Da Renzi ai consiglieri del Cnel, quelli che nel 2016 hanno rischiato di uscire di scena

Gli scampati. L’ex premier aveva detto che si sarebbe ritirato a vita privata in caso di sconfitta al referendum, ma è ancora qui. I dirigenti di Forza Italia dovevano essere rottamati da Parisi, ma hanno vinto loro. I consiglieri del Cnel e i senatori sono sopravvissuti alla mannaia della riforma

Nel 2016 se la sono vista brutta, rischiavano di sparire per sempre. Personaggi politici e intere istituzioni sono arrivati a un passo dal chiudere la propria carriera. Ma alla fine l’hanno spuntata. Sfuggiti alla rottamazione, per scaltrezza o semplice fortuna. È il caso dei consiglieri del Cnel, ad esempio. Dopo anni di polemiche, per l’istituzione di Villa Lubin stavolta sembrava essere davvero finita. Indicato da molti come il simbolo stesso dell’inefficienza italica – massima rappresentazione degli sprechi della Casta – il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è arrivato a un passo dalla chiusura. La riforma costituzionale del governo ne aveva previsto la cancellazione, forse l’unica modifica condivisa anche da gran parte degli avversari. Sembrava cosa fatta: i dipendenti pronti al trasferimento presso la Corte dei Conti. La bella sede a Villa Borghese già entrata nel mirino di altre prestigiose istituzioni dello Stato. E invece, alla fine, la sorpresa.

La bocciatura del referendum ha salvato l’organo consultivo dalla temuta abolizione. Sui social network c’è chi ha ironizzato parecchio. All’indomani del voto sono stati in molti a immaginare festeggiamenti alla sede del Cnel, con tanto di champagne, coriandoli e balli e sfrenati. Nulla di tutto ciò, ovviamente. Eppure il giorno dopo lo scampato pericolo il presidente Delio Napoleone un sassolino dalla scarpa se l’è voluto togliere. «Mi ha colpito la facilità con cui una parte della politica e dell’informazione ha sottovalutato il ruolo del Cnel, organo di rilevanza costituzionale, le cui origini risalgono agli inizi del ’900», ha spiegato in un’intervista all’Adnkronos. «Il risultato è chiaro: per i cittadini l’articolo 99 della Costituzione non va toccato. È stato riconosciuto il nostro ruolo come valore aggiunto della democrazia».

Mentre al Cnel tiravano un sospiro di sollievo, la scena si ripeteva a Palazzo Madama. Cancellati dalla riforma costituzionale, anche i senatori della Repubblica hanno seriamente rischiato di dover cambiare lavoro. Come è andata a finire è cosa nota. A conti fatti, un’altra abolizione sfumata

Mentre al Cnel tiravano un sospiro di sollievo, la scena si ripeteva in un altro prestigioso edificio della Capitale. Cancellati dalla riforma costituzionale, anche i senatori della Repubblica hanno seriamente rischiato di dover cambiare lavoro. Nelle intenzioni di Matteo Renzi, gli oltre trecento inquilini di Palazzo Madama sarebbero dovuti sparire. Al loro posto avrebbero trovato posto un centinaio di sostituti, espressione diretta degli enti locali, assieme a una manciata di parlamentari indicati dal Quirinale per particolari meriti civili. Come è andata a finire è cosa nota. A conti fatti, un’altra rottamazione sfumata.

Scampare: «Uscire salvo da un grave pericolo. Sottrarsi, sfuggire a un rischio». Il vocabolario parla chiaro. L’immagine descritta si adatta bene anche ai dirigenti di Forza Italia. Sembravano destinati ad essere travolti dall’avvento di Stefano Parisi, l’astro nascente del centrodestra italiano. Già protagonista della corsa a sindaco a Milano, l’ex direttore di Confindustria sembrava a un passo dalla leadership. Desideroso di rivoluzionare il partito di Silvio Berlusconi, si racconta, su diretta investitura dello stesso Cavaliere. Lui, del resto, non ha mai fatto nulla per nascondere le sue vere intenzioni. «Forza Italia? C’è un un gruppo dirigente che deve fare un passo indietro» aveva spiegato al Corriere un paio di mesi fa. Il suo progetto di rinnovamento profondo aveva sollevato dubbi e resistenze da parte di quasi tutti i dirigenti forzisti, a partire dal capogruppo alla Camera Renato Brunetta. «È normale, sono preparato a questo – così Parisi in un’altra intervista – Se non ci fosse una resistenza, vorrebbe dire che non stiamo cambiando le cose». Alla fine di novembre, il colpo di scena. Entrato in rotta di collisione con la Lega Nord, l’aspirante leader è stato scaricato. Silvio Berlusconi ha preferito salvaguardare l’alleanza con il Carroccio. «Parisi sta cercando di avere un ruolo all’interno del centrodestra, ma avendo questo contrasto con Matteo Salvini non credo possa farlo». Colpito e affondato. E anche i dirigenti forzisti hanno potuto tirare un sospiro di sollievo.

Scampare: «Uscire salvo da un grave pericolo. Sottrarsi, sfuggire a un rischio». Il vocabolario parla chiaro. L’immagine descritta si adatta bene anche ai dirigenti di Forza Italia. Sembravano destinati ad essere travolti dall’avvento di Stefano Parisi, l’astro nascente del centrodestra italiano. Alla fine l’hanno spuntata loro

E che dire di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi? L’ex premier e l’ex ministra avevano assicurato che in caso di sconfitta al referendum si sarebbero ritirati a vita privata. «Se il referendum andrà male – aveva spiegato Renzi in un’intervista al Foglio dello scorso 2 giugno – continuerò a seguire la politica come cittadino libero e informato, ma cambierò mestiere». Come è andata a finire, lo sanno tutti. Dopo la bocciatura della riforma, il premier si è dimesso da Palazzo Chigi, conservando l’incarico di segretario del Pd. La ministra Boschi è diventata sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio del nuovo esecutivo Gentiloni. Ma alla politica, alla fine, non ha rinunciato nessuno dei due. Devono averci ripensato. Ennesima rottamazione scampata.

C’è chi è sopravvissuto alla propria abolizione, chi si è salvato dalle sforbiciate della riforma costituzionale. La sindaca di Roma Virginia Raggi, almeno finora, è scampata alle conseguenze dei propri insuccessi. Vincitrice indiscussa alle ultime amministrative della Capitale, in sei mesi l’avvocatessa grillina ha inanellato un’incredibile serie di errori. Difficile elencare tutte le criticità vissute nella Città Eterna. Dalla difficoltà a nominare una squadra di assessori, alle inchieste che hanno colpito il dirigente Raffaele Marra, tra i collaboratori più vicini alla prima cittadina. E poi gli intoppi con il bilancio di previsione, bocciato dai revisori del Campidoglio, e le polemiche per la mancata candidatura alle Olimpiadi. Intanto Roma, tra sporcizia e illegalità diffuse, non sembra aver neppure iniziato quel percorso di cambiamento che la sindaca aveva promesso. Nonostante la crescente impazienza dei cittadini e del leader M5S Beppe Grillo, per ora la Raggi resta al suo posto. Scampata a uno tsunami politico che, secondo qualche osservatore, potrebbe presto abbattersi sulla Capitale. Tutto rimandato al 2017.

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