Sottile e lungo è il filo che lega i 500 anni dalla prima pubblicazione dell’Orlando Furioso, con una squadra di calcio che in pochi anni è passata dal fallimento alla lotta per andare in Serie A. Ed un filo che attraversa Ferrara, città fondata su un passato glorioso ma che cerca di proiettarsi su un presente fatto di notevole modernità. L’opera di Ludovico Ariosto, reggiano di nascita ma divenuto celebre grazie al lavoro presso la corte ferrarese degli Estensi, ancora oggi è considerata una delle pietre miliari del poema cavalleresco, ponendosi come ideale continuazione dell’Orlando Innamorato del Boiardo, altro letterato reggiano divenuto grande con gli Este. Un’opera talmente moderna, che ancora oggi se ne riconosce il valore, soprattutto quello dell’ironia. E talmente grande, che la città ha dovuto prolungare la data di chiusura della mostra a lei dedicata fino a gennaio 2017, dunque oltre l’anniversario numero 500 dall’anno in cui venne per la prima volta data alle stampe.
La modernità era concetto già noto ai ferraresi nel Quattrocento d’altronde, quando la città venne dotata di un sistema urbano che la fece uscire dal suo ambito di città medievale fatta di stradine e vicoli tortuosi, per farla approdare nel futuro. Il progetto, noto come Addizione Erculea, venne fortemente voluto da Ercole I: nella sua mente c’era l’idea di una città di ampio respiro ma allo stesso tempo rinforzata nelle proprie mura, a seguito dell’assedio di Venezia. Così, se oggi fate un giro a piedi in città, sappiate che corsi come Ercole d’Este, Porta Po o Porta Mare risalgono a quel periodo, così come il bellissimo Palazzo dei Diamanti, che è il perno di quella Addizione che ha fatto dire agli epserti che Ferrara è stata la prima città moderna d’Europa. Ed è un giro che potete fare tutto a piedi o in bicicletta, mezzo antico ma di gran moda in città. Un altro pezzo di storia reso moderno, perché ecco, Ferrara è così: ama guardare al passato, ma senza fermare la propria crescita. Da qui anche l’idea di una università antica, antichissima (la fondazione risale al 1391), ma oggi al pari nelle classifiche italiane per qualità di insegnamento di istituti più “giovani” come il Politecnico di Torino.
In tutto questo, c’è anche la mitica Spal, dal passato importante ma vogliosa oggi di guardare molto avanti. Il nome è già di per sè un misto di vecchio e nuovo, per metà latino a metà italiano: Società Polisportiva Ars et Labor. Nata a inizio Novecento come Circolo Ars et Labor di carattere religioso (i colori bianco e azzurro della divisa derivano dallo stemma dei Salesiani), nel 1913 la sezione calcistica se ne distacca, mantenendo i colori sociali originari ma assumendo il nuovo nome di connotazione sportiva. La celebrità per il club arriva negli anni del secondo dopoguerra, in cui il presidente è Paolo Mazza. Da ex allenatore del club, Mazza è prima di tutto un uomo di campo. Grazie a lui la squadra arriva in Serie B e punta alla A a girone unico, nella quale approda a inizio anni Cinquanta, periodo nel quale viene anche inaugurato il nuovo stadio comunale. Sono gli anni in cui si forma il mito della Spal, della squadra con la maglia a righine biancazzurre (che comparirà per la prima volta nel campionato 1963/64) e il lancio di giovani calciatori destinati a grandi carriere. Le cronache raccontano di un Mazza che spesso si aggirava per il campo di allenamento con alcuni foglietti nascosti nel cappotto: erano i contratti di ragazzi promettenti e subito ingaggiati per essere valorizzati e rivenduti. Vista così, si può quasi dire che il vecchio presidente sia stato un precursore di quelle che oggi vengono spesso analizzate e lodate come “plusvalenze”. Come quando fece 16 milioni di lire vendendo Pandolfini alla Fiorentina (dopo che lo aveva pagato 3 milioni) e si guadagnò il titolo di “Mago di Campagna”. Più che mago, era visionario, nel senso migliore del termine: ci fu anche lui tra i presidenti della massima serie che si impegnarono per modernizzare il calciomercato, decicandogli ad esempio una sede unica per le trattative a Milano. Da qui nasce l’esigenza non solo di comprare, ma anche di formare i giovani calciatori in casa: nel 1965 la Spal vince il campionato Primavera, grazie a un centro tecnico d’addestramento per giovani calciatori che diventa modello da imitare.
Il vecchio presidente Palo Mazza lo chiamavano “Il Mago di Campagna”. Più che mago, era visionario, nel senso migliore del termine: ci fu anche lui tra i presidenti della massima serie che si impegnarono per modernizzare il calciomercato, decicandogli ad esempio una sede unica per le trattative a Milano. Da qui nasce l’esigenza non solo di comprare, ma anche di formare i giovani calciatori in casa: nel 1965 la Spal vince il campionato Primavera, grazie a un centro tecnico d’addestramento per giovani calciatori che diventa modello da imitare.
Da Ferrara sono così partiti verso i grandi club Fabio Capello, Albertino Bigon, Edy Reja e Luigi Del Neri, per citare i più famosi. Ma anche Osvaldo Bagnoli: un signore, prima di tutto, che qui comincia a imparare quello che gli servirà a vincere lo scudetto in provincia, a Verona. Il gruppo, l’appartenenza alla maglia. Il senso della comunità. Una città intera che gioca. All’epoca di Mazza, come oggi, ogni volta che la squadra giocava in casa, la frase era ed è sempre la stessa: “Andiamo alla Spal?”. Un caso unico in Italia, parole che spiegano tutto. Anche la sofferenza di una tifoseria attaccatissima alla squadra e che ha dovuto attendere anni, prima di rivedere almeno la cadetteria. Non senza conoscere prima l’onta del fallimento. Anzi, dei fallimenti. Negli anni Novanta, dopo la discesa in C, la società viene rilevata dalla Coopcostruttori, per tentare l’assalto in B, centrato ma poi vanificato dall’immediata retrocessione: in questo periodo passano da Ferrara giocatori come Paramatti, Dall’Igna, Nappi, Pellissier. Dopo il disimpegno dei proprietari e il passaggio a Pagiuso, già patron del Cosenza, la squadra si avvia verso il fallimento, decretato nel 2005, dopo un passaggio in panchina anche di Massimiliano Allegri. La società viene rifondata e grazie al Lodo Petrucci può ricominciare dal professionismo, ma il secondo fallimento è dietro l’angolo: di mezzo c’è la gestione dell’imprenditore lucchese Butelli e la costruzione di un parco fotovoltaico che avrebbe dovuto finaziare le casse del club e sul quale è stata avviata un’indagine della Procura. Nel 2012/13 il club non si iscrive al campionato e viene successivamente radiato. Nasce Società Sportiva Dilettantistica Real Spal, garzie all’interessamento del sindaco e di alcuni imprenditori locali, che ne assicurano la sopravvivenza in D.
Tutto cambia nel 2013. Mentre la Spal gioca nei dilettanti, un’altra società del ferrarese, la Giacomense, gareggia in Lega Pro. Il club ha sede a Masi Torello, dove c’è anche la Vetroresina Spa, società produttrice di laminati in mano alla famiglia Colombarini. Le cronache locali raccontano che la pazza idea nasce a inzio anno, in un incontro al Roray Club ferrarese: la cosa viene butatta lì, en passant, magari ne riparliamo. La pazza idea è quella di acquistare la Spal e fonderla con la Giacomense, per farla rientrare nel professionismo. Pazza, ma fattibile. A fine stagione l’affare si fa: i Colombarini trovano l’accordo e si insediano come nuovo proprietari, acquistando subito il marchio storico delle vecchia Spal, denominata Spal 2013 srl. L’affare dei Colombarini non è quello della classica famiglia di imprenditori che cerca prestigio con il club di calcio locale. L’aver comprato il vecchio simbolo è un passaggio importantissimo, perchè svela fin da subito l’intenzione della nuova proprietà: recuperare la storia, la tradizione. Ed esporsi economicamente per ripromuovere quella modernità innestata a Ferrara da Mazza, con basi solide: al 31 dicembre 2015, la Vetroresina ha chiuso il bilancio in attivo, con 50 milioni di euro di valore della produzione e due rami d’azienda aperti negli Usa e in Brasile, a loro volta con i conti in utile.
L’aver comprato il vecchio simbolo è un passaggio importantissimo, perchè svela fin da subito l’intenzione della nuova proprietà: recuperare la storia, la tradizione. Ed esporsi economicamente per ripromuovere quella modernità innestata a Ferrara da Mazza, con basi solide: al 31 dicembre 2015, la Vetroresina ha chiuso il bilancio in attivo, con 50 milioni di euro di valore della produzione e due sedi aperte negli Usa e in Brasile, a loro volta con i conti in ordine.
Non è un caso che lo scorso 13 dicembre, il club abbia inaugurato il nuovo centro sportivo, arrivato dopo una nuova attenzione al vivaio (dotato di un sito web dedicato) che ha previsto costi di capitalizzazione per quasi 400mila euro nel 2015. Il tutto legato alla scelta di uomini giusti al posto giusto. A cominciare dal tecnico Leonardo Semplici, che dopo aver lavorato in Lega Pro con il Figline si è formato come coltivatore di giovani nella Primavera della Fiorentina. Una doppia esperienza che gli ha permesso di vincere lo scorso anno il campionato di Lega Pro e lavorare con i giovani promettenti di questa stagione scovati per lui da Davide Vagnati, giovane direttore sportivo spallino che quest’estate ha avuto la faccia tosta di andare da Udinese e Juve per chiedere in prestito ragazzi già protagonisti nelle giovanili della Nazionale, come l’attaccante Alberto Cerri e il portiere Alex Meret, vice-campione d’Europa con l’Under 19. Gente che avrebbe potuto già andare in prestito in A, invece è stata convinta dal progetto di una Spal che oggi è ai piani alti della B.
D’altra parte il giro d’affari di chi arriva dalla Lega Pro non è quello vertigonoso della A e bisogna fare di necessità virtù: al 31 dicembre 2015, la Spal 1913 srl ha messo a bilancio, ad esempio, poco meno di 600mila euro di incassi da stadio, circa 500mila da proventi pubblicitari e 180mila tra plusvalenze e mercato, per un totale di 2,8 milioni di euro di ricavi (in miglioramento rispetto agli 1,5 del 2014); mentre i costo sono risultati in crescita (4,2 milioni contro 1,9 milioni), anche per effetto degli stipendi maggiori. Il deficit economico di 1,4 milioni non deve preoccupare, perchè è naturale accada per una società che ha investito per il salto di categoria. E come evidenzia l’ultimo bilancio, il socio di riferimento Vetroresina Spa sostiene partimonialmente e finanziariamente la società con “versamenti in conto capitale” che al 31/12/2015 hanno raggiunto l’importo 1,639,434, più che capiente rispetto al deficit gestionale complessivo. Tradotto: la società può investire perchè ha le spalle coperte. Già il prossimo bilancio, complice la presenza in B, dovrebbe vedere i ricavi in aumento, aiutati anche dal miglioramento sul piano del marketing: il club ha aperto uno Spal Store vicino lo stadio – intitolato dal 1982 a Paolo Mazza – che è già stato oggetto di lavori di ammodernamento e che presto potrebbe vedere ulteriori miglioramenti. In caso di promozione in A, Ferrara la moderna non vuole farsi trovare impreparata.