Caro maschio contemporaneo, riscopri il tuo sacro pene, senza catto-pudori

Nell'era del sexting e della pornografia democratica gli uomini sono ancora legati al concetto tradizionale di mascolinità. Tra inibizioni e pudori (chi usa l'"aiutino" non lo dice) si perdono il meglio della propria sessualità

La settimana scorsa ho partecipato a un workshop sul benessere sessuale maschile (sì, lo so, fossi una fashion blogger mi invierebbero scarpe, borse e vestiti, lo so, ho sbagliato tutto), organizzato con il contributo incondizionato di Menarini, con un focus sulla Disfunzione Erettile (l’impotenza, per capirci, quando il sacro pene proprio non risponde, neppure alle più solerti e dirette sollecitazioni) e con la partecipazione del Professor Emanuele Jannini che, essendo Docente di Endocrinologia e Sessuologia all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, oltre che Presidente della Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità, come potete capire, ne sa un casino.

L’incontro è stato estremamente interessante e – al netto dei numeri e delle statistiche – mi ha permesso di riflettere come mai avevo fatto prima, su quanto delicato sia questo tema, su quanta ignoranza e quanti falsi miti vi gravitino attorno, su quanto macroscopiche siano le conseguenze sulla vita e sull’equilibrio emotivo di chi ne è affetto e, soprattutto, su quanto parlarne causi ancora imbarazzo, disagio, vergogna persino.

Perché, mi sono chiesta, all’alba del 2017, nell’era del sexting, della pornografia democratica, del ribaltamento dei ruoli di genere, è ancora così tanto un tabù parlarne? Perché passano anni prima di rivolgersi al medico? Perché si cerca più facilmente confronto online, dove si gode dell’anonimato ma dove non esistono risposte davvero attendibili, piuttosto che parlarne con uno specialista in carne e ossa, che possa avviare gli accertamenti, i controlli ed eventualmente guidare verso una soluzione del problema, che sia esso di natura organica, psicogena o mista?

All’alba del 2017, nell’era del sexting, della pornografia democratica, del ribaltamento dei ruoli di genere, è ancora così tanto un tabù parlarne? Perché passano anni prima di rivolgersi al medico? Perché si cerca più facilmente confronto online?

Perché gli uomini fanno ancora una fatica incredibile ad ammettere di ricorrere al cosiddetto “aiutino”? Perché questo disturbo è vissuto in maniera così ansiogena, come una deficienza, come un torto abominevole?

La risposta è relativamente semplice: l’identità maschile è profondamente fallocentrica, quasi completamente edificata su uno strumento idraulico, ipotetico, non perfettamente efficiente. Come dire: dell’erezione non v’è certezza, in una cultura che può accettare uomini con le sopracciglia ad ali di gabbiano, ma non può accettare uomini con un colibrì che non spicchi il volo quando si apre la gabbia. Ciò che ne deriva è una crisi identitaria della virilità in quanto tale, che genera fragilità, frustrazione, depressione e – a volte – violenza e sopraffazione.

La colpa di tutto ciò, di questo dramma maschile del non poter contare sul proprio augello, della schiavitù della potenza sessuale, è un po’ dell’evoluzione, un po’ della cultura.

Dell’evoluzione perché tutti i mammiferi in natura, ad eccezione dell’uomo e del coniglio (curioso binomio), sono dotati del baculum, cioè un osso nel pisello, con tanto di apparato muscolare a corredo. L’elefante, per intenderci, ha un osso di 2 metri (non fate della facile ironia). Il bonobo, che è tipo nostro cugino ed è famoso per ciulare un casino (Caparezza ci ha pure fatto un pezzo), ne ha uno di 1 centimetro. Poca roba, direte voi, ma è meglio che niente. ll maschio umano questo osso penino non ce l’ha. Il ché significa che la sua erezione è completamente scollegata dalla volontà e la sua efficienza dipende da innumerevoli fattori (legati, per farla semplice, alla salute fisica – vascolare, ormonale, neurogena – e psicologica – serenità, armonia, desiderio). In qualche modo, dunque, quello che potrebbe apparire un handicap (l’assenza dell’osso), in termini evoluzionistici, si rivela essere un marcatore fenotipico: sei sessualmente potente (quindi potenzialmente in grado di riprodurti) se stai bene fisicamente (e spesso la Disfunzione Erettile è una conseguenza di altre patologie e delle terapie fatte per curarle) e psicologicamente. Viceversa, la natura – in maniera, ne conveniamo tutti, poco diplomatica – risolve il problema all’origine.

D’altra parte, però, c’è la cultura che tiene poco conto di alcuni FATTI incontestabili.

È un fatto che questo disturbo è diffuso (ne è colpito tra il 5 e il 20% della popolazione maschile, con diversi gradi di intensità; e 1 paziente su 4 ha meno di 40 anni); è un fatto che l’impatto della DE sulla vita del soggetto affetto (e dell’eventuale partner) è totalizzante; è un fatto che essa possa manifestarsi in forma cronica ma anche episodica; ed è un fatto che parlarne – sia all’interno della coppia, sia con il medico curante – è ancora molto difficile per il soggetto interessato.

ll maschio umano questo osso penino non ce l’ha. Il ché significa che la sua erezione è completamente scollegata dalla volontà e la sua efficienza dipende da innumerevoli fattori

È un fatto anche che esistono dei rimedi farmacologici per questa patologia, che vanno assunti rigorosamente sotto prescrizione di un medico, e che possono aiutare i pazienti a ritrovare la serenità sessuale e, di conseguenza, l’equilibrio emotivo (al di là dei cosiddetti performer che, secondo un’indagine condotta da DoxaPharma, si avvalgono dell’aiutino per avere delle performance eccellenti, anche senza avere una diagnosi di DE; i performer sono circa il 70% degli intervistati che hanno dichiarato di fare uso di farmaci).

È anche un fatto che sono trascorsi ormai 18 anni dall’entrata in commercio della pillola blu (ebbene sì, è diventata maggiorenne, ora può anche votare e guidare); nel frattempo sono arrivati sul mercato dei competitor, a base di altre molecole, come Tadalafil (nota come “pillola del weekend”) e Vardenafil (la “mentina dell’amore”), fino al più recente Avanafil che, nelle parole del Prof. Jannini, basate sulle testimonianze dei pazienti “è la pillola senza pensieri, perché ti toglie il pensiero di non farcela, il pensiero che faccia male e il pensiero di non essere in tempo”. In quanto medicinale di seconda generazione, infatti, Avanafil ha una selettività più alta, va dritto al bersaglio per capirci, ha meno controindicazioni e l’effetto si manifesta molto rapidamente (un quarto d’ora circa).

Insomma, non se ne parla ma il tema esiste e rappresenta ancora uno dei più monumentali tabù della nostra società. Monumentale come i totem, come i campanili, come le torri, come gli obelischi, come i menhir e tutti quei simboli fallici che la civiltà umana da sempre erige per esprimere il dramma maschile dell’osso perduto.

Ciò che possiamo fare in merito è creare dialogo, alleggerire i giudizi, toglierci un po’ di dosso il catto-pudore che abbiamo ancora su questi argomenti e sdoganarli. Capire che il benessere sessuale è centrale nell’equilibrio di un individuo e che è giusto fare tutto il possibile per preservarlo. Che la DE è una patologia, non una colpa e, per esempio, in ragione di ciò, in alcune regioni italiane è prevista l’esenzione per i medicinali che la curano.

Ma, ancora più importante, ciò che possiamo fare è provare ad avventurarci oltre la visione fallocentrica dell’individuo e delle relazioni, con tutto il rispetto per il fallo che, per quanto affascinante, non dovrebbe essere un oggetto di culto per nessuno. Né dovrebbe essere la base dell’identità di una persona, mai, neppure quand’esso sia superbo e impeccabile. Perché, per dirlo alla Sabrina Salerno e alla Jo Squillo: oltre all’uccello c’è di più.

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