsea, dovete chiedere al mister”. Sarà, ma da quando c’è Conte, Hazard ha segnato due gol in più dello scorso anno (8 contro 6), ma ovviamente in molte meno partite (17 contro 43). Non male, per un abituato ad andare in doppia cifra, come già fatto nei suoi primi due anni a Stamford Bridge. Insomma, una transizione (ormai avrete afferrato il concetto) bella e buona, quella di Hazard e Diego Costa.
Dice Hazard che gioca fuori ruolo. Eppure giocare lì gli permette di sfuttare meglio la sua velocità, per fare gol così
E poi c’è la transizione definitiva, quella più grande di tutti, che ha portato Conte dall’esonero ormai solo da notificargli al primo posto in solitaria in Premier. Al suo primo anno in un nuovo campionato, Conte si è presentato con le sue idee – il 4-2-4 già usato ai tempi del Bari -, ma non ha esitato a modificarle quando necessario, per cambiare rotta, passando al 3-4-3: una transizione notevole, gestita alla grande dal tecnico sia dal punto di vista mentale (le voci che lo volevano licenziato erano numerose) che tattico.
Non che il 3-4-3 sia una novità assoluta nel modo di fare di calcio di Conte. Benché siamo soliti affiancarlo al 3-5-2, che lo ha reso famoso con la Juve, quando era ct dell’Italia ha già usato i 3 davanti ad esempio nella gara amichevole contro la Spagna del marzo di quest’anno. Gara nella quale l’Italia fece un’impressione più che positiva nella ripresa, quando il tecnico mise in campo un tridente composto da due uimini veloci come Insigne e Bernardeschi, a lavorare con in mezzo una punta di fisico come Zaza. Una situazione che ricorda molto da vicino quella odierna, con Hazard e Willian ai lati e Diego Costa al centro. Ma ovviamente, il discorso vale per tutta la squadra: con una disposizione attica simile, la già ricerca ossessiva del pressing si sposa con la necessità di avere velocità in tutte le fasi dell’azione: in sostanza, la palla deve girare il più velocemente possibile e ogni giocatore deve muoversi entro uno spazio definito, ma legandosi a tutti gli altri per creare un gioco armonico: quando il centrocampista la passa all’attaccante centrale, l’ala al suo fianco viene prima incotro e puoi ruota di 180°, puntando la porta. In questo modo, quando la squadra attacca ha due soluzioni offensive. E in caso di transizione, il gioco è fatto. E se riesci a imporla a che a uno come Guardiola, beh, non è una bestemmia pensare che il migliore su piazza, oggi, sia Antonio Conte.