Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni parla poco, un quarto d’ora. Un breve intervento nell’Aula di Montecitorio, in parte vuota, per presentare le linee programmatiche del suo governo. Il discorso viene interrotto solo una volta dagli applausi della maggioranza. In attesa del primo voto di fiducia, il nuovo esecutivo nasce senza troppo entusiasmo. In queste ore è stato descritto come un governo fotocopia, un copia-incolla, un Renzi bis senza Renzi. Ed effettivamente la lista dei ministri che ieri sera hanno giurato al Quirinale non sembra convincere chi sperava in un drastico cambio di passo dopo le dimissioni del premier Matteo Renzi. La sconfitta al referendum costituzionale regala al paese un nuovo esecutivo, ma i protagonisti sono gli stessi di prima. «È un governo di responsabilità – spiega Gentiloni alla Camera – Garante della stabilità delle nostre istituzioni». Nei capannelli di deputati in Transatlantico, l’argomento più dibattuto resta la durata della legislatura. Il nuovo esecutivo arriverà al 2018 o gli italiani torneranno a votare in primavera? Gentiloni non si espone. «Lascio il dibattito alla polemica politica: il governo dura fin quando ha la fiducia del Parlamento, come dice la Costituzione».
Disertano l’appuntamento i parlamentari del Movimento Cinque Stelle, che in polemica meditano di abbandonare il Parlamento fino alle prossime elezioni. Non ci sono neppure i leghisti e, in buona parte, i deputati di Forza Italia e Fratelli d’Italia. Ma anche tra i presenti, i toni delle opposizioni non sembrano particolarmente concilianti. «Quello di Gentiloni è stato un discorso imbarazzante – racconta il capogruppo forzista Renato Brunetta poco dopo – Il suo è un governo che nasce già morto». Amen. Tra coloro che hanno deciso di disertare l’emiciclo ci sono anche gli esponenti di Ala, la compagine guidata da Denis Verdini uscita dalla maggioranza poche ore fa. Irritata per non essere stata rappresentata nella squadra di governo.
Dopo una crisi lampo, il nuovo esecutivo muove i primi passi. Il profilo basso e una maggioranza parlamentare risicata. I numeri ballano a Palazzo Madama, in particolare, dove lo strappo dei verdiniani priva Paolo Gentiloni del sostegno di 18 senatori
Seduti intorno al premier, invece, ci sono i suoi ministri. Quasi tutti sono stati confermati. Da questo punto la sconfitta referendaria non è servita a molto. Alla fine l’unica esclusa è l’ex titolare dell’Istruzione Stefania Giannini, la sola a perdere la poltrona. Forse è un po’ poco per chi aspettava un segnale di discontinuità. Qualcuno resta al suo posto, altri cambiano dicastero. È il caso di Angelino Alfano, che dal Viminale passa agli Esteri. Pochi i nuovi ingressi, tra questi le senatrici dem Anna Finocchiaro e Valeria Fedeli, rispettivamente ai Rapporti con il Parlamento e all’Istruzione. È un governo fortemente legato al passato, vincolato all’esperienza dell’ex premier Renzi. Gentiloni in Aula non si nasconde. Rivendicando il lavoro svolto, il presidente del Consiglio spiega che il profilo politico del suo esecutivo «è iscritto nel quadro della maggioranza che ha sostenuto quello precedente, maggioranza che non ha perso».
La figura di Matteo Renzi, insomma, resta centrale. L’ex capo del governo aveva promesso un passo indietro in caso di sconfitta al referendum. Era arrivato ad annunciare l’addio alla sua carriera politica. In realtà resta protagonista, in atteso di una sua ricandidatura a premier. E non a caso resta forte la presenza al governo dei suoi uomini di fiducia. Maria Elena Boschi, madrina della riforma bocciata dagli italiani, viene di fatto promossa, sarà sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Il braccio destro di Renzi, Luca Lotti, diventa ministro, seppure senza portafoglio. Sarà il titolare dello Sport. Secondo alcune indiscrezioni rilanciate stamattina dal Corriere della Sera potrebbero essere confermati al loro posto anche Antonella Manzione, capo del dipartimento Affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio e Filippo Sensi, portavoce del presidente del Consiglio. Un filo di continuità fin troppo evidente con il governo uscente.
Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni parla poco, un quarto d’ora. Un breve intervento nell’Aula di Montecitorio, in parte vuota, per presentare le linee programmatiche del suo governo. Il discorso viene interrotto solo una volta dagli applausi della maggioranza. In attesa del primo voto di fiducia, il nuovo esecutivo nasce senza troppo entusiasmo
Intanto, dopo una crisi lampo, il nuovo esecutivo muove i primi passi. Il profilo basso e una maggioranza parlamentare risicata. I numeri ballano a Palazzo Madama, in particolare, dove lo strappo dei verdiniani priva Gentiloni del sostegno di 18 senatori. E così torna improvvisamente d’attualità il ricordo dell’ultimo, travagliato, governo Prodi. Appeso a una manciata di voti e caduto anzitempo proprio al Senato. Stavolta il premier non sembra preoccuparsi troppo. Parlando a Montecitorio anticipa quali saranno le priorità del suo governo: il Sud, l’economia, i rapporti internazionali. A dispetto della risicata maggioranza parlamentare, Gentiloni spiega: «Ci auguriamo che possano maturare appoggi e convergenze più larghe sui singoli provvedimenti». Già nei prossimi giorni si scoprirà se le aspettative saranno fondate.